Domanda:
10 al migliore?
?
2008-01-06 04:14:11 UTC
ciao mi potreste dire ke carattere aveva napoleone davanti agli eventi? cioè di vittoria e sconfitta?
e magari se riuscite un a descrizione di se ... del fisico ( fisiologico)
grazie mile!!!!!!!!! vi adoro!!!!!!!!!!!!!1
Quattro risposte:
2008-01-06 04:22:23 UTC
napoleone era un uomo basso, moro e grasso.

ha avuto alti e bassi nella sua vita, quindi è difficile giudicare i suoi stati d' animo nei vari periodi.
2008-01-06 12:20:36 UTC
Il grande napoleone concepiva solo la vittoria in cuor suo quindi di vittoria! il fisico... poverello quante gliene dicono! basso grasso ma secondo me cmq affascinante
lisergico
2008-01-06 12:20:21 UTC
impassibile, fiero severo e autoritario, faceva solo qualche complimento ai suoi capitani e a fine battaglia durante le cene reali era usanza che il condottiero facesse un discorso hai suoi diretti, prima di ricevere gli elogi reali.
2008-01-06 12:19:36 UTC
Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 15 agosto 1769 – Isola di Sant'Elena, 5 maggio 1821) è stato un generale e imperatore francese, nonché figura storica di straordinaria rilevanza.



Prima ufficiale d'artiglieria, poi generale durante la rivoluzione francese, governò la Francia a partire dal 1799: fu primo console dal novembre 1799 al maggio 1804 ed imperatore dei francesi, con il nome di Napoleone I (Napoléon Ier ), dal dicembre 1804 all'aprile 1814 e nuovamente dal 20 marzo al 22 giugno 1815. Fu anche presidente della Repubblica Italiana dal 1802 al 1805 e re d'Italia dal 1805 al 1814, «mediatore» della Repubblica Elvetica dal 1803 al 1813 e «protettore» della Confederazione del Reno dal 1806 al 1813.



Grazie a una serie di brillanti campagne militari e alleanze, conquistò e governò larga parte dell'Europa continentale, esportando gli ideali rivoluzionari di rinnovamento sociale e arrivando a controllare numerosi Regni europei tramite i membri della sua famiglia (Spagna, Napoli, Westfalia e Olanda). La disastrosa Campagna di Russia (1812) segnò la fine del suo dominio sull'Europa. Sconfitto a Lipsia dagli alleati europei nell'ottobre del 1813, Napoleone abdicò nell'aprile del 1814 e venne esiliato all'Isola d'Elba.



Nel marzo del 1815, abbandonata furtivamente l'Elba, sbarcò vicino ad Antibes e rientrò a Parigi «senza sparare un sol colpo», riconquistando il potere per il periodo detto dei Cento Giorni, finché non venne definitivamente sconfitto a Waterloo dalla settima coalizione, il 18 giugno 1815. Trascorse gli ultimi anni di vita in esilio all'isola di Sant'Elena, sotto il controllo degli inglesi. Dopo la sua caduta, il Congresso di Vienna ristabilì in Europa i vecchi Regni pre-napoleonici (Restaurazione).



Fu il primo regnante della dinastia dei Bonaparte. Sposò Joséphine de Beauharnais nel 1796, e in seconde nozze l'arciduchessa Maria Luisa d'Austria, l'11 febbraio 1810, dalla quale ebbe l'unico figlio legittimo, Napoleone Luigi detto il re di Roma (1811-1832). La sua figura ha ispirato artisti, letterati, musicisti, politici e storici, dall'ottocento sino ai giorni nostri.

Primi anni e carriera nell'esercito [modifica]

Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio in Corsica poco più di un anno dopo la stipulazione del Trattato di Versailles (maggio 1768), con il quale la Repubblica di Genova lasciava mano libera alla Francia in Corsica, che fu così invasa dalle armate di Luigi XV e annessa al patrimonio personale del Re.



La famiglia Bonaparte apparteneva alla piccola borghesia còrsa[1] e aveva forse lontane origini nobili toscane (sembra accertato che gli antenati fossero, al servizio di Genova, immigrati in Corsica da Sarzana nel XVI secolo).



Il padre di Napoleone, Carlo Maria Buonaparte (Napoleone "francesizzò" il cognome in "Bonaparte" dopo la morte del padre, pochi giorni prima di sposare Giuseppina e partire per la campagna d'Italia), avvocato laureatosi all'Università di Pisa, aveva effettuato ricerche araldiche per ottenere, presso i lontani parenti toscani di San Miniato (Pisa), una patente di nobiltà che gli conferisse prestigio in Patria e gli permettesse di meglio provvedere dell'istruzione dei figli; morì ancor giovane di un tumore, nel 1785. La madre, Letizia Ramolino, sopravvisse allo stesso Napoleone, passando gli ultimi anni della sua vita a Roma, dove morì nel 1836. Letizia Ramolino ebbe 13 figli, di cui solo otto le sopravvissero: i fratelli Giuseppe, Luciano, Luigi e Girolamo; le sorelle Elisa, Paolina e Carolina.



Fu solo grazie al titolo nobiliare ottenuto in Toscana che Carlo poté iscriversi al Libro della nobiltà di Corsica, istituito dai francesi per consolidare la conquista dell'isola, e solo grazie a tale iscrizione, all'età di appena nove anni, il giovane Napoleone fu ammesso il 23 aprile 1779, per iniziativa del padre, alla Scuola reale di Brienne-le-Château, nel nord della Francia, ove rimase per cinque anni. Per migliorare il suo francese e prepararsi alla scuola frequentò prima per quattro mesi il collegio di Autun.



Napoleone inizialmente non si considerava francese e si sentiva a disagio in un ambiente dove i suoi compagni di corso erano in massima parte provenienti dalle file dell'alta aristocrazia transalpina, e lo prendevano crudelmente in giro motteggiando il suo nome come "la paille au nez" (l'accusa di essere straniero l'avrebbe perseguitato per tutta la vita). Senza amici e mal considerato, anche per la fragile apparenza fisica, il giovane Napoleone si dedicò con costanza agli studi, riuscendo particolarmente bene in matematica.



Il 22 ottobre 1784 Luigi XVI gli concesse un posto di cadetto-gentiluomo nella École Militaire di Parigi, fondata da Luigi XV. Nel 1785 tentò di passare in Marina, ma in seguito all'annullamento degli esami d'ammissione di quell'anno, passò in artiglieria, desideroso di abbandonare gli studi al più presto e dedicarsi alla carriera militare. Ottenne quindi la nomina a sottotenente a soli 16 anni e fu distaccato presso un reggimento di stanza a Valence (Drôme), nel sud-est della Francia.



Allo scoppio della rivoluzione, nel 1789, Napoleone (ormai ufficiale del re Luigi XVI) riuscì a ottenere una lunga licenza e ne approfittò per riparare al sicuro in Corsica, ove si unì al movimento rivoluzionario assumendo il grado di tenente colonnello della Guardia Nazionale. Nel 1792 si rifiutò di tornare a servire nell'Armata in Francia e fu pertanto considerato disertore. Su pressione dei familiari, si convinse tuttavia a rientrare a Parigi, dove si presentò al ministro della Guerra e difese la propria causa con tali argomenti e tale abilità da ottenere non solo il perdono e il reintegro, ma persino la promozione ipso facto a capitano.



Nel frattempo (1793) in Corsica infuriava la guerra civile. Già dal 1792 gli eccessi rivoluzionari e l'instaurazione del "Terrore" avevano spinto l'eroe nazionale dell'indipendenza corsa, Pasquale Paoli (che era rientrato trionfalmente nel suo Paese nel 1790, dopo il lungo esilio impostogli dai Re di Francia), a prendere le distanze da Parigi e a riprendere il cammino verso l'indipendenza della Corsica. Accusato di tradimento e inseguito da un mandato di arresto emesso dalla Convenzione il 2 aprile 1792, Paoli ruppe gli indugi il 17 aprile successivo, rivolgendosi con un appello direttamente al popolo corso affinché difendesse la propria patria e i propri diritti. I Buonaparte, che pure avevano sostenuto Paoli al tempo della rivolta contro Genova e poi contro le Armate di Luigi XV (il padre Carlo e forse anche la madre parteciparono accanto a Paoli alla battaglia di Ponte Nuovo contro i francesi), scelsero invece la causa francese. Napoleone fuggì rapidamente ad Ajaccio e di lì riparò con l'intera famiglia - accusata di tradimento - a Tolone.



