Domanda:
aiutoooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 10 punti?
anonymous
2008-02-21 05:27:56 UTC
perfavore mi fate questa piccola ricerca : do 10 punti a chi mi informa su un monastero queste cose:

nome
luogo in qui sorge
data della fondazione
cenni storici
struttura architettonica
funzione attuale e funzione nel passato
oprere d' arte


p.s. grazie in anticipo!!!! : )
Sette risposte:
anonymous
2008-02-21 05:39:19 UTC
ABBAZZIA DELLA TRINITA' DI CAVA

Dalla porta a sinistra della chiesa si accede al Monastero dei Padri Benedettini. Dall'ingresso si percorre un ampio corridoio: a sinistra è la sala capitolare, restaurata nel 1632, cinta all'ingiro da stalli lignei intagliati e intarsiati, del 1540; pavimento in piastrelle maiolicate del 1777, proveniente dal monastero di Sant’Andrea delle Dame in Napoli. Alle pareti, affreschi del 1632, rappresentanti, sotto partiti architettonici, i fondatori degli ordini religiosi che hanno seguito la regola benedettina: di fronte, Sant’Alferio e San Benedetto; a destra, i Santi Giovanni Gualberto, Guglielmo, Bernardo Tolomei; a sinistra, i Santi Romualdo, Bernardo, Pier Celestino; sopra l'ingresso, cinque fondatori di ordini cavallereschi: Cosimo I granduca di Toscana, Alfonso I di Portogallo, don Diego Velásquez, don Gómez Fernández, Giacomo II d'Aragona; inoltre, medaglioni con diciotto Papi benedettini, cinque re e imperatori fattisi benedettini, le Sante benedettine Scolastica, Riccarda regina, Cunegonda, Agnese imperatrice. Nel mezzo della volta, San Benedetto che accoglie il re Totila, di Raffaele Stramondo (1940).



Subito a destra si passa nel suggestivo chiostrino, del secolo XIII, situato sotto la rupe incombente, su colonnine binate di marmi vari con capitelli romanici e archi rialzati. Sotto un arco, San Lodovico di Tolosa e Santo Stefano d'Ungheria, affreschi del secolo XV; lungo il lato nord del chiostrino sono tre sarcofagi romani, di cui uno del secolo III, adorno di geni alati sostenenti festoni, busti di defunti e maschere; un altro, pure romano, del secolo III-IV, con la caccia di Meleagro: vi sono poi due sarcofagi longobardi e uno quattrocentesco, con ippogrifi.





A sinistra, adiacente al chiostrino, è la grande sala del capitolo vecchio, gotica, del secolo XIII, in cui sono temporaneamente raccolti (1980) affreschi staccati dalla Cappella di San Germano nel Cimitero Longobardo, tra cui San Benedetto e seguaci e Giudizio Universale, attribuiti ad Andrea da Salerno, e Crocifissione del sec. XV; si trova inoltre un affresco del secolo XV (L'Arcangelo Michele tra i Santi Benedetto e Alferio), staccato dalla grotta di Sant’Alferio nella chiesa dell'abbazia. Per due arche ogivali, si entra nella cappella del crocifisso, rimessa in luce nel 1930, con avanzi del pavimento quattrocentesco: al 1° altare, Astanti alla Crocifissione e gruppo di pie donne, bassorilievo di Tino di Camaino. Nell'adiacente cappella, all'altare, Madonna col Bambino tra i Santi Benedetto e Alferio che presenta l'abate Filippo de Haia (morto nel 1331), della scuola di Tino di Camaino; sotto l'altare, paliotto marmoreo, del secolo XI, con croce, alfa e omega, colonnine e archetti, appartenente all'altare consacrato da papa Urbano II; a sinistra dell'altare, frammento della lapide commemorativa della consacrazione.





