Domanda:
testo argomentativo sull'illuminismo?
ULTRAS TV
2006-11-09 09:05:59 UTC
bene ragazzi, io devo scrivere un testo argomentativo di storia sulle trasformazioni culturali e politiche nell'illuminismo, so cosa scrivere nella tesi(deismo, ateismo, cambio concezione del potere,.....9 ma non saprei cosa scrivere nell'antitesi perché non so bene cosa sia.
solitamente cosa si scrive nell'antitesi? e in qst specifico caso che argomenti posso tirare fuori?
ultima cosa: nella tsi, devo dire cosa penso dell'illuminismo, o le caratt principali, o cosa dicevano diderot &C?
Sei risposte:
syndrome89
2006-11-09 09:14:12 UTC
O_O tu metti sia tesi che antitesi? Bel testo che ne esce fuori..
Valeria I
2006-11-09 09:21:33 UTC
L'antitesi è l'accostamento di concetti contrapposti, un esempio nell'Illuminismo è la contrapposizione delle leggi sociali a quelle naturali, vedi Rousseau, il contratto sociale. Devi mettere le caratteristiche principali, se no come inizi? Se ti sei fatto un'idea tua sull'illuminismo esprimila, perché no? Se nella tesi vuoi parlare di deismo, ateismo, dovresti anche esporre il pensiero dei maggiori rappresentanti.
2006-11-09 09:17:30 UTC
L'antitesi è una figura retorica che consiste nella contrapposizione di idee, espressa mettendo in corrispondenza parole di significato opposto.
?
2016-12-28 22:12:01 UTC
Io risponderei che in pratica l' illuminismo è una sorta di comunismo ... e che è giusto perchè rispetta i diritti dell'uomo e del cittadino!! Io così farei, poi sta a te scegliere
2016-12-16 17:34:31 UTC
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2006-11-09 10:11:42 UTC
L'Illuminismo fu un movimento culturale e filosofico che si diffuse in Europa dall'inizio del XVIII secolo fino alla Rivoluzione francese.



Il Secolo dei Lumi

Nel periodo conosciuto come Età dell'Illuminismo, l'Europa del XVIII secolo fu testimone di notevoli cambiamenti culturali, caratterizzati da una perdita della fede nelle tradizionali sorgenti religiose di autorità e dalla conseguente esaltazione di idee e principi storicamente diffusi in Europa dal Cristianesimo in funzione proprio di polemica anticristiana, in quanto considerati come avulsi dalla loro origine religiosa: libertà, uguaglianza, fraternità (o fratellanza), diritti umani, scienza, pensiero razionale e autonomia del potere politico. Molti storici rilevano, infatti, una certa paradossalità della situazione.



Una delle influenze sull'Illuminismo consistette nei resoconti dei preti cattolici in Cina, che servirono come modello per un secolare despota illuminato.



Le sollevazioni dell'Età dei Lumi portarono direttamente alla Rivoluzione Americana così come alla Rivoluzione Francese e influenzarono significativamente la Rivoluzione industriale. Le idee dell'Illuminismo furono anche fortemente influenti nella stesura della Costituzione degli Stati Uniti e di quelle che seguirono, soprattutto negli stati europei.



L'Illuminismo fu anche segnato dal sorgere del capitalismo e dall'ampia disponibilità di materiale stampato. L'Encyclopédie francese, combinava articoli sul libero pensiero con informazione tecnologica.



Un'importante risposta all'Illuminismo all'interno della comunità ebraica europea fu il movimento Haskalah.



Il concetto di un singolo movimento di dimensioni europee può essere certamente sfidato nei dettagli: esso riflette un predominio culturale del pensiero francese. È infatti possibile analizzare diversi movimenti nazionali.



Il termine "illuminismo" era usato dagli scrittori del tempo, convinti di provenire da un'epoca di oscurità e ignoranza e di dirigersi verso una nuova età, segnata dall’emancipazione dell'uomo e dai progressi della scienza sotto la guida dei "lumi" della ragione. L'illuminismo ebbe come principali centri di diffusione l'Inghilterra e la Francia.

L’Inghilterra era stato il Paese dove meglio si era affermato l’empirismo, un orientamento di pensiero filosofico che riconduceva la conoscenza all'esperienza dei sensi, negando l'esistenza di idee innate o di un pensiero a priori ("ciò che viene prima" ossia una conoscenza che si acquisisce prescindendo dall'esperienza, cioè mediante il solo ragionamento deduttivo).

Tratti comuni alle dottrine empiriste sono l'attenzione per i dati empirici come si presentano nella percezione, l’uso del metodo induttivo rispetto a quello deduttivo, la riduzione dei concetti universali a semplici nomi o rappresentazioni mentali, l'antimetafisica, lo sperimentalismo. Dalla "filosofia sperimentale" dello scienziato inglese Newton gli illuministi assunsero una concezione del pensiero scientifico secondo la quale, la ragione umana, attenendosi all'esame dei fenomeni, procede verso i principi, fino a pervenire, come dimostrava la scoperta della legge della gravitazione universale, a un quadro unitario del mondo fisico.