Da quel momento Napoleone sostenne con decisione la rivoluzione e salì rapidamente nella gerarchia militare. Nel dicembre 1793, come tenente colonnello addetto all'artiglieria, liberò il porto di Tolone dai monarchici e dalle truppe inglesi che li appoggiavano; fu il suo primo clamoroso successo militare, che gli valse la nomina a generale di brigata e l'attenzione del futuro membro del Direttorio Paul Barras, che lo aiuterà poi nella scalata al potere. La sua amicizia con Augustin Robespierre, fratello di Maximilien, lo fece cadere in disgrazia all'indomani del 9 termidoro e la conseguente fine del Terrore. Tuttavia la fortuna gli arrise quando il 13 vendemmiaio (5 ottobre 1795) Barras lo nominò, all'improvviso, comandante della piazza di Parigi, con l'incarico di salvare la Convenzione Nazionale dalla minaccia dei monarchici (realisti). Con l'aiuto di Gioacchino Murat al comando della cavalleria, Napoleone colpì duramente i rivoltosi scongiurando un nuovo colpo di Stato. In seguito al brillante successo, Barras lo nominò generale del Corpo d'Armata dell'Interno.





La campagna d'Italia [modifica]



Napoleone attraversa le Alpi, Jacques-Louis DavidIl 9 marzo 1796 Napoleone sposò Joséphine Tascher de La Pagerie, vedova Beauharnais, già moglie di un ufficiale ghigliottinato dopo la rivoluzione, e solo due giorni dopo partì per il fronte italiano al comando di 38.000 uomini molto mal equipaggiati, per una campagna che, nei piani del Direttorio, doveva essere semplicemente di «diversione», poiché l'attacco all'Austria sarebbe avvenuto lungo due direttrici sul Reno. Iniziava così la prima campagna d'Italia che avrebbe dimostrato il genio militare e politico di Napoleone il quale, nonostante l'inferiorità numerica e logistica, riuscì a sconfiggere ripetutamente le forze austriache.



Numerose le battaglie contro le forze armate austro-piemontesi a Dego, Millesimo, Cairo Montenotte, Cosseria e a San Michele Mondovì dove vi fu una storica battaglia il 19 aprile 1796 chiamata "Battaglia della Bicocca di San Giacomo" o "Presa di San Michele".[2]. Con l'armistizio di Cherasco costrinse Vittorio Amedeo III di Savoia a pesanti concessioni che ebbero poi conferma con la Pace di Parigi (15 maggio) che assegnava alla Francia rivoluzionaria sia la Savoia che Nizza. Il 10 maggio 1796 sbaragliò l'ultima difesa austriaca nella battaglia al Ponte di Lodi e il 15 maggio dello stesso anno entrò a Milano. Il 16 maggio al posto dello Stato di Milano venne insediata l'Amministrazione Generale della Lombardia, entità politico-militare della quale facevano parte sia francesi (provenienti dalle file dell'Armata d'Italia) sia esponenti illuministi del capoluogo lombardo, come Pietro e Alessandro Verri, Gian Galeazzo Serbelloni e Francesco Melzi d'Eril. Il 9 luglio 1797 venne proclamata la Repubblica Cisalpina (capitale Milano) e, nell'ottobre del 1796, si costituì la Legione Lombarda, prima forza armata composta da italiani ad adottare quale bandiera di guerra il Tricolore (Verde, Bianco e Rosso). Contemporaneamente le ex-legazioni pontificie si costituirono in Repubblica Cispadana e adottarono (7 gennaio 1797) il tricolore quale bandiera nazionale.



Le forze austriache, comandate dall'arciduca d'Austria Carlo, terrorizzate dalla rapida marcia di Napoleone verso Vienna, dovettero accettare una tregua sfavorevole, che si concretizzò nel trattato di Campoformio, il 17 ottobre 1797. Oltre all'indipendenza delle nuove repubbliche formatesi, la Francia acquisiva i Paesi Bassi e la riva sinistra del Reno, gli Austriaci inglobavano i territori della Repubblica di Venezia. Terminava così, con una secca sconfitta dell'Austria, la campagna d'Italia.



Nel corso della campagna d'Italia, Napoleone dimostrò la sua brillante capacità strategica, capace di assorbire il sostanzioso "corpo" delle conoscenze militari del suo tempo (particolarmente i più moderni insegnamenti di Federico II di Prussia) e di applicarlo al mondo reale che lo circondava. Ufficiale di artiglieria per formazione, la utilizzò in modo innovativo come supporto mobile agli attacchi della fanteria. Dipinti contemporanei del suo Quartier Generale mostrano che in queste battaglie utilizzò, primo al mondo in un teatro di guerra, un sistema di telecomunicazioni basato su linee di segnalazione realizzate col semaforo di Chappe, appena perfezionato nel 1792.





La campagna d'Egitto e di Siria [modifica]

Nel 1798 il direttorio, geloso della popolarità del Bonaparte, lo incaricò di occupare l'Egitto per contrastare l'accesso inglese all'India e quindi per danneggiarla economicamente. Un indizio della devozione di Napoleone ai principi dell'Illuminismo fu la sua decisione di affiancare gli studiosi alla sua spedizione: la spedizione d'Egitto ebbe il merito di far riscoprire, dopo centinaia di anni, la grandezza di quella terra, e fu proprio l'opera di Napoleone a far nascere la moderna egittologia, soprattutto grazie alla scoperta della Stele di Rosetta da parte dei soldati al seguito della spedizione. Napoleone aveva da anni accarezzato l'idea di una campagna in oriente, sognando di seguire le orme di Alessandro Magno ed essendo dell'idea che «L'Europa è una tana di talpe. Tutte le grandi cose vengono dall'Oriente».





Napoleone e i suoi generali in Egitto, Jean-Léon GéromeDopo un'importante vittoria nella battaglia delle Piramidi, Napoleone schiacciò i mamelucchi di Murad Bay ed entrando al Cairo divenne padrone dell'Egitto. Pochi giorni dopo, il 1° agosto 1798, la flotta di Napoleone in Egitto fu completamente distrutta dall'ammiraglio Horatio Nelson, nella baia di Abukir, cosicché Napoleone rimase bloccato a terra. Dopo una ricognizione sul Mar Rosso, Napoleone decise di recarsi in Siria, col pretesto di inseguire il governatore di Acri Ahmad Jazzār Pascià che aveva tentato di attaccarlo. Giunto però il 19 marzo 1799 dinanzi a San Giovanni d'Acri, l'antica fortezza dei crociati in Terra Santa, Napoleone perse più di due mesi in un inutile assedio e la campagna di Siria si concluse con un fallimento.



Ritornato al Cairo, Napoleone sconfisse il 25 luglio 1799 un esercito di oltre diecimila ottomani guidati da Mustafa Pascià ad Abukir, proprio dove l'anno prima era stato privato di tutta la sua flotta. Preoccupato tuttavia delle terribili notizie che giungevano dalla Francia (l'esercito in ripiegamento su tutti i fronti, il Direttorio ormai privo di potere) e consapevole che la campagna d'Egitto non aveva conseguito i fini sperati, Napoleone, lasciato il comando al generale Kléber, s'imbarcò in gran segreto il 22 agosto 1799 su un piccolo bastimento alla volta della Francia.





Il 18 brumaio e il Consolato [modifica]

Il 9 ottobre sbarcò a Fréjus, e la sua corsa verso Parigi fu accompagnata dall'entusiasmo dell'intera Francia, certa che il generale fosse tornato in patria per assumere il controllo della situazione ormai ingestibile e in effetti era questa l'intenzione di Napoleone. Giunto a Parigi, egli riunì i cospiratori decisi a rovesciare il Direttorio. Dalla sua si schierarono il fratello maggiore Giuseppe e soprattutto il fratello Luciano, allora presidente del Consiglio dei Cinquecento, che con il Consiglio degli Anziani costituiva il potere legislativo della repubblica. Dalla sua Napoleone riuscì ad avere il membro del Direttorio Roger Ducos e soprattutto Emmanuel Joseph Sieyès, il celebre autore dell'opuscolo Che cosa è il Terzo Stato? e ideologo di punta della borghesia rivoluzionaria. Inoltre, dalla sua si schierò l'astutissimo ministro degli esteri Talleyrand e il ministro della polizia Joseph Fouché. Barras, pur membro del Direttorio, conscio delle capacità di Napoleone accettò di farsi da parte.