Si scende (nel 1° ripiano, sarcofago della regina Sibilla, moglie di re Ruggero II Normanno; 1150) nel cosiddetto cimitero longobardo, cripta del secolo XII, su colonne del secolo IX-X e pilastri cilindrici in muratura, di effetto assai suggestivo. Vi furono sepolti molti laici illustri; una lapide (apocrifa) ricorda Teodorico antipapa col nome di Silvestro III, relegato da Pasquale II nell'Abbazia, dove morì nel 1102. A sinistra si apre la cappella di San Germano (vescovo di Auxerre), del 1280, ove si trovavano, fino a poco tempo fa, affreschi del XV secolo, che di recente sono stati staccati.





Si risale verso il chiostrino e, percorso un breve corridoio, si scende al Museo, fondato nel 1953 e sistemato in tre sale appartenenti al palatium della fine del Duecento, destinato agli ospiti, in cui sono conservati numerosi reperti di epoca romana e altomedievale, tra cui si segnalano alcuni pregevoli bassorilievi di Tino di Camaino e del suo seguace detto Maestro di Cava de’ Tirreni, nonché un polittico di Andrea da Salerno e alcune tele di Luca Giordano.





Si sale poi all'Archivio e alla Biblioteca (vi sono ammessi solo gli studiosi). L'Archivio, in cui si entra per una bella porta marmorea, conserva oltre 15.000 pergamene, tra cui numerosi documenti longobardi e normanni, ed è di grande importanza per la storia medioevale dell'Italia Meridionale. È ordinato in due eleganti sale della fine del Settecento: Sala diplomatica e Sala dei Protocolli notarili (in tutto 177 volumi), contenenti documenti dei notai di Cava e di Nocera a partire dal 1468. Dal 1876 al 1893 furono pubblicati otto volumi col titolo Codex Diplomaticus Cavensis, relativi a 1388 documenti dal 792 al 1065. La Biblioteca, sistemata in tre sale, possiede importanti manoscritti membranacei e cartacei, 120 incunaboli, oltre 300 edizioni della prima metà del Cinquecento, in tutto circa 30.000 volumi e 8000 opuscoli. Notevoli soprattutto: una preziosa Bibbia, in scrittura visigotica, splendido esempio di arte decorativa del sec. IX; il Codex Legum Langobardorum e i Capitularia Regum Francorum, del secolo XI, con miniature di scene e personaggi della dinastia germanica; il codice contenente Beda, De temporibus, Annales Cavenses, Florilegium, con interessanti disegni dello Scriptorium dell'Abbazia, del secolo XI-XIII; il codice De Septem Sigillis di Benedetto da Bari, datato 1227.



ABBAZIA DI CASAMARI

Come testimoniano due iscrizioni trovate in situ e vari ritrovamenti (lastricati, mosaici, ecc.), venne fondata, forse sul posto di Cereatae Marianae, patria di Gaio Mario, nel 1035 da alcuni sacerdoti che adottarono la regola benedettina. Nel 1140 Innocenzo II vi introdusse i Cistercensi, che la ricostruirono integralmente e ne fecero uno dei centri culturali più fiorenti della regione, punto di irradiamento, con l’Abbazia di Fossanova, delle forme gotico-borgognone nei primi decenni del Duecento. Il periodo di splendore, iniziato con la consacrazione della basilica fatta, il 15 settembre 1217, da Onorio III, continuò sino all’inizio del XV secolo dopo di che seguì un’epoca di profonda decadenza. Alle vicende politiche Casamari restò quasi sempre estranea, ma purtroppo, per la sua posizione ai confini dello Stato Pontificio e del Regno di Napoli, risentì varie volte delle traversie della storia. In particolare, nel 1417, fu teatro di uno scontro avvenuto tra Muzio Attendolo Sforza, favorevole alla regina Giovanna di Napoli, e Iacopo Caldora, partigiano di Braccio da Montone che combatteva per il papa; le truppe del primo diedero l’assalto al monastero dove gli avversari si erano asserragliati e lo conquistarono dopo una dura lotta durante la quale una parte del complesso fu gravemente danneggiata. L’Abbazia, trasformata nel 1430 da Martino V in Commenda, divenne appannaggio di cardinali che ne dilapidarono in gran parte i beni.





