Domanda:
Mi trovate del materiale su Graia Deledda? x tesina... do i 10 punti?
Yle C
2008-06-10 05:46:52 UTC
Materiale su Grazia Deledda vita e opere e qlks su qnd ha vinto il premio nobel
Dieci risposte:
Daniela I
2008-06-10 05:49:46 UTC
http://it.wikipedia.org/wiki/Grazia_Deledda
infinity
2008-06-10 05:57:00 UTC
OPERE PRINCIPALI



Fior di Sardegna (1892)

Racconti sardi (1895), Anime oneste (1895)

Elias Portulo (1903), Cenere (1904), L’edera (1912), Canne al vento (1913), Marianna Sirca (1915), La madre (1920), Cosima (1937), Ha conseguito il premio Nobel nel 1926.

Grazia Deledda nasce a Nuoro il 27 settembre 1871. Il padre, benestante, dopo la scuola elementare assume un istruttore per guidare la ragazza nello studio dell’italiano e del francese. . .

Inizia a scrivere giovanissima, pubblica la sua prima novella a quindici anni e, dopo poco, collabora con l’allora famosa rivista femminile «Ultima moda». Le sue ambizioni letterarie vengono duramente ostacolate in famiglia e criticate dalla società nuorese. Ma Grazia non si scoraggia: invia anche in Continente le sue novelle a puntate, abbandona a poco a poco lo stile approssimativo e dialettale, approfondisce lo studio dei caratteri dei suoi personaggi e soprattutto è attenta osservatrice della natura che la circonda e dei costumi della Barbagia e di tutta la Sardegna.
Asiya
2008-06-10 05:55:56 UTC
mmm....allora ti do alcuni siti...poi vedi tu....



http://www.italialibri.net/autori/deleddag.html

http://www.premiodeledda.it/

http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/deledda.htm



Questo è più completo: http://web.tiscali.it/rosie/GraziaDeledda/
EnCrEsPaDoR
2008-06-10 05:54:08 UTC
ECCO IL RIASSUNTO SU QUELLO CHE HAI CHIESTO...