L'illuminismo ebbe per precursori anche pensatori razionalisti come il francese Descartes, del quale i filosofi del XVIII secolo rifiutavano la pretesa di una conoscenza deduttiva derivante da idee innate e da principi noti a priori, ma facevano propria l'esigenza di "chiarezza e distinzione" delle idee, rifiutando il tradizionale principio d'autorità.

Molti illuministi, rifiutando la metafisica, cercarono la conferma di una visione naturalistica e atea della realtà, propugnarono la tolleranza e polemizzarono contro le superstizioni e i pregiudizi. Sulla base di questi presupposti, non pochi autori e intellettuali teorizzarono un anticlericalismo e un attacco alla Chiesa, soprattutto quella cattolica, che, in non pochi casi, raggiunse livelli piuttosto pesanti. Nell'illuminismo si incontrarono aspetti eterogenei, della filosofia e della cultura moderne, dalla rivoluzione scientifica avviata da Copernico e Galilei alle ripercussioni culturali indotte dalle esplorazioni geografiche, dal razionalismo di Descartes all'empirismo di Locke.

L'illuminismo fu portavoce del moderno spirito scientifico, che rifiutando l’autorità di Aristotele e della Bibbia rivendicò l'osservazione diretta dei fenomeni e l'uso autonomo della ragione. La fiducia nella ragione, coniugandosi con il modello sperimentale della scienza newtoniana, sembrava rendere possibile scoprire sia le leggi del mondo naturale, sia quelle dello sviluppo sociale. Si pensò allora che, usando saggiamente la ragione, sarebbe stato possibile un progresso indefinito della conoscenza, della tecnica e della morale.





[modifica] Diffusione dell'Illuminismo

L’illuminismo si diffuse rapidamente in Europa e nelle colonie nordamericane, ma la Francia enumerò molti spiriti eminenti. Il giurista e filosofo della politica Charles de Montesquieu, uno dei primi esponenti del movimento, esordì pubblicando scritti satirici contro le istituzioni contemporaneamente ad uno studio sulle istituzioni politiche, Lo spirito delle leggi (1748).

A Parigi Denis Diderot, autore di numerosi trattati filosofici, incominciò la pubblicazione dell'Encyclopédie nel 1750, avvalendosi della collaborazione del matematico D'Alembert.L'encyclopedie dava dignità alle arti e tecniche viste in passato come discipline inferiori alla letteratura,arte,scienze,teologia,filosofia. Tale opera fu, non solo un compendio di conoscenze, ma anche un mezzo di diffusione dell’illuminismo e di critica degli oppositori. Il più rappresentativo tra gli scrittori illuministi francesi fu Voltaire, che iniziò la sua carriera come drammaturgo e poeta e fu autore di pamphlets (opuscoli satirici e polemici), saggi, satire e racconti brevi nei quali divulgò la scienza e la filosofia della sua epoca. Il filosofo intrattenne inoltre una voluminosa corrispondenza con scrittori e sovrani europei. Gli scritti di Jean-Jacques Rousseau, come Il contratto sociale (1762), l'Emilio (1762) e le Confessioni (1782), esercitarono una profonda influenza sulle teorie politiche e pedagogiche del secolo seguente e diedero impulso al romanticismo ottocentesco.

L'illuminismo fu anche un movimento profondamente cosmopolita: pensatori di nazionalità diverse si sentirono accomunati da una profonda unità d’intenti, mantenendo stretti contatti epistolari fra loro. Furono illuministi italiani Pietro Verri e Cesare Beccaria in Italia, Benjamin Franklin e Thomas Jefferson nelle colonie americane. Durante la prima metà del XVIII secolo, molti tra i principali esponenti dell'illuminismo furono perseguitati per i loro scritti o furono messi a tacere dalla censura governativa e dagli attacchi della Chiesa, ma negli ultimi decenni del secolo, il movimento si affermò in Europa ed ispirò la rivoluzione americana. Il successo delle nuove idee, sorretto dalla pubblicazione di riviste e libri e da nuovi esperimenti scientifici inaugurò una moda diffusa persino tra i nobili e il clero. Alcuni sovrani europei adottarono le idee e il linguaggio dell'illuminismo. Voltaire e altri illuministi, attratti dal concetto di filosofo-re che illumina il popolo dall'alto, guardarono con favore alla politica dei cosiddetti despoti illuminati, come Federico II di Prussia, Caterina II di Russia e Giuseppe II d'Austria.

La Rivoluzione francese pose fine alla diffusione pacifica, ma talvolta anche solo elitaria, dell’illuminismo e, per i suoi episodi più sanguinosi, gettò discredito sull'illuminismo. La polemica romantica, agli inizi del XIX secolo, avversò la sottovalutazione delle tradizioni e della storia, la propensione per l'ateismo, indiscriminata esaltazione della razionalità. L’illuminismo si diffuse fra ampi strati della popolazione preparando l’avvento dell’età contemporanea.