Nel 1717 vennero introdotti i Cistercensi della stretta osservanza, detti Trappisti. Nel 1799 fu devastata da soldati francesi in ritirata da Napoli che uccisero anche alcuni monaci. Nel 1850 Pio IX soppresse la Commenda e nel 1864 eresse l’Abbazia a congregazione autonoma. Nel 1929 è divenuta Congregazione “sui juris”.





Negli ultimi decenni il complesso è stato restaurato e riportato all’antico splendore. Ospita un Istituto Teologico per la preparazione di religiosi della stessa Congregazione e un Convitto scolastico; vi è inoltre un Osservatorio meteorologico-sismico e una farmacia che vende, con altri medicinali, anche specialità a base di erbe confezionate nell’abbazia. Una liquoreria prepara liquori fatti secondo le antiche ricette



ABBAZIA DI FARFA

L’abbazia fu fondata, sui resti di una più antica basilica devastata dai Longobardi nel secolo VI, nel 680, per opera di Tommaso di Maurienne (Savoia) con l’aiuto del duca di Spoleto Faroaldo II e di papa Giovanni VII. Grazie alla sua posizione strategica venne protetta dai Longobardi e dai Franchi; Carlo Magno volle che passasse alle dirette dipendenze della sua amministrazione. Dopo un periodo di splendore sotto i Carolingi, che raggiunse il suo punto più alto nella prima metà del IX secolo con l’abate Sicardo (830-41), nell’891 venne assalita dai Saraceni. Dopo aver resistito per 7 anni agli attacchi, l’abate decise l’abbandono del monastero, mandando alcuni monaci a Roma, altri a Rieti, e conducendo i restanti nella Marca Fermana ove fondò il paese di Santa Vittoria in Matenano, nelle Marche. Il monastero fu occupato dai Saraceni i quali ne fecero la base delle loro scorrerie. Il successore, l’abate Raffredo, allorché scomparve la minaccia saracena ritornò a Farfa, che trovò in completa rovina. Con la discesa di Ottone I in Italia (967 circa), l’abbazia riebbe una relativa unità e riprese vita grazie alla riforma cluniacense e all’opera dell’abate Ugo (997-1039). Egli organizzò la vita monastica e non trascurò gli edifici abbaziali, dove si svolgevano complesse cerimonie liturgiche secondo l’uso cluniacense. Sotto il suo successore Berardo I, Gregorio da Catino scrisse il celebre Regesto, il Chronicon, il Largitorio e il Floriger; sorse con lui il famoso scriptorium che produsse i codici della caratteristica lettera maiuscola. L’abbazia partecipò alle contese politiche, lottando contro i signori romani e in particolare i Crescenzi per difendere la sua libertà; favorita da Enrico IV e Enrico V, appoggiò la politica imperiale durante la lotta delle investiture, in contrasto perciò con i papi. Con il concordato di Worms (1122) e il conseguente ritorno sotto la giurisdizione papale, l’abbazia ebbe sminuita la sua importanza politica ed economica poiché i pontefici spesso avocarono alle loro finanze le risorse dell’abbazia, i cui conti venivano controllati da amministratori pontifici o da altri abati vicari. Al principio del ‘400, Bonifacio IX la costituì in commenda del nipote Francesco Tomacelli che vi introdusse monaci tedeschi. Dal 1421 al 1553 fu commenda degli Ors
tomakeuloveme
2008-02-21 05:33:54 UTC
Monastero di Santa Chiara (Napoi)



La basilica e il complesso monastico di Santa Chiara (anche conosciuti come Monastero di Santa Chiara) furono edificati tra il 1310 e il 1340, su un complesso termale romano del I secolo d.C., per volere di Roberto d'Angiò e della regina Sancia di Maiorca, nei pressi della cinta muraria occidentale, a Napoli. È la più grande basilica gotica della città.