Grazia Deledda nacque a Nuoro, nel cuore della Sardegna il 27 settembre 1871 e ci rimase fino al 1900, anno in cui si trasferì definitivamente a Roma. Durante gli anni nuoresi intrecciò relazioni epistolari con larga parte del mondo letterario italiano, forse per compensare il proprio isolamento; infatti, oltre i brevi soggiorni nei paesi limitrofi presso parenti o amici, non si mosse mai da Nuoro fino al 1899, anno in cui fu invitata a Cagliari da Maria Manca, direttrice della rivista letteraria Donna Sarda. Fu durante il suo breve soggiorno a Cagliari che conobbe Palmiro Madesani, l'uomo che sposò e che le permise di trasferirsi nella capitale offrendole l'opportunità di uscire dall'isolamento letterario. La solitudine e la peculiarità culturale della regione interna del nuorese, è documentata da diversi studiosi e viaggiatori stranieri che hanno lasciato interessanti testimonianze delle loro osservazioni1. Ma a fornirci una chiara descrizione di Nuoro2 e dell’intera Sardegna attraverso la sua ricerca demologica ma soprattutto grazie alle tematiche presenti nel corpus della sua opera, è Grazia Deledda. Il mondo agro-pastorale della Sardegna a cavallo fra Otto e Novecento, le credenze, le usanze, la gastronomia, i riti, la medicina popolare, la musica, l’arte e l’artigianato sono facilmente leggibili in tutta la sua opera. I personaggi che mette in scena sono fortemente immersi nelle radici della cultura sarda, caratterizzata dal sincretismo religioso. La Deledda aveva condotto una ricerca sulle tradizioni popolari sarde raccogliendo: proverbi, usanze, filastrocche, indovinelli, riportando notizie sugli usi e costumi tradizionali, sulle feste, la gastronomia e soprattutto la magia e la medicina. La strada della ricerca etnografica, le fu suggerita da Angelo De Gubernatis3 che la chiamò a collaborare a diversi periodici da lui diretti come la rivista milanese Natura ed Arte e la Rivista delle tradizioni popolari italiane. La collaborazione alla ricerca si concluse tra il 1892 e i primi del novecento. Il rapporto con De Gubernatis ha giocato un ruolo importante, nella sua formazione demologica, nonostante non sia mai stata una studiosa di folklore, e non abbia mai avanzato tali pretese. Il 14 aprile del 1892 Grazia Deledda scrive ad Angelo De Gubernatis: "Leggo sempre la sua rivista4 e desidererei vedere il mio nome fra i collaboratori". Il 1° maggio dello stesso anno, continua: "mi permetto di dirle che sono una giovanissima signorina sarda; che sono la sola scrittrice che conti attualmente in Sardegna". Dopo qualche contatto epistolare con il direttore della rivista Natura ed Arte la Deledda avvia la sua ricerca sulle tradizioni popolari "come le ho promesso, comincerò la mia parte di raccolta per il folklore (…) mi sono fatta dettare da un pastore di Orosei una lauda per Sant’ Antonio che è la cosa più strana e curiosa che si possa immaginare". La sua “ingenuità demologica” è testimoniata in una lettera del 13 luglio 1893: "Raccoglierò pure le storielle curiosissime di Munsiù Gallone, che ho accennato in fine dell’articolo sulle leggende sarde (…). Mi dica: c’entrano anche le fiabe nel folklore?" Nel novembre dello stesso anno, scrive: "Qui ho raccolto già tutti i proverbi, che saranno centocinquanta o poco più (…) ho raccolto pure uno scongiuro contro il demonio allorché infuria la procella, e uno di questi giorni un vecchio pastore mi detterà sos berbos, altro strano scongiuro per legare l’aquila e gli avvoltoi, per impedirli cioè di piombare sul piccolo bestiame e rapirlo". La raccolta, ebbe buoni risultati, e solo due anni dopo il primo approccio alla ricerca, la Deledda scrive: "tra le cose più originali del folklore ho trovato i verbos, che sono le parole ed i riti misteriosi con cui i contadini e i pastori riescono talvolta a farsi ubbidire dalla natura (...)." "Sono andata negli ovili, nelle case più povere e più oscure, tra il fumo e la miseria, ho detto bugie, mi sono finta malata per sapere le medicine popolari, ed ho fatto tante altre piccole cose". Sollecitata da numerosi stimoli intellettuali la scrittrice si orientò presto verso una narrativa di contenuto sardo che ha avuta la sua spinta iniziale quando da bambina, seduta accanto al focolare, ascoltava dai servi e dagli amici di famiglia nelle lunghe serate invernali i racconti e le leggende delle sua Sardegna. "Cosima, come sentiva raccontare dai servi quando ritornavano di campagna, a commettere un furto, un abigeato, e farne sparire le tracce in modo che nessuno avrebbe mai sospettato del vero colpevole". Queste fantasie barbaricine non le mancavano nella mente; ma erano gli stessi servi e gli altri paesani, e spesso anche i borghesi, i parenti, gli amici del babbo, gli ospiti che venivano dai paesi dei monti e dalle valli, a seminarle i racconti nei fanciulli curiosi e sensibili coi racconti delle avventure brigantesche che allora fiorivano come un residuo di imprese e di guerriglie medioevali. "Il servo era un uomo dei paesi: si chiamava Proto (...) aveva un aspetto quasi fratesco; infatti era molto religioso e semplice (...) raccontava sempre storie di santi, sebbene Andrea e la stessa Cosima preferissero leggende o racconti briganteschi: ma questi egli li lasciava all'altro servo, che era amico dei latitanti e anche dei banditi: per contentare i padroncini Proto sceglieva una via di mezzo e narrava certe lunghe favole che sembravano romanzi". CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE 1871 Il 27 settembre nasce a Nuoro da una famiglia benestante 1877 - 1886 Frequenta la scuola elementare fino alla quarta classe, le vengono impartite anche delle lezioni private. La sua sete di sapere la portano a studiare, anche in modo disordinato, Dumas, Balzac, Hugo, Carducci, Byron, Scott, Negri e altri. 1887 Scrive la raccolta di versi Sul mare. 1888 Scrive il suo primo racconto, Sangue sardo, pubblicato dalla rivista Ultima moda. 1890 Pubblica il romanzo Stella d'Oriente, firmato con lo pseudonimo Ilia di Saint Ismail. 1891 La collana Le cento città d'Italia le pubblica Nuoro, descrizione della sua città. Comincia il contatto epistolare con Epaminonda Provaglio, direttore della rivista Ultima moda. 1892 Pubblica dall'editore Perino, Fior di Sardegna e alcune novelle. 1893 Nel 1893 comincia la sua collaborazione alla Rivista delle tradizioni popolari italiane, diretta da Angelo De Gubernatis. 1894 Pubblica la raccolta Racconti sardi. La rivista del De Gubernatis stampa a puntate Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna. 1895 Pubblica la raccolta di novelle Le tentazioni. Esce Anime oneste. 1896 Comincia il successo letterario: La via del male è pubblicato da Speirani a Torino. La Gazzetta del Popolo di Torino lo pubblicò in appendice con il titolo Il servo; nello stesso anno di nuovo con il titolo La via del male il romanzo uscì di volume nella Biblioteca Romantica della Nuova antologia di Roma; infine, nel 1916, presso l'editore Treves di Milano, se ne ebbe una nuova ed ultima versione. 1897 Pubblica un poemetto, Paesaggi sardi, il romanzo Il tesoro e la raccolta di novelle dal titolo L'ospite. 1899 Da Speirani, a Torino, pubblica il romanzo La giustizia. A Roma, la rivista letteraria Nuova Antologia pubblica a puntate il romanzo Il vecchio della montagna. Si reca a Cagliari, ospite di Maria Manca diretrice della rivista letteraria: Donna Sarda. Qui conosce il suo futuro marito Palmiro Madesani. 1900 Si sposa e si trasferisce a Roma, nasce il loro primogenito Sardus. Pubblica a puntate su Nuova Antologia, il romanzo Elias Portolu. 1902 Esce il romanzo Dopo il divorzio. 1904 La Nuova Antologia pubblica a puntate il romanzo Cenere. 1905 Esce il romanzo Nostalgie, dedicato al marito. Treves pubblica la raccolta di novelle I giuochi della vita. 1906 L'editore Colombo di Roma pubblica il romanzo L'edera. 1907 Escono il romanzo L'ombra del passato e le novelle Amori moderni. 1908 La Nuova Antologia pubblica la raccolta di novelle Il nonno. 1909 Sulla Nuova Antologia, pubblica il romanzo Sino al confine. 1910 Pubblica con la Nuova Antologia, il romanzo Il nostro padrone. 1911 Esce il romanzo Nel deserto. 1912 Pubblicati da Treves, escono il romanzo Colombi e sparvieri e la raccolta Chiaroscuro. 1913 Esce il romanzo Canne al vento, prima a puntate sulla rivista L'illustrazione italiana, poi con Treves. 1914 La Nuova Antologia pubblica Le colpe altrui. 1915 Esce Marianna Sirca. 1916 Treves pubblica la raccolta di novelle Il fanciullo nascosto. 1917 Esce il romanzo L'incendio nell'oliveto. 1919 Escono le raccolte di novelle Il ritorno del figlio e La bambina rubata. È pubblicato a puntate dalla rivista Il tempo, il romanzo La madre. 1921 Pubblica un libretto d'opera intitolato La Grazia. Il Treves pubblica il romanzo Il segreto dell'uomo solitario e la raccolta di novelle Cattive compagnie. 1922 Esce il romanzo Il Dio dei viventi. 1923 Pubblica la raccolta di novelle Il flauto nel bosco e l'antologia Le più belle pagine di Silvio Pellico scelte da Grazia Deledda. 1924 Esce il romanzo La danza della collana. 1925 Esce a puntate il romanzo La fuga in Egitto. 1926 E' insignita del premio Nobel per la letteratura. Pubblica la raccolta di novelle Il sigillo d'amore. 1927 Pubblica il romanzo Annalena Bilsini. 1928 Il romanzo Il vecchio e i fanciulli. 1929 Pubblica le raccolte di novelle La casa del poeta e Il dono di Natale. Traduce dal francese il romanzo di Honoré de Balzac Eugenia Grandet. 1931 Il romanzo Il paese del vento. 1932 Pubblica la raccolta di novelle La vigna sul mare. 1933 Un altro romanzo: L'argine. 1936 Muore, ma prima dà alle stampe il romanzo La chiesa della Solitudine. 1937 Esce a puntate sulla Nuova Antologia il romanzo postumo Cosima, quasi Grazia, poi pubblicato da Treves
elisewin.1
2008-06-10 05:53:09 UTC
http://it.wikipedia.org/wiki/Grazia_Deledda;