[modifica] Precursori dell'Illuminismo

Jean Meslier, curato di campagna che nel 1729 lasciò un testamento ateo

Polish Brethren



[modifica] Alcune figure importanti dell'Illuminismo

Thomas Paine

Jean le Rond d'Alembert

Denis Diderot

Edward Gibbon

David Hume

Thomas Jefferson

Gotthold Lessing

John Locke

Montesquieu

Isaac Newton

Jean-Jacques Rousseau

Adam Smith

Baruch Spinoza

Voltaire

Benjamin Constant





Thomas Paine (Thetford, 29 gennaio 1737 - New York, 8 giugno 1809) fu un intellettuale, studioso, rivoluzionario e idealista, considerato uno dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d'America.



La figura di Thomas Paine è legata, tra altre, alla Constitutional Society e alla Revolution Society, due associazioni radicali sostenute da gruppi religiosi non conformisti, i cui membri si ritenevano infatti discendenti della Rivoluzione inglese seicentesca. I libri dello scrittore che danno aperto sostegno alla rivoluzioni americana e francese vengono bruciati pubblicamente.



Egli è costretto a rifugiarsi a Parigi, dove è già conosciuto come l'autore di 'The Rights of Man (1791), un'opera letta da centinaia di migliaia di lettori, gravitanti attorno alle associazioni radicali britanniche e irlandesi filo-francesi. Nel trattato, contrario al pensiero di Edmund Burke, Paine dà nuova speranza ai diritti e alle libertà.



Durante il periodo trascorso in carcere, con il rischio di finire giustiziato, da cui lo salva la caduta di Robespierre, completa The Age of Reason (anni 1790). L'età delle rivoluzioni viene vista come velenosa sia per il cristianesimo, sia per l'ateismo. L'autore rifiuta ogni forma di religione consolidata e demolisce l'autorità dei testi sacri: the word of God is the creation we behold ("la parola di Dio è la creazione che guardiamo"), Dio stesso è verità morale e non mistero o oscurità. Nostro compito è doing justice, loving mercy, and endeavouring to make our fellow-creatures happy ("compiere la giustizia, amare la misericordia e cercare di rendere felici i nostri simili").





Jean-Baptiste Le Rond d'Alembert (Parigi, 16 novembre 1717 - 29 ottobre 1783), fu un fisico, matematico, astronomo e filosofo francese, tra i più importanti protagonisti dell'Illuminismo.



Biografia



[modifica] Infanzia

Frutto di un amore illegittimo tra la marchesa Claudine Guérin de Tencin, scrittrice, e il cavaliere Louis-Camus Destouches, commissario d’artiglieria, d’Alembert nacque il 16 novembre 1717 a Parigi. Destouches era all'estero al momento della nascita di d'Alembert che, un paio di giorni più tardi, fu abbandonato dalla madre sulle scale della cappella di Saint-Jean-le-Rond di Parigi, attinente alla torre nord della cattedrale di Notre-Dame. Come voleva la tradizione, venne chiamato con il nome del santo protettore della cappella e divenne Jean le Rond.



Messo dapprima in orfanotrofio, trovò presto una famiglia di adozione: venne preso in affidamento dalla moglie di un vetraio. Il cavaliere Destouches, anche se non ne riconobbe ufficialmente la paternità, vegliò segretamente sulla sua educazione e gli accordò una rendita.





[modifica] Studi

All'inizio, d'Alembert frequentò una scuola privata. Il cavaliere Destouches, alla sua morte avvenuta nel 1726, gli lasciò un'annualità di 1200 libbre. Sotto l'influenza della famiglia Destouches, all'età di dodici anni d'Alembert entrò nel collegio giansenista delle Quattro Nazioni (detto anche collegio Mazarino) dove studiò filosofia, diritto e belle arti, conseguendo il baccalauréat nel 1735.



Negli anni successivi, d'Alembert derise i princìpi cartesiani che gli erano stati impartiti dai giansenisti: «premozione fisica, idee innate e i vortici». I giansenisti orientarono d'Alembert verso una carriera ecclesiastica, cercando di dissuaderlo dal perseguire la poesia e la matematica. Tuttavia, la teologia era per lui «foraggio piuttosto inconsistente». Frequentò la scuola di legge per due anni, diventando avvocato nel 1738.



In seguito si interessò alla medicina e alla matematica. All'inizio si iscrisse a questi corsi con il nome di Daremberg, poi lo cambiò in d’Alembert, nome che conservò per il resto dei suoi giorni.





[modifica] Carriera

Nel luglio 1739 presentò il suo primo contributo nel campo della matematica, evidenziando gli errori che aveva riscontrato ne L'analyse démontrée di Charles René Reynaud, libro pubblicato nel 1708, in una comunicazione indirizzata all'Académie des Sciences. All'epoca L'analyse démontrée era un'opera classica, sulla quale d’Alembert stesso aveva studiato le basi della matematica.