Originariamente costruita in forme gotiche provenzali, tra il XVII e il XVIII secolo venne ampiamente ristrutturata in forme barocche da Domenico Antonio Vaccaro.



Durante la seconda guerra mondiale un bombardamento degli Alleati del del 4 agosto 1943, che provocò un incendio durato quasi due giorni e distrusse la chiesa quasi interamente. In seguito venne riportata al presunto e spoglio aspetto originario da un massiccio e discusso restauro conclusosi nel 1953.



L' accesso, in via Benedetto Croce, è costituito da un grande portale gotico del Trecento, sormontato da un'unghia aggettante di lastre di piperno.



La facciata è preceduta da un pronao a tre arcate ogivali, di cui quella centrale inquadra il portale di marmi rossi e gialli con lo stemma di Sancia. Il rosone in alto è stato realizzato durante la ricostruzione.



La basilica è lunga circa 130 metri (compreso il coro delle monache), alta 45 e larga circa 40. Tra il 1742 e il 1762 l'aspetto gotico fu celato da decorazioni barocche progettate da Domenico Antonio Vaccaro, Gaetano Buonocore e da Giovanni del Gaizo. La volta fu decorata da stucchi e affreschi di Francesco de Mura, Giuseppe Bonito, Sebastiano Conca e Paolo de Maio. Il bombardamento alleato del 1943 distrusse il tetto e la decorazione barocca, mentre le opere scultoree furono totalmente o parzialmente danneggiate; quelle sopravvissute, dopo la ricostruzione, furono spostate in un altro luogo, tranne il pavimento disegnato da Ferdinando Fuga.



L'interno risulta attualmente formato da un unica navata rettangolare, disadorna e senza transetti, con dieci cappelle per lato. Sulla parete di fondo è posto il "sepolcro di Roberto d'Angiò", opera dei fiorentini Giovanni e Pacio Bertini. Ai lati del sepolcro del re ci sono quelli del primogenito Carlo, Duca di Calabria e di Maria di Valois, entrambi di Tino di Camaino, e il "sepolcro di Maria di Durazzo", di un ignoto maestro durazzesco.



Sulla controfacciata si trovano altri sepolcri: quello "di Antonio Penna", opera di Antonio Baboccio, e quello "di Agnese e Clemenza di Durazzo".



Nelle venti cappelle ci sono tombe realizzate tra il XIV e il XVII secolo, appartenenti ai personaggi di nobili famiglie napoletane.



Nella terza cappella si trovano due sarcofagi dei Del Balzo, nella sesta cappella due bassorilievi trecenteschi con il "Martirio della moglie di Massenzio", nella settima cappella quanto è rimasto del sepolcro di Ludovico di Durazzo, opera trecentesca di Pacio Bertini.



Fa storia a sé la nona cappella che ha conservato la struttura barocca ed è attualmente il sepolcreto ufficiale dei Borbone, dove riposano i Sovrani delle Due Sicilie.



A destra del presbiterio si passa alla barocca sagrestia con affreschi e mobili risalenti al 1692; in una sala adiacente si può ammirare un panno ricamato del XVII secolo. Altri due ambienti di passaggio, il primo decorato da maioliche del XVIII secolo e il secondo con affreschi di un pittore fiammingo del XVI secolo, si passa di fronte ad una scalinata chiusa al pubblico che sale al convento, e quindi per un portale gotico, si accede al "Coro delle monache".





Coro delle monache

Il coro, concepito come una piccola chiesa riprende una sala capitolare. Conserva l'arcosolio del Re Roberto degli scultori Giovanni e Pacio Bertini, e, sulle pareti, resti di affreschi di Giotto e frammenti di alcuni affreschi rinascimentali.
alexia
2008-02-21 05:33:26 UTC
Il Monastero di Fonte Avellana è situato alle pendici del massiccio montuoso del Catria (1701 m.) a 700 metri sul livello del mare.