http://www.italialibri.net/autori/deleddag.html;

http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/deledda.htm;

C'è un bel pò di materiale...
°●¢нєяιє●°
2008-06-10 05:52:46 UTC
ankio ho ftt la tesinasu grazia deledda...cmq......Nella seconda metà del 1800 in Italia nacque la scrittrice Grazia Deledda. Lei non frequentò la scuola ma coltivò da sola la passione per la lettura e la scrittura, a 13 anni scrisse il suo primo romanzo. Le sue opere raccontano soprattutto storie d’ amore dominate da un destino tragico e inesorabile. Scrisse anche alcune opere teatrali e nel 1926 le venne assegnato il premio nobel per la letteratura. I critici riconoscono nelle opere della Deledda caratteri che si rifanno al verismo di Verga e al decadentismo di D’ Annunzio. Nei romanzi della Deledda vi è sempre un forte connubio tra i luoghi e le persone, tra gli stati d'animo e il paesaggio. Il paesaggio dei suoi romanzi e novelle è quello aspro della nativa Sardegna che però non viene rappresentato secondo gli schemi veristici regionali e nemmeno con la fantastica coloritura dannunziana, ma viene rappresentato e rivissuto attraverso il mito.

La Deledda in maniera netta anche se sommessa, ha messo in evidenza la distanza tra la lingua italiana e la lingua sarda, quella che i critici amano ancora oggi chiamare impropriamente dialetto. In una sua lettera scrive: "Leggo relativamente poco, ma cose buone e cerco sempre di migliorare il mio stile. Io scrivo ancora male in italiano - ma anche perché ero abituata al dialetto sardo che è per se stesso una lingua diversa dall'italiana". La lingua italiana è quindi, per lei sardofona, una lingua non sua, una lingua che deve conquistarsi. La composizione in lingua italiana, per uno scrittore che assuma la materia della narrazione dal proprio vissuto e dal proprio universo antropologico sardo, presenta numerose e sostanziali difficoltà e problemi.