Il generale Buonaparte al Consiglio dei CinquecentoFatta trapelare la falsa notizia di un complotto realista per rovesciare la repubblica, Napoleone riuscì a far votare al Consiglio degli Anziani e al Consiglio dei Cinquecento una risoluzione che trasferisse le due Camere il 18 brumaio (9 novembre) fuori Parigi, a Saint-Cloud; Napoleone fu nominato comandante in capo di tutte le forze armate. Ciò fu fatto per evitare che durante il colpo di Stato qualche deputato potesse sollevare i cittadini parigini per difendere la Repubblica dal tentativo di Napoleone. L'intenzione di Napoleone era quella di portare le due Camere a votare autonomamente il loro scioglimento e la cessione dei poteri nelle sue mani. Non fu così: il Consiglio degli Anziani rimase freddo al discorso pasticciato di Napoleone per far pressione su di essa, mentre quando Napoleone entrò nella sala del Consiglio dei Cinquecento i deputati gli si lanciarono contro chiedendo di votare per rendere Bonaparte fuorilegge (cosa che voleva significare l'arresto e la ghigliottina). Nel momento in cui sembrava che il colpo di Stato fosse prossimo alla catastrofe, a soccorrere Napoleone giunse il fratello Luciano, che nelle vesti di presidente dei Cinquecento uscì dalla sala e arringò le truppe schierate all'esterno, ordinando che disperdessero i deputati terroristi. Memorabile il momento in cui puntò la sua spada al collo di Napoleone e dichiarò: «Non esiterei un attimo a uccidere mio fratello se sapessi che costui stesse attentando alla libertà della Francia». Le truppe, in gran parte veterani delle campagne di Napoleone, al comando del cognato di quest'ultimo, il generale Victor Emanuel Leclerc e del futuro cognato Gioacchino Murat, entrarono con le baionette innestate e dispersero i deputati. In serata, le Camere venivano sciolte e fu votato il decreto che assegnava i pieni poteri a tre consoli: Roger Ducos, Sieyes e Napoleone.





Il Consolato [modifica]

Nominati consoli provvisori, i tre nuovi padroni della Francia redigevano insieme a due commissioni apposite una nuova costituzione, la costituzione dell'anno VIII che, ratificata con un plebiscito popolare, legittimava il colpo di Stato. Nel pensiero politico di Sieyes, il Consolato sarebbe dovuto essere un governo dei notabili, che assicurasse la democrazia attraverso un complesso equilibrio di poteri. Questo progetto fu mandato all'aria da Napoleone il quale, pur in teoria detentore del solo potere esecutivo, aveva in realtà facile gioco nello scavalcare quello legislativo frammentato in ben quattro Camere. Fattosi nominare Primo Console, ossia concretamente superiore a qualsiasi altro potere dello Stato, Napoleone ricostruiva la Francia con una struttura amministrativa fortemente accentratrice ma così perfetta che è rimasta tale fino a oggi: la Francia veniva frazionata in province, distretti e comuni, rispettivamente amministrate da prefetti, sottoprefetti e sindaci. Le casse dello Stato venivano risanate dalle conquiste di guerra e dalla fondazione della Banca di Francia, nonché dall'introduzione del franco d'argento che poneva fine all'era degli assegnati e dell'inflazione. La lunga lotta contro il Cattolicesimo si concludeva con il Concordato del 1801, ratificato dal papa Pio VII, che stabiliva il Cattolicesimo «religione della maggioranza dei francesi» (benché non religione di Stato), ma non riconsegnava al clero i beni espropriati durante la rivoluzione. Nel campo dell'istruzione, Napoleone istituì i licei e i politecnici, per formare una classe dirigente preparata e indottrinata, ma tralasciò l'istruzione elementare, essendo dell'idea che il popolo dovesse rimanere in una certa ignoranza per garantire un governo stabile e un esercito ubbidiente. Il consolato di Napoleone divenne «a vita» con il plebiscito del 2 agosto 1802. Si apriva la strada all'istituzione dell'Impero napoleonico.





Il Codice napoleonico [modifica]

Durante l'esilio a Sant'Elena, Napoleone sottolineò più volte che la sua opera più importante, quella che sarebbe passata alla storia più delle centinaia di battaglie vinte, sarebbe stato il suo codice civile, il Codice napoleonico. Indubbiamente, la sua frase colse nel segno.





Napoleone Bonaparte primo console, Jean-Auguste-Dominique IngresIl Codice napoleonico legittimò le conquiste della rivoluzione francese, fu esportato in tutti i paesi dove giunsero le armate di Napoleone, fu preso a modello da tutti gli Stati dell'Europa continentale e ancora oggi è la base del diritto italiano. Istituita l'11 agosto 1799 la commissione incaricata di redigere il codice civile (composta dal Secondo Console Jean-Jacques Régis de Cambacérès e da quattro avvocati), fu presieduta molto spesso dallo stesso Napoleone, il quale ne leggeva le bozze durante le campagne militari e inviava a Parigi, dal fronte, le sue idee sul progetto.[3].Il 21 marzo 1804 il Codice Civile, da subito ribattezzato Codice napoleonico, entrava in vigore.



Esso eliminava definitivamente i retaggi dell'ancién régime, del feudalesimo, dell'assolutismo, e creava una società prevalentemente borghese e liberale, di ispirazione laica, nella quale venivano consacrati i diritti di eguaglianza, sicurezza e proprietà.



Per l'Italia il valore del Codice napoleonico fu fondante, poiché esso fu portato negli stati creati da Napoleone e confluì poi nel codice civile italiano del 1865.



Di eguale valore e importanza sono anche gli altri codici: quello di procedura civile, emanato nel 1806, quello del commercio (1807), quello di procedura penale (1808) e il codice penale del 1810.





Guerra in Europa, ascesa all'Impero [modifica]

Durante l'assenza di Napoleone impegnato in Egitto, i francesi erano stati ripetutamente battuti in Italia dagli austriaci (battaglia di Novi Ligure) a Cassano d'Adda e sul Reno. La nuova coalizione antifrancese aveva rovesciato la Repubblica Napoletana del 1799, fondata dai francesi, e quella Romana e la Repubblica Cisalpina. Il 6 maggio 1800, sei mesi dopo il colpo di Stato del 18 brumaio, Napoleone assunse nuovamente il comando dell'esercito francese. Con una marcia esemplare valicò le Alpi al passo del Gran San Bernardo, un'impresa che colse di sorpresa gli Austriaci, i quali vennero rapidamente battuti a Montebello, mentre Napoleone ritornava a Milano. Il 14 giugno 1800 si combatté la battaglia di Marengo. Fu la più celebre della battaglie napoleoniche in Italia, la più dura ma definitiva. Alle tre del pomeriggio Napoleone aveva perso: alle otto della sera il suo trionfo era completo. A rovesciare le sorti della battaglia fu il generale Desaix che, giunto sul campo con nuove truppe, annientò l'esercito austriaco del generale Melas, già certo della vittoria, ma morì in battaglia.[4] A Milano venne provvisoriamente ricostituita la Repubblica Cisalpina che verrà sostituita dopo i Comizi di Lione dalla Repubblica Italiana (1802-1805)





Napoleone sul trono imperiale, Jean-Auguste-Dominique IngresLa pace in Italia venne sancita con la pace di Luneville, che in pratica riconfermava il precedente trattato di Campoformio violato dagli Austriaci.



Nel 1802 venne proclamato Presidente della Repubblica Italiana (il patrizio milanese Francesco Melzi d'Eril ne fu nominato vice Presidente ), titolo che conserverà sino al 17 marzo 1805 quando assumerà quello di Re d'Italia.



Con la pace di Amiens del 1802 anche l'Inghilterra firmava la pace con la Francia. Napoleone aveva distrutto la nuova coalizione antifrancese, assicurandosi anche l'appoggio dello zar di Russia Alessandro I. Per due anni l'Europa fu finalmente in pace.



Nel 1802 Napoleone vendette una parte del Nord America agli Stati Uniti come parte dell'Accordo sulla Louisiana: egli aveva appena fronteggiato un grosso problema militare quando l'esercito, mandato a riconquistare Santo Domingo, dopo aver affrontato la rivolta capeggiata da Toussaint L'Ouverture, fu colpito dalla febbre gialla. La rivolta fu comunque stroncata.[5] Con le forze dell'Ovest in condizioni tali da non poter agire, Napoleone capì che non avrebbe potuto difendere la Louisiana e decise di venderla (8 aprile 1803). Egli ristabilì, nel 1802, la schiavitù nelle colonie francesi.





Autoincoronazione in Notre-Dame [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Primo Impero Francese.