Le sue origini si collocano intorno all’anno Mille ma è certo che già negli ultimi decenni del X secolo alcuni eremiti avevano scelto di dimorare in questa boscosa insenatura della montagna caratterizzata da una vasta presenza di alberi di nocciolo (le avellane) e da una sorgente d’acqua.



Sulla spiritualità di questi eremiti influì certamente San Romualdo di Ravenna, Padre della Congregazione benedettina camaldolese. Egli, infatti, visse e operò fra il X e l'XI secolo in zone vicinissime a Fonte Avellana, quali Sitria, il monte Petrano, e San Vincenzo al Furlo.

Molte delle consuetudini eremitiche avellanite erano pressoché identiche a quelle in uso a Camaldoli ed in altri luoghi romualdini ed anche la Regula vitae eremiticae scritta da San Pier Damiano per Fonte Avellana, infine, ha molti elementi dottrinali in comune con le Costitutiones del Beato Rodolfo, IV priore di Camaldoli.



Lo sviluppo di Fonte Avellana iniziò con San Pier Damiano, alla cui forte personalità si devono non solo il nucleo originario della costruzione, ma più ancora l'impulso spirituale, culturale e organizzativo che resero l'eremo centro d'attrazione e di diffusione della vita monastica e che influirono fortemente sulla riforma religiosa e sulla vita sociale.



Grazie a questa figura eccezionale di monaco e di uomo di chiesa, il monachesimo avellanita e camaldolese ha potuto presentarsi, nella sua storia pluricentenaria, come esperienza qualificata del cristianesimo. In questo eremo, infatti, si formarono circa cinquanta vescovi e un folto stuolo di monaci noti per santità e dottrina.



Una tradizione costante e molto antica vuole che anche il Sommo Poeta Dante Alighieri sia stato ospite di questo monastero che cantò nella Divina Commedia:







"Tra ' due liti d'Italia surgon sassi,

e non molto distanti a la tua patria,

tanto che ' troni assai suonan più bassi,

e fanno un gibbo che si chiama Catria,

di sotto al quale è consecrato un ermo,

che suole esser disposto a sola latria"







Secondo gli Annales Camaldulenses che derivano questa tradizione da altri storici a loro anteriori, il Sommo Poeta nel 1318 era ospite di Bosone di Gubbio e in quell'anno sarebbe venuto a Fonte Avellana.





Eretta abbazia nel 1325, Fonte Avellana divenne una potenza socio-economica e, di lì a poco (1392) conobbe la pratica delle commende (XIV - XV sec.).



La commenda consisteva nell'affidamento dei benefici o dei beni di proprietà di un monastero o di un'abbazia a persone estranee, per lo più di alto rango ecclesiastico o civile, al solo scopo di far la fortuna di queste.



Per tale motivo la commenda è considerata una piaga, una di quelle disgrazie che contribuirono moltissimo alla decadenza morale, oltre che materiale, di moltissimi centri monastici.









Fonte Avellana restò "commendata" fino a quasi tutto il 1700 ed anche se ebbe dei commendatari come, per esempio, il Card. Giuliano della Rovere poi Giulio II, che lasciarono segni di carattere edilizio ed abbellimenti del tutto degni di nota, nondimeno risentì profondamente degli inevitabili condizionamenti, motivo per cui la decadenza della sua vita monastica, anche se lenta, fu inesorabile.



Tale declino si concluse con la soppressione napoleonica del 1810 e di lì a poco quella italiana del 1866.