è abbastanza facile...
?
2008-06-10 05:52:23 UTC
La vita di Grazia Deledda, e l’opera, che ne costituisce quasi per intero la parte visibile, parrebbero costituire un “caso”, se ci si limitasse alla letteralità esemplare dei dati, senza reintegrarla nella trama d’un tessuto culturale ed esistenziale.





La nascita nella perifericissima Nuoro del 1876, la condizione d’autodidatta, seppure nel seno d’una famiglia borghese e acculturata, danno l’illusione d’una sorta di partenogenesi letteraria. In realtà, non va dimenticato che il canone delle letture e ispirazioni giovanili della Deledda non si limita alla pur ricca biblioteca paterna (si ha notizia d’un professore, ospite d’una sua zia, con al seguito casse di libri), né vanno sottovalutate le ricerche etnologiche compiute dalla Deledda su impulso del De Gubernatis, né ancora va trascurato l’influsso che senz’altro ebbero sulla giovane Deledda i dibattiti politici, sociali e culturali assai vivi nella pur effimera stampa periodica nella Sardegna dell’epoca.



D’altro canto, non si spiega l’interesse di pubblico e di critica per la sua narrativa d’ambientazione sarda senza rammentare di passata un precursore, Salvatore Farina, callido confezionatore a getto continuo di best sellers che inondavano le appendici dei quotidiani di tutta Italia a fine ‘800. All’incrocio tra il Verismo e il particolarissimo Decadentismo che in Italia ha come pietra di paragone D’Annunzio, l’opera della Deledda sembra quasi un risultato necessario, ancorché fragile, provvisorio e mai pienamente assestato. Il suo itinerario, del resto, rimane sempre assai personale, senza scosse, senza forti mutazioni di rotta e bruschi aggiornamenti, anche dopo il trasferimento, nel 1900, a Roma, dove risiede per il resto della sua vita.





razia Deledda nasce a Nuoro il 27 settembre 1871. Il padre, benestante, dopo la scuola elementare — unica istruzione formale ricevuta dalla scrittrice — assume un istruttore per guidare la ragazza nello studio dell’italiano e del francese. Proprio a causa della breve educazione regolare e della giovanile propensione per la letteratura d’appendice (Sue, Dumas, Invernizio), durante tutta la precoce e fortunata carriera, Grazia Deledda ebbe non pochi detrattori, che la giudicarono rozza e illetterata. L'unica eccezione di rilievo fu Luigi Capuana. Anche l’attribuzione nel 1926 del Nobel per la letteratura, non contribuì a dissolvere i dubbi e l’ostilità di una parte della critica, che ancora oggi continua a relegarla in una posizione di secondo piano tra gli scrittori del primo novecento italiano.

Inizia a scrivere giovanissima, pubblica la sua prima novella a quindici anni e, dopo poco, collabora con l’allora famosa rivista femminile «Ultima moda». Le sue ambizioni letterarie vengono duramente ostacolate in famiglia e criticate dalla retriva società nuorese. Ma Grazia non si scoraggia: invia anche in Continente le sue novelle a puntate, abbandona a poco a poco lo stile approssimativo e dialettale, approfondisce lo studio dei caratteri dei suoi personaggi e soprattutto inizia a connotarsi come acutissima osservatrice della natura che la circonda e dei costumi della Barbagia e di tutta la Sardegna. Il suo stile comincia a personalizzarsi e, pur riconducibile talvolta al verismo ottocentesco, si connota sempre di più per il marcato regionalismo.

Il suo primo romanzo Fior di Sardegna esce nel 1892, seguito da Anime oneste del 1895.

Nel 1900 sposa Palmiro Madesani, funzionario ministeriale, e si stabilisce a Roma dove rimarrà fino alla morte, trasferendosi, di tanto in tanto per trascorrere le vacanze, a Cervia, la cittadina sull’Adriatico a lei così cara e alla quale dedicherà pagine vibranti d’affetto e nostalgia.

A Roma vedono la luce, tra le altre, le opere: Elias Portolu, il suo capolavoro, Cenere, L’edera, Canne al vento, Marianna Sicra.

Nel 1926 riceve, seconda donna ad essere insignita di tale onorificenza, il Nobel per la letteratura.

Il suo romanzo autobiografico, Cosima, uscirà nel 1937, ad un anno dalla morte, avvenuta a Roma il 15 agosto 1936.

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Schematicamente, le sue opere, già dagli esordi, mirano alla pittura di caratteri, come traspare fin dai titoli (Anime oneste, 1895, La via del male, 1896). Le maggiori, poi, fra le quali ricordiamo Elias Portolu, 1900, Cenere (1904), Il segreto di un uomo solitario (1914), Canne al vento (1913), Marianna Sirca (1915), possono leggersi come lo sviluppo e la discussione di casi di coscienza, nell’alveo di un cattolicesimo terragno, confinante con una dimensione tutta prelogica. Seppur debitrici al sopravvenuto influsso dei romanzieri russi, sono opere da annoverarsi fra i molti tentativi, imperfettamente riusciti e rimasti senza seguito, di creare una moderna via italiana del romanzo.