La Corona Ferrea, usata per incoronare Napoleone Re d'ItaliaDopo che Napoleone ebbe allargato la sua influenza alla Svizzera e alla Germania, una disputa su Malta fornì all'Inghilterra il pretesto nel 1803 per dichiarare guerra alla Francia e fornire sostegno ai monarchici francesi che a lui si opponevano. Infatti, la notte di Natale del 1800 Napoleone, la moglie e il suo seguito erano scampati miracolosamente a un attentato dinamitardo nelle strade di Parigi, mentre si recavano all'Opera. Napoleone ne aveva approfittato per mettere fuori legge i giacobini, molti dei quali vennero esiliati in Guyana, e disperdere i monarchici. Per dare ora un segnale forte ai Borboni, che ancora complottavano per ritornare sul trono francese, Napoleone fece catturare a Ettenheim, cittadina dello stato del Baden situata presso il confine francese, il duca di Enghien, legato alla famiglia reale esiliata, che fu accusato di cospirazione contro il Primo Console e fucilato poco dopo. L'evento destò l'indignazione delle corti europee per l'arrogante violazione della sovranità di uno stato estero da parte della Francia e per la sorte riservata al povero duca, e diede uno scossone negativo all'immagine europea del Bonaparte, alla quale invece l'allora ancor Primo Console teneva moltissimo. Il generale Moreau, implicato nel complotto realista, venne invece condannato a soli due anni di carcere ma successivamente gli fu concessa la possibilità di espatriare negli Stati Uniti da dove ritornerà nel 1813 per unirsi all'esercito russo e morire durante la battaglia di Dresda.[6]



Ormai console a vita, Napoleone era in pratica sovrano assoluto della Francia. Il 18 maggio 1804 il Senato lo proclamò imperatore dei francesi. Il 2 dicembre dello stesso anno, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, fu celebrata la cerimonia di incoronazione: dopo che le insegne imperiali furono benedette da papa Pio VII, Napoleone incoronò prima sé stesso imperatore dei francesi, e quindi imperatrice sua moglie Joséphine de Beauharnais.[7]





Incoronazione di Napoleone I, Jacques-Louis David (particolare)Successivamente, il 26 maggio 1805 nel Duomo di Milano, Napoleone fu incoronato Re d'Italia con la Corona Ferrea, custodita nel Duomo di Monza a partire dal 1946.



Rinasceva in Francia la monarchia, ma non era la stessa monarchia rovesciata nel 1792, privata dei poteri già nel 1789. Napoleone non era «re di Francia e di Navarra per grazia di Dio», come citavano le formule dell'ancién régime, ma «Imperatore dei francesi per volontà del popolo». Non veniva ricostruita la nobiltà feudale, ma rimanevano i principi di eguaglianza sanciti dalla Rivoluzione francese. Napoleone era l'imperatore rivoluzionario.





La conquista dell'Europa [modifica]

Nel 1805 si formò in Europa la terza coalizione contro Napoleone; egli aveva trascorso l'ultimo anno sulle coste della Normandia, a preparare una vasta operazione militare con l'alleanza della Spagna contro l'Inghilterra ma, comprendendo la situazione troppo sfavorevole, tornò improvvisamente sui suoi passi e si mise al comando della Grande Armata che, a marce forzate, giunse rapidamente nel cuore dell'Europa per sconfiggere le forze nemiche sul continente. Napoleone aveva fatto bene i suoi conti: il 21 ottobre, infatti, a largo di Trafalgar la flotta francese comandata dal mediocre ammiraglio Pierre-Charles Villeneuve veniva completamente annientata dagli inglesi al comando di Horatio Nelson, che morì durante lo scontro, colpito da un tiro di moschetto. Svanivano per sempre i sogni di invasione dell'Inghilterra.



Le forze coalizzate austriache, prussiane e russe (sotto il nuovo zar Alessandro I) erano numericamente soverchianti. Due i fronti interessati: quello germanico, dove Napoleone in persona guidava la Grande Armée e quello italiano dove il generale Masséna guidava l'Armée d'Italie. A nulla valsero la resa del generale nemico Mack ad Ulm (20 ottobre), la battaglia di Caldiero (30 ottobre) e la conquista di Vienna da parte di Gioacchino Murat: il grosso dell'esercito nemico rimaneva infatti intatto. Il 2 dicembre 1805, tuttavia, anniversario della sua incoronazione, Napoleone mise fine alla terza coalizione nella battaglia di Austerlitz. Rimasta nella storia come il suo capolavoro strategico, con la battaglia di Austerlitz Napoleone divenne padrone dell'Europa.[8]. Il giorno dopo i sovrani d'Europa chiesero la pace. L'Austria perdeva anche Venezia, che veniva unita al regno d'Italia, e perdeva ogni controllo sulla Germania, che ora si ricostruiva come Confederazione del Reno, primo seme dell'unità tedesca sotto il controllo diretto di Napoleone. Si racconta che, dopo aver appreso di Austerlitz, il primo ministro inglese William Pitt avesse chiesto a una nipote di arrotolare la carta dell'Europa esposta in un corridoio di casa. «Non ci servirà per i prossimi sette anni».



L'anno seguente Napoleone sconfisse la Prussia nella battaglia di Jena (14 ottobre 1806).



La quarta coalizione, comandata dalla Prussia, venne sconfitta il 14 giugno 1807 sulle gelide pianure di Friedland, dopo i rovesci alterni della sanguinosissima battaglia di Eylau: lo zar Alessandro I fu costretto a firmare la pace, nell'incontro di Tilsit. In quell'incontro l'Europa venne ufficiosamente divisa in zone d'influenza. Quella occidentale sotto Napoleone, quella orientale sotto lo zar. Rimaneva aperta la questione della Polonia, che Napoleone voleva rendere indipendente, contrariamente alle intenzioni dello zar. Quando il papa rifiutò di aderire all'embargo nei confronti dell'Inghilterra, dichiarando che le sue qualità di pastore universale gli imponevano la neutralità, Napoleone fece occupare Roma dal generale Miollis e il 7 maggio 1809 ordinò l'annessione dello Stato Pontificio all'Impero francese. Il papa rispose con una bolla di scomunica e Napoleone ordinò a Miollis di precedere all'arresto del pontefice. Provvide subito il generale Radet che lo fece trasportare, insieme con il Segretario di Stato cardinale Bartolomeo Pacca, a Grenoble[9] indi a Fontainebleau, dove Napoleone riuscì solo quattro anni dopo a strappargli l'approvazione di un nuovo Concordato.





Il blocco continentale e la conquista della Spagna [modifica]

Per mettere in ginocchio l'Inghilterra, unica potenza ancora in armi contro la Francia, Napoleone avviò un embargo. Tuttavia questo embargo, chiamato Blocco Continentale (poiché, nelle intenzioni del Bonaparte, tutta l'Europa continentale avrebbe dovuto aderire all'embargo contro le isole britanniche) non diede i risultati sperati.

Il fallimento del blocco fu dovuto al fatto che molti paesi europei non vi aderirono completamente, continuando a mantenere scambi commerciali con il nemico. Napoleone, per colpire il Portogallo che manteneva aperti alla flotta inglese i suoi porti, invase la Spagna ed il Portogallo stesso, mentre più tardi l'uscita dal blocco della Russia costringerà Napoleone a imbarcarsi in una campagna catastrofica.





Napoleone a WagramNel 1808, sfruttando un diverbio nella famiglia reale spagnola tra il re Carlo IV e il figlio, il principe delle Asturie Ferdinando, Napoleone costrinse entrambi ad abdicare e mise sul trono di Spagna il fratello Giuseppe, facendola così entrare nell'orbita dell'Impero francese. Le truppe francesi conquistavano intanto il Portogallo, ma la situazione divenne presto problematica. Gli inglesi, infatti, sbarcarono in Portogallo truppe al comando del generale sir Arthur Wellesley futuro duca di Wellington, che liberò il Portogallo e rese difficile la campagna in Spagna. Qui, infatti, la popolazione era insorta contro l'occupazione francese e aveva iniziato una durissima guerriglia che mise in ginocchio l'esercito occupante costringendo il re Giuseppe alla fuga e richiese l'intervento diretto di Napoleone. Il 4 dicembre Madrid si arrendeva all'imperatore, ma la Spagna rimase una spina nel fianco poiché Napoleone fu raggiunto dalle notizie della nascita di una nuova coalizione.



Tra il 5 e il 6 luglio 1809 Napoleone sconfisse la quinta coalizione a Wagram, dopo aver occupato Vienna e il palazzo di Schönbrunn. L'Austria subì pesantissime condizioni di pace: il Trentino-Alto Adige/Sud Tirolo, la Baviera, l'Istria e la Dalmazia furono perse. L'indennizzo di guerra fu enorme. Ma la sconfitta del nemico fu definitiva.