Nel 1740 propose il suo secondo lavoro scientifico nel campo della meccanica dei fluidi: Mémoire sur le refraction des corps solides, che venne riconosciuto da Clairaut. In quest'opera d'Alembert spiegò teoricamente la rifrazione. Inoltre, espose quello che oggi viene chiamato il paradosso di d'Alembert: la resistenza al moto esercitata su di un corpo immerso in un fluido non viscoso e incomprimibile è uguale a zero.



La celebrità ottenuta con il suo lavoro sul calcolo integrale gli permise di entrare all'Académie des Sciences nel 1741 all’età di 24 anni e all'Accademia di Berlino a 28 anni.



Nel 1743 pubblicò il Traité de dynamique nel quale espose il risultato delle sue ricerche sulla quantità di movimento.



Fu assiduo frequentatore di vari salotti parigini, come quello della marchesa Thérèse Rodet Geoffrin, della marchesa du Deffand e di Mademoiselle de Lespinasse. Fu qui che incontrò Denis Diderot nel 1746, il quale lo reclutò per il progetto dell’Encyclopédie; l’anno seguente presero insieme la direzione del progetto. D'Alembert si prese carico delle sezioni riguardanti la matematica e le scienze.



Nel 1751, dopo cinque anni di lavoro da parte di oltre duecento collaboratori, apparve il primo tomo dell’Encyclopédie. Il progetto proseguì finché una serie di problemi lo interruppero temporaneamente nel 1757. D’Alembert scrisse oltre un migliaio di articoli, oltre al famosissimo Discorso preliminare. Nel 1759, per divergenze con Diderot, abbandonò il progetto.



Nel 1754 d’Alembert venne eletto membro dell’Académie française e ne divenne segretario permanente il 9 aprile 1772.



Lasciò la famiglia adottiva nel 1765 per vivere un amore platonico con Julie de Lespinasse, scrittrice e salonnière parigina con la quale convisse in un appartamento.



Fu grande amico di Joseph-Louis Lagrange che lo propose nel 1766 quale successore di Eulero all'Accademia di Berlino.



Suo grande rivale in matematica e in fisica all'Académie des Sciences fu Alexis Claude Clairaut.



D'Alembert era anche un esperto di latino degno di nota; nell'ultima parte della sua vita lavorò a una superba traduzione di Tacito, che gli valse ampi elogi tra cui quello di Denis Diderot.



Nonostante i suoi enormi contributi nei campi della matematica e della fisica, d'Alembert è famoso anche per aver ipotizzato erroneamente, in Croix ou Pile, che la probabilità che il lancio di una moneta dia testa aumenta per ciascuna volta che il lancio dà come risultato croce. Nel gioco d'azzardo, la strategia di diminuire la puntata all'aumento delle vincite e di aumentare la puntata all'aumento delle perdite è perciò chiamata «sistema d'Alembert», un tipo di martingala.



In Francia, il teorema fondamentale dell'algebra è chiamato «teorema di d'Alembert/Gauss».



Creò inoltre un suo criterio per verificare se una serie numerica converge.



Soffrì di cattiva salute per molti anni e morì per una malattia alla vescica. Essendo un noto miscredente, d'Alembert venne seppellito in una tomba comune priva di lapide.



Fino alla sua morte, avvenuta nel 1783 a 66 anni, continuò i suoi lavori scientifici scomparendo al culmine della sua fama, prendendosi così una rivincita eclatante sulla sua sfortunata nascita.





[modifica] L'attività



[modifica] L'Encyclopédie

Nel 1745 d'Alembert, che all'epoca era membro dell'Académie des sciences, fu incaricato da André Le Breton di tradurre in francese la Cyclopaedia dell'inglese Ephraim Chambers.



Da una semplice traduzione, il progetto si trasformò nella redazione di un'opera originale e unica nel suo genere, l'Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers. D'Alembert avrebbe poi scritto il famoso Discorso preliminare, così come la maggior parte degli articoli riguardanti la matematica e le scienze.



«Penser d'après soi» e «penser par soi-même», formule divenute celebri, sono di d'Alembert; si trovano nel Discorso preliminare, Encyclopédie, tomo 1, 1751. Queste formulazioni sono una ripresa di massime antiche (Esiodo, Orazio).





[modifica] Matematica



[modifica] Il teorema di d'Alembert

Nel Traité de dynamique egli enunciò il teorema di d'Alembert (noto anche come «teorema di Gauss-d'Alembert) che dice che qualsiasi polinomio di grado n a coefficienti complessi possiede esattamente n radici in (non necessariamente distinte, occorre tenere conto del numero di volte che una radice è ripetuta). Questo teorema venne dimostrato soltanto nel XIX secolo da Carl Friedrich Gauss.





[modifica] Criterio di d'Alembert per la convergenza delle serie numeriche

Sia una serie dai termini strettamente positivi per la quale il rapporto tende verso un limite . Allora:



se L<1 : la serie di termine generale un converge.

se L>1 : la serie di termine generale un diverge.

se L=1 : non si può concludere.