Altre opere si succederanno, con una crescente intenzione autobiografica e introspettiva, e sempre con fortuna di pubblico, fino alla scomparsa dell’autrice, avvenuta a Roma nel 1936. Lascerà un’opera incompiuta: Cosima, che i curatori pubblicheranno col significativo sottotitolo di Quasi Grazia.



Il realismo della Deledda assorbe e in certa misura metabolizza anche ciò che contraddice al realismo. Sogno, magia, religione pesano sugli eventi quanto e più delle cause sociali ed economiche. Parallelamente, la ricerca di un bello scrivere mediano, affine a un livello discorsivo colto ma non dimentico d’un qualche classicismo, fa sì che la pagina deleddiana, anche quella più nuda, appaia stipata di apporti, denunciando una sorta d’horror vacui, di perenne inglobazione d’elementi.



Per altro, la renitenza tutta italiana a riflettere sull’artificialità del genere romanzesco (genere d’importazione, non si dimentichi), l’assenza di una tradizione matura che renda possibili le astuzie di Conrad e di James, ammette sviluppi solo in una direzione in cui l’artificio è del genere più immediatamente consentano alla cultura locale, quello che attinge da una parte al novellare d’ascendenza orale, dall’altra al melodramma. È fra queste linee di demarcazione che va individuata la cifra essenziale dell’opera deleddiana. Non meravigli dunque che una narrativa fondata su questi materiali di recupero abbia potuto suscitare l’ammirazione di un D. H. Lawrence, né che la Deledda sia stata ampiamente tradotta e abbia conseguito il premio Nobel nel 1926. Ritirato, come suggestivamente racconta Maria Giacobbe sulla scorta della stampa svedese d’epoca, senza l’ombra d’un sorriso.



OPERE PRINCIPALI



Fior di Sardegna (1892)

Racconti sardi (1895), Marco Valerio, 2001

Anime oneste (1895)

Elias Portulo (1903), a cura di Spinazzola, Mondadori, Oscar narrativa, 1998

Cenere (1904), Mondadori, Oscar narrativa, 1999

L’edera (1912), Mondadori, Oscar narrativa, 1999

Canne al vento (1913), Marco Valerio, 2001

Marianna Sirca (1915), Mondadori, Oscar narrativa, 1999

La madre (1920), Mondadori, Oscar narrativa, 1999

Cosima (1937), Mondadori, Oscar narrativa, 1998
2008-06-10 05:51:26 UTC
su graia deledda nn o trovato nnt... su grazia deledda qst...nn so se è qll k cercavi...



http://it.wikipedia.org/wiki/Grazia_Deledda
Giuseppe G
2008-06-10 05:50:52 UTC
Maria Grazia Cosima Deledda (Nuoro, 27 settembre 1871 – Roma, 15 agosto 1936) è stata una scrittrice italiana, originaria della Sardegna e vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 1926.



Indice [nascondi]

1 Biografia

2 Poetica

3 Deledda e la critica

4 Lingua e stile

5 Deledda e i narratori russi

6 Opere principali

7 Altri progetti

8 Collegamenti esterni







Biografia [modifica]

Nacque a Nuoro, penultima di sei figli, in una famiglia benestante di piccoli proprietari. Il padre, Giovanni Antonio, era un piccolo imprenditore e agiato possidente, fu poeta improvvisatore, e sindaco di Nuoro nel 1892; la madre, Francesca Cambosu, era una donna religiosissima, allevò i figli con estremo rigore morale. Dopo aver frequentato le scuole elementari venne seguita, privatamente, da un professore ospite di una sua parente; i costumi del tempo non consentivano alle ragazze una istruzione completa oltre quella primaria e in generale degli studi regolari. Successivamente approfondì, da autodidatta, gli studi letterari. Importante per la formazione letteraria di Grazia Deledda, nei primi anni della sua carriera da scrittrice, fu l' amicizia con lo scrittore sassarese Enrico Costa, cioè colui che per primo ne comprese il talento.



Esordì come scrittrice con alcuni racconti pubblicati sulla rivista "L'ultima moda" quando affiancava ancora alla sua opera narrativa quella poetica.

Nell'azzurro, pubblicato da Trevisani nel 1890 può considerarsi la sua opera d'esordio.



Ancora in bilico tra l'esercizio poetico e quello narrativo si ricordano, tra le prime opere, Paesaggi edito da Speirani nel 1896. Nel 1900, sposò Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze conosciuto a Cagliari nell'ottobre del 1899, la scrittrice si trasferì a Roma e in seguito alla pubblicazione di Anime oneste del 1895 e di Il vecchio della montagna del 1900, oltre alla collaborazione sulle riviste "La Sardegna", "Piccola rivista" e "Nuova Antologia", la critica inizia ad interessarsi alle sue opere, che vantano prefazioni di nomi quali Ruggero Bonghi e Luigi Capuana.



Nel 1903 pubblica Elias Portolu che la conferma come scrittrice e la avvia ad una fortunata serie di romanzi e opere teatrali: Cenere (1904), L'edera (1906), Sino al confine (1911), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento (1913), L'incendio nell'oliveto (1918), Il Dio dei venti (1922).