La nuova Europa di Napoleone [modifica]

Nel 1810, l'Europa era definitivamente ridisegnata secondo il volere napoleonico. I territori sotto il diretto controllo francese si erano espansi ben oltre i tradizionali confini pre-1789; il resto degli Stati europei era o suo satellite o suo alleato. Il regno d'Italia era nominalmente governato da Napoleone, ma retto dal viceré Eugenio Beauharnais (figlio di primo letto della moglie di Napoleone Joséphine); il principato di Lucca e Piombino (fino al 1809), e quindi buona parte della Toscana (dal 1809), era governata dalla sorella Elisa, andata in sposa al principe còrso Felice Baciocchi; alla sorella Paolina, sposata col principe Camillo Borghese, andò il ducato di Guastalla, poi ceduto al regno d'Italia; il fratello maggiore Giuseppe riceveva il trono di Spagna; il fratello Luigi riceveva il trono d'Olanda, dopo aver sposato Hortense de Beauharnais, figlia della moglie di Napoleone Joséphine; il fratello Girolamo ebbe il regno di Westfalia; il generale Gioacchino Murat, poi maresciallo dell'Impero, ebbe il regno di Napoli, dopo aver sposato la sorella di Napoleone, Carolina; il maresciallo Bernadotte ebbe il trono di Svezia, ma ben presto tradì il suo ex capo entrando nella coalizione che lo avrebbe detronizzato[10]. La Confederazione del Reno era di fatto sotto il controllo di Napoleone.



Dopo la pace di Schönbrunn, Napoleone e l'austriaco Metternich si erano accordati per un matrimonio di Stato. Il 14 dicembre 1809, Napoleone divorziò da Joséphine de Beauharnais, la moglie certo infedele ma amatissima: i due rimasero sempre legati fino alla morte di quest'ultima, avvenuta durante l'esilio di Napoleone all'Elba. Il 1° aprile 1810 Napoleone sposò la figlia dell'imperatore d'Austria, Maria Luisa di Asburgo, nipote di Maria Antonietta, la regina decapitata durante la Rivoluzione (il che provocò non poche polemiche in Francia). Con questo matrimonio l'Austria si era legata a Napoleone, il che portava alla creazione di un'alleanza pressoché indissolubile. Napoleone ebbe un erede legittimo da Maria Luisa, nato dopo un parto difficile il 20 marzo 1811. Tuttavia l'erede dell'Impero, Napoleone Francesco, detto il re di Roma, non sarebbe in realtà mai salito al trono: Napoleone fu detronizzato pochi anni dopo e Napoleone II morì successivamente a soli 21 anni.





Campagna di Russia [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Campagna di Russia.



Alessandro I di Russia aveva cominciato a temere Napoleone e rifiutò di collaborare con lui riguardo al Blocco Continentale. Questa fu la principale causa che spinse Napoleone a invadere la Russia nel 1812, con ben 655.000 uomini, solo un terzo dei quali francesi. I russi, comandati da Kutuzov, decisero la tattica della ritirata piuttosto che scontrarsi contro il preponderante esercito napoleonico. Il 12 settembre nei dintorni di Mosca ebbe luogo la battaglia di Borodino. I russi, sconfitti, ripiegarono e Napoleone entrò a Mosca, convinto che Alessandro avrebbe negoziato la pace. Stabilitosi nel Cremlino, Napoleone non poteva immaginare che la città completamente vuota nascondesse in realtà un'insidia: nella notte Mosca cominciò a bruciare, essendo state appiccate le fiamme da alcuni russi nascosti nelle case[11]. Napoleone, che aveva tentato a più riprese di venire a un accordo con Alessandro I senza riuscire neanche a far ricevere i suoi messi, si rese conto della necessità di ritirarsi. Diede perciò ordine di iniziare la ritirata, (e di far saltare il Cremlino che solo per una miracolosa pioggia fu salvato): era rimasto in Mosca non più di trentacinque giorni.



La Grande Armata francese soffrì gravi perdite nel corso della rovinosa ritirata; la spedizione era iniziata con circa 700.000 uomini (di cui poco meno della metà erano francesi) e 200.000 cavalli, alla fine della campagna poco più di 18.000 uomini riuscirono a mettersi in salvo (470.000 circa furono i morti e 200.000 i prigionieri). Residuarono inoltre solo 10.000 cavalli. Tra il 25 e il 29 novembre, infatti, i resti dell'armata, distrutta dal grande freddo (il "generale inverno") vennero in gran parte annientati dai russi durante il passaggio della Beresina[12]. Intanto, Napoleone era stato raggiunto dalla notizia che a Parigi il generale Malet aveva diffuso la notizia della morte dell'imperatore e tentato un colpo di Stato. Angosciato delle notizie di tradimento (Talleyrand e Fouché stavano ormai tramando col nemico), Napoleone abbandonò precipitosamente la Russia lasciando il comando a Gioacchino Murat e ad Eugenio Beauharnais e tornando nella capitale, dove iniziava a ricostruire un nuovo esercito di 400.000 uomini, in realtà giovanissimi e male addestrati. Le potenze europee, consce dell'atroce disfatta di Russia, sollevarono la testa e formarono una nuova coalizione.





La sconfitta di Lipsia, l'abdicazione e l'esilio all'Elba [modifica]



Napoleone abdica a Fontainebleau, circondato dai marescialliLa prima a unirsi alla vittoriosa Russia fu la Prussia che, abbandonando l'alleanza con Napoleone, si schierò a fianco dell'Inghilterra. Era la settima coalizione. Napoleone non si fece cogliere impreparato, e sconfisse i prussiani prima a Lützen e poi a Bautzen nel maggio 1813. Ma l'insidia più grande era l'Austria, la quale - non rispettosa dei patti - era pronta a scavalcare anche un matrimonio di stato come quello di Napoleone con Maria Luisa pur di sconfiggere l'odiato nemico. Nel corso di un memorabile e burrascoso incontro bilaterale a Dresda, Napoleone e Metternich non riuscirono a giungere a un accordo, e il 12 agosto l'Austria si univa alla coalizione antifrancese. Dopo un'ultima vittoria francese proprio a Dresda, le forze napoleoniche si scontrarono con gli eserciti congiunti di Austria, Russia, Prussia e Svezia (l'esercito di quest'ultima era comandato dall'ex maresciallo francese Bernadotte) nella battaglia di Lipsia, detta "battaglia delle Nazioni" perché vi parteciparono eserciti di tutta Europa. L'inesperto esercito francese, formato in gran parte da giovani reclute, la defezione dei contingenti tedeschi e le soverchianti forze nemiche furono i fattori che determinarono la sconfitta di Napoleone a Lipsia. L'esercito francese fu costretto a una rovinosa ritirata attraverso la Germania in piena insurrezione contro l'occupazione napoleonica, mentre anche l'Olanda si rivoltava e la Spagna era ormai persa.



Rientrato precipitosamente a Parigi, Napoleone doveva subire ora l'insubordinazione di tutti i corpi politici: le Camere denunciarono solo ora la sua tirannia, la nuova nobiltà da lui creata gli girò le spalle, il popolo ormai stanco della guerra rimase freddo, i marescialli dell'Impero cominciarono a defezionare: tra i principali, Gioacchino Murat che passò al nemico per conservare il regno di Napoli.



Il giorno di Natale del 1813 la Francia veniva invasa dagli eserciti della coalizione. Un mese dopo, consegnato al fratello Giuseppe il controllo di Parigi e alla moglie Maria Luisa la reggenza, salutato il piccolo figlio che non avrebbe mai più rivisto, Napoleone si metteva al comando di un esercito di 60.000 veterani della Vecchia Guardia. Per due mesi, Napoleone tenne testa al nemico in quella che sarà definita da alcuni la sua campagna più brillante, vincendo a Brienne (proprio dove aveva studiato l'arte militare), a Champaubert, Montmirail, Chateau-Thierry, Vauchamps, Mormant, Villeneuve, Montereau, Craonne, Laon. Sconfitto infine dalle forze prussiane del feldmaresciallo von Blücher, da quella austriache e da quelle russe di Wintzingerode, consapevole di non poter anticipare le truppe nemiche in marcia su Parigi, Napoleone ripiegò su Fontainebleau ove, appresa la notizia del tradimento del generale Marmont che si era arreso con le sue truppe agli alleati, e scoraggiato dall'atteggiamento rinunciatario del maresciallo Michel Ney, il 4 aprile annunciò ufficialmente la sua intenzione di chiedere la pace.



Intanto il fratello Giuseppe era capitolato e il nemico era entrato vittorioso in Parigi con alla testa lo zar Alessandro I il 31 marzo, che il giorno successivo aveva già fatto affiggere sui muri di Parigi il suo proclama indirizzato al popolo francese.