[modifica] Martingala di d'Alembert

In un gioco in cui si vince il doppio della posta con una probabilità del 50% (per esempio alla roulette, giocando pair / impair, passe / manque), egli propone la strategia seguente:



Puntare un'unità

Se si vince, ritirarsi

Se si perde, puntare il doppio (in modo da coprire la perdita precedente e lasciare un guadagno)

continuare fino a una vincita o ad esaurimento.

Con questo procedimento, il gioco non è per forza vincente, ma si aumentano le possibilità di vincere (un po') al prezzo di un aumento della perdita possibille (ma più rara). Per esempio, se per sfortuna si vince solo alla decima volta dopo aver perso 9 volte, occorre aver puntato e perdere 1+2+4+8+16+32+64+128+256+512 = 210-1 unità per vincerne 1024, con un saldo finale solo di 1. Occorre anche essere pronti a sopportare eventualmente una perdita di 1023, con una probabilità debole (1/1024), ma non nulla. Anche con una ricchezza di partenza infinita e una durata di gioco illimitata, occorre inoltre far fronte all'eventualità che il gioco non finisca mai.



Infine, occorre astenersi dal giocare nuovamente dopo una vincita, giacché ciò ha l'effetto inverso a quello della martingala: aumentare la probabilità della perdita.



Esistono altri tipi di martingale famose, che alimentano tutte la falsa speranza di una vincita sicura.



È opportuno notare che l'attribuzione di questa martingala a d'Alembert è soggetta a riserva.





[modifica] Astronomia

Studiò il problema dei tre corpi e gli equinozi.





[modifica] Fisica

Nel 1743, nel Traité de dynamique enunciò il principio della quantità di movimento, che è talvolta chiamato «principio di d'Alembert»:



«Se si considera un sistema di punti materiali legati tra loro in modo che le loro masse acquisiscano velocità rispettive differenti a seconda se esse si muovano liberamente o solidalmente, le quantità di movimenti acquisite o perse nel sistema sono uguali.»



Studiò anche le equazioni differenziali e le equazioni a derivate parziali.





[modifica] Filosofia

D'Alembert scoprì la filosofia al collegio delle Quattro Nazioni (oggi Académie française), fondato da Mazarino e retto da religiosi giansenisti e cartesiani. Oltre alla filosofia, si interessò alle lingue antiche e alla teologia (scrisse sulla Lettera di san Paolo ai Romani). Uscito dal collegio, mise definitivamente da parte teologia e si lanciò negli studi di diritto, medicina e matematica. Dei suoi primi anni di studio conservò una tradizione cartesiana che, integrata ai concetti newtoniani, avrebbe in seguito aperto la strada al razionalismo sceientifico moderno.



Fu l'Encyclopédie, alla quale collaborò con Diderot e altri pensatori del suo tempo, che gli diede l'occasione di formalizzare il suo pensiero filosofico. Il Discorso preliminare dell'Encyclopédie, ispirato dalla filosofia empirista di John Locke e pubblicato all'inizio del primo volume (1751), è spesso considerato, a ragione, un autentico manifesto della filosofia dell'Illuminismo. Egli vi afferma l'esistenza di un legame tra il progresso della conoscenza e il progresso sociale.



Contemporaneo del secolo dei Lumi, determinista e ateo (per lo meno deista), d'Alembert fu uno dei protagonisti, assieme al suo amico Voltaire, della lotta contro l'assolutismo religioso e politico che venne da lui denunciato nei numerosi articlo filosofici scritti per l'Encyclopédie. La raccolta delle sue analisi spirituali di ciascun dominio della conoscenza umana trattato dall' Encyclopédie costituisce una vera filosofia delle scienze.



Nella Philosophie expérimentale, d'Alembert definì così la filosofia: «La filosofia non è altro che l'applicazione della ragione ai differenti oggetti sui quali essa può essere esercitata».





[modifica] Arte

D'Alembert è considerato un teorico della musica, in particolare negli Éléments de musique. A tal riguardo, una controversia lo oppose a Jean-Philippe Rameau.





[modifica] Curiosità

Un cratere lunare porta il suo nome.



[modifica] Opere

Mémoire sur le calcul intégral (1739), prima opera pubblicata

Traité de dynamique (1743)

Traité de l'équilibre et du mouvement des fluides (1744)

Réflexions sur la cause générale des vents (1746)

Recherches sur les cordes vibrantes (1747)

Recherches sur la précession des équinoxes et sur la nutation de l'axe de la terre (1749)

Éléments de musique (1752)

Mélanges de littérature et de philosophie (2 tomi 1753, 5 tomi 1759-1767),

Essai sur les éléments de philosophie (1759)

Éloges lus dans les séances publiques de l'Académie française (1779)

Opuscules mathématiques (8 tomi 1761-1780)

Œuvres complètes, Éditions CNRS, 2002. ISBN 2-271060133

Encyclopédie ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, Flammarion, 1993.