Da Cenere fu tratto un film interpretato da Eleonora Duse.



La sua opera fu stimata da Capuana e Verga oltre che da scrittori più giovani come Enrico Thovez, Pietro Pancrazi e Renato Serra.



La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (Santu Predu), è adibita a museo.



Grazia Deledda fu anche traduttrice, sua infatti una versione di Eugénie Grandet di Honoré de Balzac.





Poetica [modifica]

La narrativa della Deledda si basa su forti vicende d'amore, di dolore e di morte sulle quali aleggia il senso del peccato, della colpa, e la coscienza di una inevitabile fatalità.



È stata ipotizzata un'influenza del verismo di Giovanni Verga ma, a volte, anche quella del decadentismo di Gabriele D'Annunzio, oltre che di Lev Nikolaevič Tolstoj.



Nei romanzi della Deledda vi è sempre un forte connubio tra i luoghi e le persone, tra gli stati d'animo e il paesaggio. Il paesaggio dei suoi romanzi e novelle è quello aspro della nativa Sardegna che però non viene rappresentato secondo gli schemi veristici regionali e nemmeno con la fantastica coloritura dannunziana, ma viene rappresentato e rivissuto attraverso il mito.



« Intendo ricordare la Sardegna della mia fanciullezza, ma soprattutto la saggezza profonda ed autentica, il modo di pensare e di vivere, quasi religioso di certi vecchi pastori e contadini sardi (...) nonostante la loro assoluta mancanza di cultura, fa credere ad una abitudine atavica di pensiero e di contemplazione superiore della vita e delle cose di là della vita. Da alcuni di questi vecchi ho appreso verità e cognizioni che nessun libro mi ha rivelato più limpide e consolanti. Sono le grandi verità fondamentali che i primi abitatori della terra dovettero scavare da loro stessi, maestri e scolari a un tempo, al cospetto dei grandiosi arcani della natura e del cuore umano... »

(Discoteca di Stato: parole registrate nella serie "La Voce dei Grandi", anche in "Il Convegno", Omaggio alla Deledda (N. Valle), 1959.)



La critica ha incasellato la sua opera di volta in volta in questo o in quell'-ismo: regionalismo, verismo, decadentismo... Alcuni critici invece preferiscono riconoscerle, com'è dovuto ai grandi autori, l'originalità della sua poetica: per quanto ben inserita nel contesto del Novecento europeo, essa tutto sfiora, senza a niente appartenere.



Il sapore vagamente verista della sua produzione le procurò le antipatie degli abitanti di Nuoro, in cui le storie erano ambientate. I suoi concittadini erano infatti dell'opinione che descrivesse la Sardegna come terra grezza ed arretrata. In realtà non era intenzione della Deledda assumersi un impegno sociale come quello che spesso caratterizzò il Verismo.





Deledda e la critica [modifica]

Grazia Deledda ritratta con il marito e il figlioIl primo a dedicare a Grazia Deledda una monografia critica a metà degli anni '30 fu Francesco Bruno. Nella storia letteraria di Attilio Momigliano, in quella di Francesco Flora e in quella di Natalino Sapegno, negli anni Quaranta-Cinquanta, probabilmente ancora Sessanta, nelle storie e nelle antologie scolastiche della letteratura italiana, la presenza della Deledda aveva grande rilievo critico e numerose pagine antologizzate, specialmente dalle novelle. In una antologia, di Sapegno per il ginnasio, era pubblicato uno dei suoi capolavori: la novella di Cristo mietitore.



E tuttavia i critici si trovavano in difficoltà nel collocarla storicamente tra Verismo o Decadentismo. La sua opera finiva per non collimare mai né coi loro parametri né sulla "carta millimetrata del Novecento". Si pretese di giudicarla sulla base di schemi che non superavano la barriera del Naturalismo e di una teoria della lingua e dell'arte che non poteva comprendere la complessità del sistema letterario in Sardegna. Probabilmente devono essere state queste le ragioni, insieme alla concezione dell'arte come rispecchiamento della realtà, che ne determinarono l'eclissi. Presso i critici, non presso il grande pubblico.



E tuttavia le spetta indubbiamente un posto da comprimaria nel primo novecento, insieme a Pirandello, anche lui Premio Nobel, a distanza di appena dieci anni. I nostri critici giudicavano la sua opera astrusa e cerebrale. E proprio Pirandello, anche lui del gruppo della Nuova Antologia, nutriva rispetto e considerazione per la Deledda, ne intuiva il talento, capiva che scriveva per rappresentare l'essenza della vita nella sua tragicità. Come i veri, grandi narratori, quelli russi in particolare.



I primi a non comprendere la Deledda furono tuttavia i suoi conterranei, escludendo naturalmente quei pochi, che la compresero subito: Ruju, Biasi e altri che facevano parte di quel clima. Molti degli intellettuali sardi del suo tempo si sentirono traditi e non accettarono la sua operazione letteraria.