Residenza Napoleonica a Portoferraio sull'Isola d'ElbaA Fontainebleau Napoleone passò giorni duri e difficili. Gli giunse notizia che il nemico aveva rigettato la sua proposta di pace che stabiliva il ritorno ai «confini naturali» della Francia. Lo zar Alessandro I gli impose l'abdicazione. Egli, dopo aver più volte tentennato, decise di abdicare in favore del figlio e della reggenza di Maria Luisa. Ma il nemico decise per un abdicazione totale, poiché Talleyrand aveva già preso accordi per restaurare sul trono i Borboni. Napoleone, indignato, minacciò di rimettersi alla testa dei suoi eserciti e marciare su Parigi, ma i marescialli lo costrinsero a cedere. L'abdicazione divenne effettiva il 6 aprile.



Il 12, Napoleone ingerì una forte dose di veleno ma miracolosamente si salvò.



Dopo un memorabile addio alla Vecchia Guardia, Napoleone subì il dramma della fuga quando, attraversando la Francia del sud, fu costretto a indossare un'uniforme austriaca per non finire linciato dalla folla. Imbarcatosi precipitosamente su un bastimento inglese, il 4 maggio 1814 sbarcò all'isola d'Elba, dove il nemico aveva deciso di esiliarlo, pur riconoscendogli la sovranità sull'isola e il titolo di Imperatore.



Stabilitosi a Portoferraio nei dieci mesi di esilio Napoleone non rimase inoperoso ma costruì infrastrutture, miniere, strade, difese, mentre il Congresso di Vienna che doveva disegnare la nuova Europa della Restaurazione ipotizzava di esiliarlo nell'oceano.





I "Cento giorni" [modifica]

Per approfondire, vedi la voce Cento Giorni.



Pur impegnato nei lavori sull'Elba, Napoleone continuava a ricevere notizie della situazione francese. Il nuovo sovrano, Luigi XVIII Borbone, era inviso alla popolazione: nel solco della Restaurazione, Luigi stava lentamente smantellando tutte le conquiste della Rivoluzione legittimate da Napoleone. Queste notizie, aggiunte alla voce ormai certa che i nemici fossero prossimi a trasferirlo lontano dall'Europa, portarono Napoleone ad agire. Imbarcatosi in gran segreto con uno sparuto gruppo di granatieri su un bastimento, l'imperatore eluse la sorveglianza inglese e il 1° marzo 1815 sbarcò in Francia nel golfo di Cannes. Iniziavano i leggendari "Cento giorni". La popolazione lo accolse con un entusiasmo sorprendente, e gli eserciti inviatigli contro da Luigi invece di fermarlo si unirono a lui. Il maresciallo Ney, che Napoleone stesso aveva definito «il più prode dei prodi» dopo le sue eroiche imprese nella ritirata di Russia, giurò allora al sovrano borbone che avrebbe condotto Napoleone a Parigi «in una gabbia di ferro». Ma quando i due eserciti si trovarono l'uno di fronte all'altro Napoleone si fece incontro all'esercito avversario e gridò «Chi vuole sparare al suo Imperatore è libero di farlo», fu accolto da un tripudio e lo stesso Ney crollò tra le sue braccia (sfortunatamente per lui, in seguito alla sconfitta di Napoleone a Waterloo, pagò con la fucilazione il voltafaccia). Il 20 marzo Napoleone entrò trionfalmente a Parigi, mentre Luigi era fuggito in gran fretta sotto suggerimento di Talleyrand, il quale al Congresso di Vienna spinse le teste coronate a riprendere la spada contro il despota.



Riorganizzato in gran fretta l'esercito, Napoleone chiese ai nemici nuovamente coalizzatisi la pace alla sola condizione di mantenere il trono di Francia: non venne ascoltato. Intanto, in campo politico, l'imperatore aveva ben compreso i limiti del suo governo precedente e aveva promulgato una costituzione maggiormente liberale, ritornando più fedelmente ai principi del 1789. Per evitare una nuova invasione del suolo patrio, Napoleone fece la prima mossa spostando il conflitto nel Belgio. Il suo piano prevedeva una manovra su due ali che avrebbero diviso e annientato i prussiani e gli inglesi prima che, superiori di numero, potessero congiungersi. L'ala destra da lui comandata impegnò quindi i prussiani di von Blücher a Ligny e il maresciallo Ney attaccò gli inglesi di Wellington a Quatre Bras, ma nessuno dei due combattimenti ebbe esito determinante. Così si giunse al fatale 18 giugno 1815, «la giornata del destino» descritta anche da Victor Hugo, quella della battaglia di Waterloo. Il piano strategico generale di Napoleone venne mandato all'aria dall'inefficienza dei suoi marescialli, principalmente Grouchy, il quale era stato inviato a distruggere la colonna prussiana sfuggita alla battaglia di Ligny, ma in pratica commise l'errore di inseguire solo la retroguardia delle forze prussiane che si erano intanto riorganizzate e che, grazie alla loro determinazione, riuscirono a ricongiungersi con Wellington proprio nel bel mezzo della battaglia di Waterloo sì che le forze inglesi del duca di Wellington, unitesi a quelle prussiane, colsero l'opportunità di sconfiggere i francesi.



Napoleone compì non pochi errori, tra cui quello di affidarsi ai generali Davout, Grouchy e a Ney (l'eroe di Borodino), famoso per ardimento ma non per la sua sapienza strategica, il cui comportamento inutilmente focoso fu fra i fattori determinanti della disfatta. Ultimo ad arrendersi fu il giovane generale della Guardia Imperiale Cambronne[13] che, sacrificando l'intera Guardia, consentì al resto dell'esercito sconfitto di ritirarsi senza ulteriori danni alla volta di Parigi.



Napoleone schierò le sue ultime forze in quadrati e iniziò una lenta, ordinata ma drammatica ritirata. «Wellington è un pessimo generale. Stasera ceneremo a Bruxelles», aveva dichiarato la mattina della battaglia. In serata, l'imperatore era sulla strada di ritorno per Parigi conscio della certezza della fine di ogni suo sogno.





Addii di Napoleone alla Guardia imperiale nel cortile du Cheval-Blanc del castello di Fontainebleau, Antoine Alphonse MontfortImpostagli dalla Camera la nuova abdicazione («Avrei dovuto farli impiccare tutti», sbottò Napoleone), egli dichiarò di immolarsi «in olocausto per la Francia» e chiese invano che venisse rispettata la sua volontà di porre sul trono all'età giusta suo figlio Napoleone II. Le forze nemiche entrarono a Parigi e rimisero sul trono Luigi XVIII. Napoleone si rifugiò al castello di Malmaison, la vecchia casa dove aveva abitato con la moglie Joséphine, morta da poco. La sua intenzione era di fuggire negli Stati Uniti, ma rifiutò di travestirsi come sarebbe stato necessario per sfuggire alla cattura, perché ciò avrebbe infamato il suo onore. Invece, con un gesto storico, il 15 luglio 1815 Napoleone si arrese agli inglesi salendo bordo della nave HMS Bellerofont. Chiese di essere deportato in Inghilterra, ma i nemici ne avevano già deciso l'esilio a Sant'Elena, piccola isola nel mezzo dell'Oceano atlantico.





Napoleone nella vita quotidiana [modifica]



Le abitudini alimentari [modifica]

Napoleone I non era un gourmet. Pur apprezzando di più alcuni cibi rispetto ad altri (gli piacevano molto la carne di pollo, comunque cucinata, quella di montone alla griglia, le cotolette ed alcuni tipi di frutta) dava scarsa importanza all'alimentazione (era tuttavia molto esigente sulla qualità del pane). Mangiava avidamente e frettolosamente (raramente il suo pasto superava la durata di una decina di minuti, anche quando aveva a mensa ospiti illustri), quasi che ritenesse l'alimentazione un fastidio necessario, da togliersi il più presto possibile.[14] A tavola rispettava poco l'etichetta, anche in presenza di ospiti, e passava spesso, nella frenesia di terminare, dall'uso della forchetta a quello diretto delle proprie mani. Questa fretta nell'assumere i cibi gli procurava sovente grossi problemi di digestione che sfociavano anche in forme acute di congestione, seguite da vomito, od in gastriti.



I pasti giornalieri erano due: la colazione, alle 9 e 30 di mattina ed il pranzo alle ore 18. Il rispetto degli orari dei pasti era cosa normale ma le eccezioni, dovute alla necessità di trattare problemi urgenti con i suoi ministri o generali, anche piuttosto frequenti. In questi casi i ritardi nel mettersi a tavola potevano anche raggiungere più ore: tutti, eventuali ospiti inclusi, attendevano con pazienza che Napoleone avesse concluso e si presentasse per il pranzo o la cena.