Denis Diderot (Langres, 5 ottobre 1713 - Parigi, 31 luglio 1784) è stato un filosofo e scrittore francese; fu uno dei massimi rappresentanti dell'Illuminismo. Di famiglia borghese benestante, dopo aver studiato presso il collegio gesuita della città natale, si trasferì a Parigi per iscriversi all'Università; ne uscirà nel 1732 con il titolo di magister artium. Fu, dapprima insieme a D'alembert' , il principale redattore della Encyclopédie.



Note biografiche

Sprovvisto di un preciso indirizzo di carriera, Diderot si adattò ai più diversi lavori. Fu anche scrivano pubblico e precettore, frequentando, come molti altri giovani bohémien, i salotti ed i caffè in cui circolavano le idee illuministiche e libertine.



Qui conobbe un altro provinciale come lui, Jean-Jacques Rousseau, con cui costruì un intenso quanto burrascoso rapporto. Studiò greco e latino, medicina e musica, guadagnandosi da vivere come traduttore. Nel 1745 tradusse il Saggio sulla virtù e sul merito di Anthony Shaftesbury, del quale ammirò le idee di tolleranza e di libertà. In seguito, assieme a François-Vincent Toussaint e a Marc-Antoine Eidous, lavorò alla versione francese del Dictionnaire universel de medicine (Paris 1746-1748) del medico inglese Robert James.





[modifica] Pensieri filosofici

Sotto questa influenza si collocano i Pensées philosophiques (Pensieri filosofici) del 1746, di intonazione deista, La sufficienza della religione naturale e La passeggiata dello scettico del 1747, tutti aspramente critici verso la superstizione e l'intolleranza. Risalgono al 1748 il romanzo libertino I gioielli indiscreti ed al 1749 la Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono di intonazione sensista e materialista.



Già questa prima rassegna di titoli (cui vanno aggiunti anche alcuni saggi di matematica) lascia intravedere due caratteristiche fondamentali della personalità intellettuale del filosofo, vale a dire la vastità dei suoi interessi - che spaziarono dalla filosofia alla biologia, dall'estetica alla letteratura - e la flessibilità dei generi di scrittura da lui praticati, particolarmente congeniale al carattere mobile, aperto e dialogico del suo pensiero.



Incarcerato a Vincennes per taluni di questi scritti, giudicati sovversivi, il grande pensatore trascorrerà cinque mesi di prigionia piuttosto blanda, dal 22 luglio al 3 novembre 1749.





[modifica] L'Encyclopédie

Nel frattempo era incominciata anche la grande avventura dell'Encyclopédie, che lo occuperà instancabilmente per il successivo quindicennio. Di quest'opera Diderot sarà il più infaticabile artefice, scorgendo in essa una irrinunciabile battaglia politica e culturale e sostenendola pressoché da solo, dopo la defezione di Alembert Jean-Baptiste Le Rond detto Jean d'Alembert nel 1759.



Viceversa, Diderot non darà in genere circolazione pubblica ai propri scritti, molti dei quali rimarranno quindi del tutto sconosciuti al di fuori della ristretta cerchia dei filosofi, per venire pubblicati solo dopo molti decenni dalla sua morte (alcuni addirittura dopo la seconda guerra mondiale).



Appartengono a questo periodo - la pubblicazione dell'Encyclopédie si concluderà definitivamente solo nel 1773 - altre importanti opere, tra cui si possono ricordare i fondamentali saggi filosofici L'interpretazione della natura (1753) ed il Sogno di d'Alembert (1769), i romanzi La monaca (1760) e Giacomo il fatalista (1773), il dialogo Il nipote di Rameau (1762); le opere teatrali Il figlio naturale ed Il padre di famiglia, nonché il trattato La poésie drammatique.

Una delle sue opere principali fu il trattato sull'arte teatrale Paradoxe sur l'acteur, ancora oggi una delle opere più importanti sull'arte della recitazione. Diderot svolse un ruolo capitale anche nella storia della critica d'arte e nella storia dell'arte. Quest'ultima disciplina, nasce intorno agli anni trenta del secolo dei lumi, contemporaneamente alla storia della letteratura promossa dai protestanti rifugiati in Olanda e dai benedettini di Saint-Maur. Diderot vi contribuisce dischiudendo una strada che condurrà sino a Baudelaire (cfr. Scritti sull'arte, tr. it. Torino, Einaudi 1992), potendo avere accesso alla pittura del XVI e XVII secolo presente nelle collezioni del duca d'Orléans al Palais Royal, nelle collezioni di de La Live de Jully in rue Richelieu, nonché nelle collezioni dell'amico barone d'Holbach. Diderot è il primo a riunire il punto di vista tecnico a quello estetico nella sua critica d'arte che è raccolta principalmente nella serie di impressioni ch'egli consegna in forma epistolare in occasione delle esposizioni parigine - i Salons - alla Correspondance littéraire dell'amico Grimm. Il Salon , iniziativa dapprima annuale, poi biennale dal 1746 al 1781 è un'esposizione di pittura che si apre al mattino del giorno della festa del re, San Luigi, il 25 agosto e che dura all'incirca fino alla fine di settembre. L'ingresso è gratuito. Se il resoconto diderottiano del Salon del 1759, il primo redatto da Diderot per la Correspondance littéraire, non è che un articolo di una quindicina di pagine, a partire dal 1761 e dal 1763 queste lettere divengono il terreno su cui Diderot formula alcuni dei suoi princìpi estetici più importanti, disseminandovi altresì riflessioni filosofiche storiche e morali. Esiste dei Salons diderottiani una splendida edizione curata da Jean Seznec,(Oxford, 1975-1983 2ed) che affianca al testo diderottiano la riproduzione delle opere d'arte citate rintracciabili. Un'edizione più accessibile occupa il IV tomo delle Oeuvres curata da L. Versini, Paris. Laffont, 1996, pp. 171-1005.