L'attività di Grazia Deledda nell'ambiente dei pittori della Secessione e della Secessione romana è una questione poco indagata nel Novecento. Il rapporto tra la Deledda del periodo romano e gli artisti suoi contemporanei resta legata tanto all'immagine etnografica, quanto alle domande importanti sull'arte in generale che i movimenti della Secessione ponevano sia in pittura che in letteratura. Quella poca attenzione per il versante pittorico-letterario ha spinto i critici a lasciare che la Deledda, restasse per abitudine inclusa nella cultura del Verismo. Eppure la Deledda nel periodo romano aveva adeguato la sua formazione ai livelli alti dell'arte europea. Frequentava non solo Plinio Nomellini che la ritrasse in un dipinto, ma anche altri artisti della Secessione romana (Cambellotti, Prini, Antonio Maraini, che curava le Biennali d'arte di Venezia, Dazzi, Viani, i Cascella). Il suo interesse per la pittura e per l'arte era autentico, si teneva al corrente delle esposizioni, scriveva i testi per le presentazioni di mostre. Abitava, insieme ad altri artisti e giornalisti, in un quartiere sulla Nomentana dove aveva il suo grande studio Ettore Ximenes, scultore di gruppi marmorei dell'Altare della Patria.





Lingua e stile [modifica]

Molte considerazioni suscitano ancora oggi le scelte stilistiche che riguardano più direttamente la lingua e i linguaggi nella prosa narrativa di Grazia Deledda. È stata la stessa Deledda a chiarire più volte, nelle interviste e nelle lettere, la distanza tra la cultura e la civiltà sarda e la cultura e la civiltà italiana. Ma anche questo suo parlare liberamente del proprio stile e delle proprie lingue ha suscitato e suscita soprattutto oggi interpretazioni fuorvianti, e tuttavia ripropone senza posa l'intenso rapporto tra civiltà-cultura-lingua come una equazione mal risolta. Proprio oggi che la nostra lingua italiana di ogni giorno riflette e assorbe, sulla carta stampata del linguaggio quotidiano, tutta l'anglicizzazione del mondo globale. La Deledda in maniera netta anche se sommessa, ha messo in evidenza la distanza tra la lingua italiana e la lingua sarda, quella che i critici amano ancora oggi chiamare impropriamente dialetto. In una sua lettera scrive: "Leggo relativamente poco, ma cose buone e cerco sempre di migliorare il mio stile. Io scrivo ancora male in italiano - ma anche perché ero abituata al dialetto sardo che è per se stesso una lingua diversa dall'italiana". La lingua italiana è quindi, per lei sardofona, una lingua non sua, una lingua che dev
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2008-06-10 05:49:41 UTC
a vita di Grazia Deledda, e l’opera, che ne costituisce quasi per intero la parte visibile, parrebbero costituire un “caso”, se ci si limitasse alla letteralità esemplare dei dati, senza reintegrarla nella trama d’un tessuto culturale ed esistenziale.





La nascita nella perifericissima Nuoro del 1876, la condizione d’autodidatta, seppure nel seno d’una famiglia borghese e acculturata, danno l’illusione d’una sorta di partenogenesi letteraria. In realtà, non va dimenticato che il canone delle letture e ispirazioni giovanili della Deledda non si limita alla pur ricca biblioteca paterna (si ha notizia d’un professore, ospite d’una sua zia, con al seguito casse di libri), né vanno sottovalutate le ricerche etnologiche compiute dalla Deledda su impulso del De Gubernatis, né ancora va trascurato l’influsso che senz’altro ebbero sulla giovane Deledda i dibattiti politici, sociali e culturali assai vivi nella pur effimera stampa periodica nella Sardegna dell’epoca.



D’altro canto, non si spiega l’interesse di pubblico e di critica per la sua narrativa d’ambientazione sarda senza rammentare di passata un precursore, Salvatore Farina, callido confezionatore a getto continuo di best sellers che inondavano le appendici dei quotidiani di tutta Italia a fine ‘800. All’incrocio tra il Verismo e il particolarissimo Decadentismo che in Italia ha come pietra di paragone D’Annunzio, l’opera della Deledda sembra quasi un risultato necessario, ancorché fragile, provvisorio e mai pienamente assestato. Il suo itinerario, del resto, rimane sempre assai personale, senza scosse, senza forti mutazioni di rotta e bruschi aggiornamenti, anche dopo il trasferimento, nel 1900, a Roma, dove risiede per il resto della sua vita.





razia Deledda nasce a Nuoro il 27 settembre 1871. Il padre, benestante, dopo la scuola elementare — unica istruzione formale ricevuta dalla scrittrice — assume un istruttore per guidare la ragazza nello studio dell’italiano e del francese. Proprio a causa della breve educazione regolare e della giovanile propensione per la letteratura d’appendice (Sue, Dumas, Invernizio), durante tutta la precoce e fortunata carriera, Grazia Deledda ebbe non pochi detrattori, che la giudicarono rozza e illetterata. L'unica eccezione di rilievo fu Luigi Capuana. Anche l’attribuzione nel 1926 del Nobel per la letteratura, non contribuì a dissolvere i dubbi e l’ostilità di una parte della critica, che ancora oggi continua a relegarla in una posizione di secondo piano tra gli scrittori del primo novecento italiano.