Quanto al vino, non era un intenditore e ne beveva poco e di una sola qualità: lo chambertin,[15] che allungava quasi sempre con acqua: tuttavia le bottiglie di chambertin erano un costituente immancabile delle vettovaglie a lui destinate che venivano portate al seguito anche durante le numerose campagne militari. Beveva invece volentieri il caffè: una tazza abbondante dopo il pranzo ed una la sera dopo cena. Non era raro che bevesse tè nel corso della giornata. Era anche ghiotto di orzata, uno sciroppo a base di mandorle amare. Non beveva mai liquori. Quanto al tabacco, non fumava né sigari né pipa, ma si limitava talvolta ad annusarne velocemente una presa. Detestava i farmaci che si rifiutava spesso di assumere anche in presenza di ordine del medico personale.[16]





L'abbigliamento [modifica]

Napoleone I detestava gli abiti attillati, non tanto nel portarli quanto per le difficoltà inevitabili che comportava il porseli indosso: impaziente nel vestirsi, preferiva gli abiti comodi, anche se da ciò talvolta conseguiva un effetto non molto gradevole della sua figura. Abitudinario, non si curava punto della moda ed era un problema fargli smettere vestiti e scarpe per sostituirli con abiti e calzature più à la page. Non portava mai indosso gioielli ed anche nelle grandi occasioni tendeva alla sobrietà, spesso contrastante con il lusso, non di rado stravagante, di coloro che lo circondavano: generali, gran commis e dame dell'alta società parigina. Una costante preoccupazione degli addetti alla sua persona erano i copricapo: aveva l'epidermide della testa molto sensibile e soffriva nel calzare cappelli nuovi per la loro inevitabile rigidità iniziale, per cui tendeva ad indossare i suoi copricapo fino a quando, troppo lisi, era giocoforza cambiarli





I divertimenti [modifica]

Amava molto il teatro: commedie, tragedie, opere liriche e gli spettacoli in genere; in particolare amava la commedia francese ed il melodramma italiano. Frequentava i teatri parigini assai spesso e, durante le campagne, quando, vincitore, si installava in città capitali, si recava a teatro o faceva organizzare spettacoli per sé, il suo seguito di Marescialli ed alti ufficiali e per i nobili del paese in cui si trovava.





Gli amori [modifica]

Napoleone era molto attivo nell'ars amandi. Dotato in questa materia di un senso morale piuttosto convenzionale ed un pochino ipocrita, considerava legittimo per un sovrano come lui (primo console od imperatore che fosse) godere di scappatelle più o meno occasionali con giovani e belle signore o signorine (ma non ammetteva che la moglie Giuseppina potesse fare altrettanto!), però altamente immorale che la cosa fosse compiuta senza le opportune precauzioni al fine di mantenerla riservata. Più volte rimproverò i fratelli Luciano e Girolamo per la dissolutezza della loro vita, quasi pubblicamente ostentata. Era frequente il caso di giovani ed avvenenti signorine, in Francia e nei paesi conquistati, che venivano spinte dalle madri, spesso nobili decadute e rimaste prive di mezzi finanziari adeguati al rango, nelle braccia dell'imperatore, con la speranza di ottenerne poi dei cospicui favori, cosa che si verificava sempre ma molte volte non nella misura sperata. Capitava sovente che si recasse la sera in incognito, a Parigi, presso la casa di queste amanti occasionali o meno, vestito in abiti borghesi ed accompagnato da qualche servitore che lo attendeva con la carrozza fino ad incontro terminato. Neanche l'esilio sull'isola d'Elba ebbe ragione dell'impeto napoleonico: tra le altre, si è parlato di una certa dama Rapallina, principale di quel periodo. Si sa per certo di due figli avuti fuori del matrimonio da amanti non occasionali:



Carlo, conte Léon (13 dicembre 1806 - 15 aprile 1881)

avuto da Luisa Caterina Eleonora Denuelle de la Plaigne (Parigi, 1787 - ivi, 1868), lettrice della principessa Carolina Bonaparte, già sposata a Jean-Honoré François Revel e da questi divorziata pochi mesi prima della nascita di Carlo[17]



Alessandro Floriano Giuseppe, conte Colonna-Walewski, (Walewica, 1810 - Strasburgo, 1868), ministro di Napoleone III

avuto da Maria Laczynska (1786 - 1817), giovane polacca moglie dell'anziano conte Attanasio Colonna di Walewice-Walewski, meglio nota con il nome di Maria Walewska, della quale Napoleone fu sinceramente innamorato.





Satira [modifica]

Un personaggio della caratura di Napoleone, con gli enormi sconvolgimenti da lui causati sulla scena europea non poteva sfuggire certo a prese in giro, sarcasmi, e così via. I suoi soldati, specialmente i veterani che lo venerano, gli appioppano il nomignolo: «Le Petit Tondu» o semplicemente «Le Tondu» ("Il Piccolo Calvo" o "Il Calvo"). Gli inglesi invece, che lo detestano (il che è comprensibile, visto che le sue imprese significavano la sconfitta della politica inglese del balance of power), lo chiamano «Boney», contrazione spregiativa di Bonaparte. Durante tutto il periodo di attività di Napoleone la stampa inglese non perde occasione per dileggiarlo e denigrarlo, dipingendolo come il peggiore degli individui e non esita ad attaccarlo anche sui suoi fatti personali. La sua fama negativa in Inghilterra è divenuta tale che si usa dire ai bambini disubbidienti: «Se fai i capricci stanotte viene Boney e ti porta via». Una specie di Uomo Nero insomma.



Con la proclamazione dell'Impero l'ostilità dei vecchi repubblicani rivoluzionari nei suoi confronti, già forte alla nomina di primo console, si consolida in odio. Lo accusano, non del tutto a torto, di aver rinnegato lo spirito della rivoluzione sostituendo al regime assolutista dei Borbone quello dei Bonaparte, che per giunta sono anche dei parvenu, oltre che dei francesi dell'ultima ora (la Corsica fu ceduta alla Francia dalla Repubblica di Genova un anno prima della nascita di Napoleone e riconosciuta come territorio nazionale solo nel 1789). Così alla nascita dell'Impero (1804) compaiono sui muri scritte come questa:



(FR)

« NAPOLÉON EMPEREUR DES FRANÇAIS ou CE FOL EMPIRE NE DURERA PAS SON AN » (IT)

« Napoleone imperatore dei francesi ovvero questo folle impero non durerà il suo anno »





Sembrerebbe un normale slogan tuttavia guardandolo bene ci si accorge che la seconda parte, quella dopo l'ou, è il perfetto anagramma della prima. Anche il cognome originale di Napoleone viene anagrammato sui muri di Parigi: «NABOT A PEUR» ("il nano ha paura"), anagramma di "Buonaparte".



Nell'iconografia imperiale, dopo i grandi successi in campo militare ottenuti dall'Imperatore compare un simbolo: una grossa N inscritta in un sole radioso. La didascalia, quando c'è, dice «Napoléon dans le plus grand des astres» ("Napoleone nel più grande degli astri") ma dopo Waterloo ecco comparire la beffarda didascalia omofona: «Napoléon dans le plus grand désastre» ("Napoleone nel più grande disastro"). Anche in Italia non mancano i motti di spirito. Uno di questi, alludendo alle spoliazioni che i francesi, e lo stesso Napoleone, hanno compiuto nei paesi occupati, portando via tesori e opere d'arte in gran quantità, recita (si tratta di uno sfottò a domanda e risposta):



Domanda: È vero che li francesi so' tutti ladri?

Risposta: Tutti no, ma buona parte sì.

Dopo la sua morte, apparve a Roma questa pasquinata anonima:



« Fu genio onnipotente

Fece tremà er monno

Ora è sparito in fonno

All'abisso der niente



E morse male

Morse talquale

Come more un ciociaro,

Un bullo o un pifferaro. »







L'esilio a Sant'Elena e la morte [modifica]



Napoleone a Sant'ElenaIl 16 ottobre 1815 un bastimento inglese giunse a Sant'Elena col prezioso carico. Ivi, con un piccolo seguito di fedelissimi,[18] fu trasferito nel villaggio interno di Longwood, ove rimase fino al decesso.



Napoleone dettò le sue memorie ed espresse il suo disprezzo per gli inglesi, personificati nell'odiosa figura del "carceriere" di Napoleone sir Hudson Lowe (che dal trattamento duro riservato a Napoleone non trasse alcun vantaggio per la sua carriera, anzi fu accusato di essere stato troppo severo nei confronti dell'imperatore francese). Egli dettò al conte de Las Cases il Memoriale di Sant'Elena e nella seconda metà dell'aprile 1821 scrisse lui stesso le sue ultime volontà e molte note a margine (per un totale di 40 pagine).