Fonte Avellana, tuttavia, ha continuato a vivere come alimentata da una sorgente interiore ed oggi, tornata ai monaci camaldolesi, ha ritrovato oltre alla bellezza austera delle sue strutture architettoniche (sec. X - sec. XIX) ormai riportate quasi per intero alla loro bellezza primitiva, anche quella fede e quella cultura che l’hanno contraddistinta fin dalle sue origini.





se vuoi sapere altre cose ekko il link

http://www.fonteavellana.it/it/home/monastero.html

di nulla..ciao!!!
Emanuela
2008-02-21 05:40:31 UTC
Pio II, visitando il Monastero di San Benedetto nel 1461, lo definì “nido di rondini”.

Incassato nella roccia a strapiombo sulla valle sottostante, tale appare al visitatore che percorre il Bosco Sacro. Pareti, volte e scale, perfettamente integrate nella pietra cui si appoggiano, con la loro irregolarità, garantiscono un’autentica suggestione in chi si avvicina per visitarlo.

Composto da due Chiese sovrapposte e da Cappelle e grotte, interamente affrescate in epoche diverse, costituisce un monumento unico, per bellezza e spiritualità, tra quanti la storia della Chiesa e dell’Arte hanno abbondantemente dotato il nostro Paese.
Marco
2008-02-21 05:37:41 UTC
Monastero San Vincenzo - Storia



Nel 1941 la chiesa di san Vincenzo, da anni in stato di abbandono, con un piccolo casolare annesso sulla facciata destra della chiesa e dei ruderi alla sinistra fu donata dal principe Innocenzo Odescalchi all'abate Luigi Merluzzi, procuratore generale e rappresentante legale della Congregazione Silvestrina. Detta chiesa fu fatta costruire intorno al 1631 dal marchese Vincenzo Giustiniani e dedicata al martire spagnolo san Vincenzo. Doveva essere, nell'intenzione del colto mecenate, il centro di un borgo e la chiesa mausoleo della sua illustre famiglia. Il progetto della chiesa è quasi sicuramente opera del Maderno, l'architetto che aveva già lavorato a S. Pietro.

Arrivati i primi monaci si adoperarono per rendere agibile la stessa chiesa e le camere annesse. Iniziarono con la riparazione dei ruderi e subito dopo l'edificazione delle nuove strutture.

Nel 1945, il 25 novembre, la vigilia della festa del nostro fondatore S. Silvestro, fecero ingresso i primi 4 ragazzi raccolti dall'abate Ildebrando Gregori perché privati dalla guerra di ogni affetto famigliare e di ogni sostentamento. L'evento segnò l'inizio di un'attività che nello spazio di pochi anni raggiungerà proporzioni davvero notevoli. Sorgevano con ritmo incessante nuovi edifici per le pressanti richieste di accoglienza della gioventù abbandonata, i figli della guerra, i figli degli emigrati all'estero, i figli dei carcerati e tutti quelli che si trovavano in stato di abbandono. Verso la metà degli anni settanta l'Istituto San Vincenzo accoglieva oltre 650 ragazzi inseriti in scuole di specializzazione e preparati nel modo migliore ad affrontare la vita. Gli istituti di accoglienza per minori subirono un rapido declino fino alla chiusura totale verso la fine degli anni settanta.

Per molto tempo il Monastero San Vincenzo è rimasto quasi inattivo in attesa di scrutare le nuove necessità. Dal 1983 è iniziata una progressiva ristrutturazione, facilitata da una munifica donazione dei coniugi Gabriella Montenero e Giulio Sansoni e che ha portato alla realizzazione di una vasta ed attrezzata foresteria.