[modifica] La relazione con Sophie

La vita privata di Diderot fu intensa, libera, focalizzata intorno a centri affettivi di grande importanza come la famiglia - si sposò nel 1743 con una corniciaia, Antoinette Champion detta Nariette, avendo dal matrimonio una figlia amatissima - ed, a partire dal 1756, l'amica ed amante Sophie Volland. Di quest'ultima relazione ci resta un epistolario di grande valore, oltre che biografico, letterario e storico.



Nel 1773 il filosofo si recò a Pietroburgo, dove stese per l'imperatrice Caterina II di Russia diversi progetti di riforma della società e dell'istruzione.



Fu un durissimo colpo la morte di Sophie nel febbraio 1784; ed il 31 luglio dello stesso anno Diderot, addolorato, morirà a Parigi.







Edward Gibbon (8 maggio 1737 – 16 gennaio 1794) è stato uno dei più importanti storici britannici.



Edward Gibbon è il più grande storico inglese del ‘700, personificazione della razionalità e dello scetticismo illuministici. Agli occhi di un successivo visitatore e appassionato dell’Italia, Percy Bysshe Shelley, Gibbon sarebbe ad esempio apparso uno “spirito freddo e distaccato”. Italia che aveva visto il Declino e caduta dell'Impero Romano (Decline and fall of the Roman empire), titolo dell’opera di Gibbon (anni ’80). In essa viene messo in dubbio il fatto che l’Europa moderna debba considerarsi particolarmente fortunata per le forme di governo e di religione avute in passato.



Se da un lato Gibbon volge lo sguardo verso i salotti intellettuali della Parigi rivoluzionaria e verso il Grand Tour, dall’altro vengono anticipati gli ideali repubblicani che domineranno l’Europa ottocentesca. L’autore riesce a proiettare il suo influsso sulla nuova generazione desiderosa di ridefinire il pensiero intellettuale politico dei padri. Gibbon tende più a credere nel ridimensionamento del prestigio e del potere, piuttosto che in una nuova rinascita della società, sia che si tratti dell’antica Roma sia della Rivoluzione francese come un nuovo inizio della storia. In merito alla Rivoluzione, gli sembra improbabile che un impero e una società possano essere ricostruiti esclusivamente abbattendo le strutture politiche del Medioevo.



In ogni caso Gibbon preferisce porre quesiti in merito al passato piuttosto che dibattere su cause moderne. Nonostante la sua dichiarazione “my temper is not very susceptible of enthusism” (Ho un carattere poco sensibile agli entusiasmi), nel ricordare la sua visita a Roma, Gibbon afferma però di essere stato turbato da forti emozioni e che, solo dopo “diversi giorni di estrema eccitazione” era riuscito a riprendere il controllo di se e la sua naturale freddezza.





[modifica] Bibliografia

Edward Gibbon, Declino e caduta dell'Impero Romano, Mondadori 1986. A cura di Dero A. Saunders, traduzione di Michele Lo Buono.

Edward Gibbon, Storia della decadenza e caduta dell'Impero Romano, Einaudi 1987. Traduzione a cura di Giuseppe Frizzi.





David Hume (Edimburgo, 26 aprile 1711 - ivi, 25 agosto 1776) fu un filosofo e storico scozzese e, con Adam Smith e Thomas Reid, una delle figure più importanti dell'illuminismo scozzese. Molti considerano Hume come il terzo ed il più radicale dei British Empiricists ("empiristi britannici"), dopo l'inglese John Locke e l'anglo-irlandese George Berkeley; questo raggruppamento di Hume, Locke e Berkeley, benché tradizionale, ignora l'importante influenza su Hume di vari autori francofoni, tra cui Nicolas de Malebranche, Pierre Bayle, così come le varie altre figure sulla scena intellettuale anglofona quali Isaac Newton, Samuel Clarke, Francis Hutcheson e Joseph Butler.



Gli storici generalmente considerano la filosofia di Hume come una forma radicale di scetticismo, ma molti commentatori hanno sostenuto che il suo naturalismo non ha meno importanza. La ricerca su Hume ha teso ad oscillare con l'andare del tempo fra coloro che danno risalto al lato scettico di Hume (quali Reid, Greene ed i positivisti logici) e coloro che danno risalto al lato naturalista (come Don Garrett, Norman Kemp Smith, Barry Stroud e Galen Strawson).