Longwood HouseI dolori allo stomaco di cui già soffriva da tempo, acuitisi nel clima inospitale dell'isola e con il duro regime impostogli, lo condussero alla morte il 5 maggio 1821 alle ore 17:49[19]



Le ultime parole di Napoleone furono: «Francia, esercito, Giuseppina» (France, l'Armée, Joséphine): i tre più grandi amori della sua vita. Egli chiese di essere seppellito sulle sponde della Senna, ma fu invece seppellito a Sant'Elena. Gli inglesi gli tributarono gli onori riservati a un generale.





Il secondo funerale a Parigi [modifica]

Il 2 agosto 1830, nove anni dopo la morte di Napoleone, il re Borbone Carlo X fu costretto ad abdicare e la corona venne concessa a Luigi Filippo d'Orléans di idee più liberali. La statua dell'imperatore fu restaurata sulla colonna di Place Vendôme e vi furono richieste del rientro in patria delle spoglie mortali. Il figlio cadetto del re, il Principe di Joinville, venne incaricato di riportare le spoglie dell'imperatore in Francia e questi, dopo aver ottenuto il permesso dei britannici, diresse una spedizione a Sant'Elena per riportare la salma a Parigi. L' 8 ottobre 1840 venne riesumata la salma che si rivelò intatta (anche per l'effetto conservante dell'arsenico secondo alcuni autori), vestita nell'uniforme di colonnello dei cacciatori della guardia. Ricomposto il corpo in una bara di ebano, l'imperatore iniziò il suo viaggio di ritorno in Francia, dove arrivò a Cherbourg il 29 novembre, salutato dalle salve di cannone del forte e delle navi militari presenti.





Il corteo funebre di Napoleone a Parigi del 15 dicembre 1840Il 15 dicembre 1840 ebbe luogo il funerale solenne a Parigi celebrato con tutti gli onori del rango imperiale. Disposto il feretro su di un carro trainato da 16 cavalli, scortato dai Marescialli di Francia Oudinot e Molitor, l'ammiraglio Roussin e il generale Bertrand, a cavallo, sui quattro lati, il corteo funebre passò sotto l'arco di trionfo, tra due file di insegne con l'aquila imperiale, salutato dalle salve di cannone e accolto dalla famiglia regnante in nome della Francia. Il generale Bertrand che aveva fedelmente accompagnato Napoleone all'Elba e a Sant'Elena venne incaricato dal re di porre la spada e il copricapo dell'imperatore sulla bara, ma non vi riuscì per l'emozione e fu sostituito dal generale Gourgaud. Più tardi, nel 1843 Giuseppe Bonaparte inviò il gran collare, il nastro, e le insegne della Legion d'Onore che suo fratello aveva indossato.





La tomba [modifica]



La Tomba di Napoleone nella chiesa di Saint-Louis des InvalidesI resti di Napoleone riposano in un monumento che si eleva al centro della cattedrale di Saint-Louis des Invalides. Il monumento, concepito dall'architetto Louis Visconti, venne terminato nel 1861. Consiste in un immenso sarcofago di quarzite rossa della Finlandia. Il trasferimento dalla cappella di Saint-Jérôme dove era stata deposta la salma nel 1840, alla sala centrale della cattedrale di Saint-Louis des Invalides venne effettuato con cerimonia non pubblica il 2 aprile 1861, alla presenza dell'imperatore Napoleone III.





Teorie sulla causa della morte [modifica]

La causa della morte di Napoleone non è certa. La versione ufficiale parla di morte dovuta a un tumore allo stomaco, come risultò dall'autopsia. Lo stesso padre di Napoleone morì per la stessa malattia. Ci sono anche varie teorie che sostengono la tesi del lento avvelenamento con l'arsenico. Infine secondo un'altra teoria furono i medici di Napoleone a causarne la morte: a causa del tumore allo stomaco cercavano di alleviargli i dolori sottoponendolo a clisteri giornalieri e gli somministravano sostanze varie per farlo vomitare. Queste cure privarono l'organismo di Napoleone di potassio, avendo come risultato una grave forma di tachicardia che lo uccise.



Nel 1955 furono pubblicati i diari di Louis Marchand, cameriere di Napoleone. La sua descrizione negli ultimi mesi prima della morte porta alcuni alla conclusione che sia stato avvelenato con l'arsenico. L'arsenico a quel tempo era talvolta utilizzato come veleno ed era difficilmente rilevabile se somministrato per un lungo periodo di tempo.



Nel 2001 Pascal Kintz dell'Istituto di medicina legale di Strasburgo aggiunse credibilità a questa ipotesi con uno studio sul livello di arsenico da sette a ventotto volte superiore al livello normale trovato in una ciocca di capelli di Napoleone conservata dopo la sua morte.



Analisi più recenti sulla rivista Science et Vie mostrarono che una simile concentrazione di arsenico era presente in campioni di capelli di Napoleone presi nel 1805, 1814 e 1821. L'investigatore incaricato (Ivan Ricordel, responsabile di tossicologia della Polizia di Parigi), stabilì che se l'arsenico fosse stata la causa della morte, sarebbe dovuto morire anni prima. L'arsenico era del resto usato in molte carte da parati (per il colore verde) e spesso in qualche medicina, sicché il gruppo sostenne che facilmente la fonte poteva essere qualche lozione per i capelli.



La questione della morte di Napoleone per avvelenamento è, oggi (2006), tutt'altro che chiusa. Le analisi che indicherebbero un possibile avvelenamento ambientale da arsenico, svolte dal laboratorio della Prefettura di Parigi nel 2002, sono state a loro volta contestate dai sostenitori dell'omicidio per avvelenamento, non solo perché eseguite con metodi che non sono tra quelli validati dai tribunali internazionali, ma anche per alcune incongruenze tecniche nelle analisi stesse. Al contrario, sempre il dottor Kintz, specialista di fama mondiale nel campo delle analisi tossicologiche, ha svolto ulteriori analisi nell'autunno 2003 presso i laboratori dell'Università del Lussemburgo, secondo procedure legalmente riconosciute e con moderne tecniche (nano-secondary ion mass spectrography): le analisi hanno rivelato che l'arsenico dei capelli di Napoleone è presente non solo sulla superficie del capello, ma anche nel suo midollo, il che sta a indicare indubitabilmente un'origine endogena (cioè vi sarebbe giunto attraverso il flusso sanguigno).



Tornerebbe quindi plausibile l'ipotesi dell'avvelenamento da ingestione, confutando così l'ipotesi di una casuale «contaminazione ambientale». Sinteticamente sono tre le ipotesi più accreditate, sull'avvelenamento da arsenico di cui Napoleone sarebbe deceduto:



avvelenamento graduale dietro ordine del governo inglese, che trovava ormai eccessivo il costo del suo mantenimento e relativa sorveglianza

avvelenamento graduale perpetrato da una delle persone al seguito, il conte Carlo Tristano di Montholon (Parigi, 1782 - ivi, 1853), responsabile della cantina, la cui moglie Albina de Vassal era notoriamente amante di Napoleone: in questo caso il movente sarebbe stato la gelosia, unitamente alla consapevolezza di essere il principale beneficiario dell'eredità dell'ex imperatore.[20]

avvelenamento casuale. Napoleone era ghiotto di orzata, uno sciroppo a base di mandorle amare che contengono notoriamente arsenico. Gli veniva anche spesso somministrato del calomelano, un composto a base di sali di mercurio, usato nella farmacopea come disinfettante intestinale, lassativo e diuretico: una combinazione delle due sostanze ingerite contemporaneamente in un momento di spossatezza fisica gli sarebbe stato fatale.

La querelle, che imperversa tra gli esperti napoleonici, ha anche riflessi nella lotta per il predominio culturale su tale "mondo" e vede coinvolti da una parte, la Societé napolonienne internationale e, dall'altra, la Fondation Napoléon.



È forse il caso di ricordare le parole che un grande cultore dell'epopea napoleonica, David Chandler, recentemente deceduto, ha rilasciato nel corso di una delle sue ultime interviste (Sunday Times, 12 gennaio 2003): «È per me chiaro, ora, che Napoleone è stato avvelenato. Oggi accetto questa conclusione, sebbene per molti anni abbia fortemente dubitato sull'intera questione.»



Il 13 gennaio 2007 è stato pubblicato un articolo che conformerebbe la tesi del cancro allo stomaco causato da un'infezione cronica da Helicobacter pylori. Secondo tale studio, pubblicato sulla rivista «Nature Clinical Practice Gastroenterology and Hepatology» da parte di alcuni ricercatori svizzeri, canadesi e americani, le tracce di arsenico si spiegherebbero con il fatto che era usanza tra i viticoltori dell'epoca pulire l'interno delle botti con tale elemento chimico.



spero di esserti stata utile!!! baci!!


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