Inizia a scrivere giovanissima, pubblica la sua prima novella a quindici anni e, dopo poco, collabora con l’allora famosa rivista femminile «Ultima moda». Le sue ambizioni letterarie vengono duramente ostacolate in famiglia e criticate dalla retriva società nuorese. Ma Grazia non si scoraggia: invia anche in Continente le sue novelle a puntate, abbandona a poco a poco lo stile approssimativo e dialettale, approfondisce lo studio dei caratteri dei suoi personaggi e soprattutto inizia a connotarsi come acutissima osservatrice della natura che la circonda e dei costumi della Barbagia e di tutta la Sardegna. Il suo stile comincia a personalizzarsi e, pur riconducibile talvolta al verismo ottocentesco, si connota sempre di più per il marcato regionalismo.

Il suo primo romanzo Fior di Sardegna esce nel 1892, seguito da Anime oneste del 1895.

Nel 1900 sposa Palmiro Madesani, funzionario ministeriale, e si stabilisce a Roma dove rimarrà fino alla morte, trasferendosi, di tanto in tanto per trascorrere le vacanze, a Cervia, la cittadina sull’Adriatico a lei così cara e alla quale dedicherà pagine vibranti d’affetto e nostalgia.

A Roma vedono la luce, tra le altre, le opere: Elias Portolu, il suo capolavoro, Cenere, L’edera, Canne al vento, Marianna Sicra.

Nel 1926 riceve, seconda donna ad essere insignita di tale onorificenza, il Nobel per la letteratura.

Il suo romanzo autobiografico, Cosima, uscirà nel 1937, ad un anno dalla morte, avvenuta a Roma il 15 agosto 1936.

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Schematicamente, le sue opere, già dagli esordi, mirano alla pittura di caratteri, come traspare fin dai titoli (Anime oneste, 1895, La via del male, 1896). Le maggiori, poi, fra le quali ricordiamo Elias Portolu, 1900, Cenere (1904), Il segreto di un uomo solitario (1914), Canne al vento (1913), Marianna Sirca (1915), possono leggersi come lo sviluppo e la discussione di casi di coscienza, nell’alveo di un cattolicesimo terragno, confinante con una dimensione tutta prelogica. Seppur debitrici al sopravvenuto influsso dei romanzieri russi, sono opere da annoverarsi fra i molti tentativi, imperfettamente riusciti e rimasti senza seguito, di creare una moderna via italiana del romanzo.



Altre opere si succederanno, con una crescente intenzione autobiografica e introspettiva, e sempre con fortuna di pubblico, fino alla scomparsa dell’autrice, avvenuta a Roma nel 1936. Lascerà un’opera incompiuta: Cosima, che i curatori pubblicheranno col significativo sottotitolo di Quasi Grazia.



Il realismo della Deledda assorbe e in certa misura metabolizza anche ciò che contraddice al realismo. Sogno, magia, religione pesano sugli eventi quanto e più delle cause sociali ed economiche. Parallelamente, la ricerca di un bello scrivere mediano, affine a un livello discorsivo colto ma non dimentico d’un qualche classicismo, fa sì che la pagina deleddiana, anche quella più nuda, appaia stipata di apporti, denunciando una sorta d’horror vacui, di perenne inglobazione d’elementi.



Per altro, la renitenza tutta italiana a riflettere sull’artificialità del genere romanzesco (genere d’importazione, non si dimentichi), l’assenza di una tradizione matura che renda possibili le astuzie di Conrad e di James, ammette sviluppi solo in una direzione in cui l’artificio è del genere più immediatamente consentano alla cultura locale, quello che attinge da una parte al novellare d’ascendenza orale, dall’altra al melodramma. È fra queste linee di demarcazione che va individuata la cifra essenziale dell’opera deleddiana. Non meravigli dunque che una narrativa fondata su questi materiali di recupero abbia potuto suscitare l’ammirazione di un D. H. Lawrence, né che la Deledda sia stata ampiamente tradotta e abbia conseguito il premio Nobel nel 1926. Ritirato, come suggestivamente racconta Maria Giacobbe sulla scorta della stampa svedese d’epoca, senza l’ombra d’un sorriso.



OPERE PRINCIPALI



Fior di Sardegna (1892)

Racconti sardi (1895), Marco Valerio, 2001

Anime oneste (1895)

Elias Portulo (1903), a cura di Spinazzola, Mondadori, Oscar narrativa, 1998

Cenere (1904), Mondadori, Oscar narrativa, 1999

L’edera (1912), Mondadori, Oscar narrativa, 1999

Canne al vento (1913), Marco Valerio, 2001

Marianna Sirca (1915), Mondadori, Oscar narrativa, 1999

La madre (1920), Mondadori, Oscar narrativa, 1999

Cosima (1937), Mondadori, Oscar narrativa, 1998



A cura della Redazione Virtuale


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