Monastero San Vincenzo - Santuario del Santo Volto



La chiesa già dedicata al martire spagnolo san Vincenzo, diacono spagnolo del III sec., da oltre 25 anni è diventata chiesa-santuario del Santo Volto di Nostro Signore Gesù Cristo. Ciò per volere del Servo di Dio Padre Ildebrando Gregori che ha raccolto come padre spirituale, le mistiche rivelazioni di Suor Maria Pierina De Micheli. L'imponente statua del Redentore ora posta nella sacrestia è stata sostituita da un'opera scultorea e pittorica di Aronne Del Vecchio, raffigurante il lenzuolo della sindone sorretto dagli angeli e squarciato dalla luce emanante dal Volto sofferente e glorioso di Cristo. All'interno del santuario è possibile ammirare una copia a grandezza naturale del Lenzuolo della Sindone, conservato a Torino. La chiesa e meta di pellegrinaggi, è il luogo dove si invoca particolarmente la misericordia divina e il dono della pace. Ogni ultimo martedì del mese, viene celebrata una santa messa a cui segue un'ora di adorazione. Qui i monaci celebrano ogni giorno i Divini misteri e pregano nel coro.



Che cosa possiamo offrirVi...



La nostra foresteria, riconosciuta ufficialmente dalle competenti autorità come casa per ferie, dispone di camere singole, doppie, triple con servizi interni, ben arredate. Per i gruppi giovanili e per i nuclei famigliari abbiamo camere a 5 o 6 posti, con doppio servizio interno. Ai ragazzi e ai gruppi scout offriamo camerate dai 15 a 25 posti con servizi in comune. Sono inoltre a disposizione dei nostri ospiti, oltre la chiesa sale, luoghi di incontro, ambienti per paraliturgie e vasti spazi all'esterno: un campo da calcio, un vasto giardino che chiamiamo il giardino del silenzio, cortili e una grande pineta. Siamo in grado di dare ai nostri ospiti la pensione completa, la mezza pensione o il solo pernottamento. Offriamo anche la possibilità dell'autogestione. I monaci sono sempre a disposizione degli ospiti per offrire ogni servizio richiesto.

Non siamo in grado di accogliere singoli o gruppi che non abbiano preventivamente prenotato presso di noi. Per ogni informazione puoi contattare il responsabile della foresteria monastica.





Qst è qll k ho trovato spero di esserti stato utile ciao
piper
2008-02-21 05:36:49 UTC
monastero bormida ad Asti costruito nel 1050 per la protezione dei monaci. Oggi meta turistica per appassionati.

pavimenti in mosaico con volte e affreschi di monaci vari
Mimi
2008-02-21 05:36:06 UTC
Un monastero è nel Cristianesimo un edificio comune (o una serie di edifici) dove vive una comunità di monaci, sotto l'autorità di un abate. I monasteri non costituiscono un ordine religioso: ognuno di essi può essere una comunità a parte, oppure fare parte di confederazioni, con alcune funzioni di coordinamento e di mutuo aiuto.



Monastero non è sinonimo di convento. Quest'ultimo venne introdotto con l'avvento degli ordini mendicanti, i cui monaci sono chiamati "frati" e "suore", cioè fratelli o sorelle.



I monasteri cristiani iniziarono a nascere dopo l'epoca delle persecuzioni, sebbene testimonianze di vita ascetica comune in qualche modo regolata sono attestate fin dai primi secoli del cristianesimo in Oriente.



Il monastero è stato per molti secoli una piccola città, con la tendenza ad essere autosufficiente dal punto di vista economico. In molti monasteri si è tramandata nel Medioevo la cultura classica, attraverso l'opera di copiatura delle opere antiche. La diffusione dei monasteri in tutta Europa è considerata da molti un fattore decisivo della evangelizzazione del continente, soprattutto in alcune aree (si veda l'Irlanda).



I monaci vivono una vita di preghiera e di lavoro, spesso manuale, ma con varianti di grande importanza a seconda del periodo storico, dell'ordine di riferimento, della regione nella quale si trovano.



Presentano monasteri anche alcune religioni orientali, soprattutto il Buddhismo.



Nel monastero sono presenti diversi ambienti: il chiostro (il cortile interno), il dormitorio (le celle dei monaci), il refettorio (la mensa) e le officine, adibite alle varie attività lavorative



Ok?!


Questo contenuto è stato originariamente pubblicato su Y! Answers, un sito di domande e risposte chiuso nel 2021.
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