Vita

David Hume nacque a Edimburgo, secondogenito di un possidente del Berwickshire, contea della Scozia meridionale. Nella stessa città intraprese gli studi di giurisprudenza, per compiacere alla famiglia; i suoi veri interessi, tuttavia, erano la letteratura e la filosofia. I suoi debutti come avvocato a Bristol non andarono a buon fine e ben presto scelse di trasferirsi in Francia, a La Flèche, dove restò tre anni, dal 1734 al 1737, e dove scrisse la sua opera più importante, il Trattato sulla natura umana, che verrà pubblicato dopo il suo ritorno a Londra, ma senza successo.



Ritornato in Inghilterra, pubblicò nel 1742 la prima parte dei suoi Saggi morali e politici. Quest'opera ricevette un'accoglienza più favorevole sia tra il pubblico sia tra gli intellettuali, ma non fu sufficiente per ottenere una cattedra di filosofia presso l'università di Edimburgo e nemmeno presso quella di Glasgow: probabilmente la sua nomea di ateo e la strenua opposizione del suo più forte critico Thomas Reid furono all'origine di questa mancata nomina. Ritornò quindi sul continente e, tra il 1745 e 1748, ottenne vari incarichi politici, recandosi fra l'altro alle corti di Vienna e Torino.



Nel 1748 pubblicò a Londra la Ricerca sull'intelletto umano. Nel 1752 ebbbe un posto di bibliotecario alla facoltà di diritto di Edimburgo, impiego che gli lasciò molto tempo a disposizione per riflettere, indagare e scrivere: sono di questi anni la Storia d'Inghilterra, da Giulio Cesare fino all'ascesa di Enrico VII, e la Ricerca sui princìpi della morale. Nel 1757 pubblicò la Storia naturale della religione; un altro scritto su questo stesso tema, per molti il suo capolavoro stilistico, è Dialoghi sulla religione naturale, pubblicato postumo nel 1779.



Nel 1763 divenne segretario dell'ambasciatore d'Inghilterra a Parigi, città nella quale rimase fino al 1766. Qui ebbe l'opportunità di frequentare gli ambienti illuministi e conoscere il filosofo Jean-Jacques Rousseau, nonché essere ospite del barone Paul Henri Thiry d'Holbach all'epoca impegnato nella sua accanita battaglia antireligiosa. Tornato in Inghilterra, decise di ospitare Rousseau, frequentazione che però finì con una clamorosa rottura per incompatibilità di carattere e per il patologico delirio di persecuzione da cui era afflitto l'autore dell'Emilio. Oramai ricco, terminò serenamente la sua esistenza ad Edimburgo il 25 agosto 1776.





[modifica] Il pensiero

Il pensiero di Hume, nato sotto la luce delle correnti illuministiche del XVIII secolo, rimane ancor oggi rilevante per la filosofia contemporanea se paragonato ad altri suoi contemporanei. Hume mirava a realizzare una scienza della natura umana, dotata di quella stessa certezza e organizzazione matematica che Newton aveva utilizzato per la fisica.





[modifica] La critica del concetto di causalità

Ogniqualvolta assistiamo a due eventi in rapida successione, pensiamo subito che ci sia una qualche connessione fra i due eventi, e in particolar modo, che l'evento che viene cronologicamente per primo produca il successivo e che quindi l'evento A sia la causa dell'evento B. Hume rifiuta però questo punto di vista: su che si basa -si chiedeva- quel procedimento grazie al quale, dato l'evento A, se ne deduce B?



Sul principio di causalità si basavano tutti quei procedimenti di "previsione" con cui ad un evento se ne fa seguire un'altro teoricamente collegato al precedente. L'esempio famoso di Hume è quello della palla da biliardo lanciata contro un altra: per qualunque osservatore apparirà sempre prima una palla che si scontra con un'altra e poi il mettersi in moto di quest'ultima. Così facendo tutti gli osservatori, dopo qualche lancio, potranno affermare che la seconda palla si muoverà vedendo soltanto la prima palla che viene lanciata verso di essa.



Hume tentò di capire quale fosse il ragionamento che ci fa prevedere il moto di B conoscendo soltanto quello di A. Escluse subito un ragionamento a priori, ovvero un inferenza necessaria che ad A fa seguire necessariamente B, in quanto fra due eventi è impossibile ricavare una qualsiasi relazione necessaria. Ma non si può pensare nemmeno ad un discorso empiristico, in quanto, come ragionamento a posteriori, può essere effettuato solo successivamente ai due eventi. E anche in questo caso non ci possono essere prove che confermino che B sia la conseguenza di A in quanto il rapporto fra A e B è di consequenzialità e non di produzione, cioè si può affermare in base all'esperienza solo che A precede B e che A è molto vicino a B ma non si può dedurre niente che leghi indiscutibilmente l'evento A a quello B.



Il fatto insomma che ad un evento A segua da milioni di anni un evento B non può darci la certezza assoluta che ad A segua sempre B e nulla ci impedisce di pensare che un giorno le cose andranno diversamente e, per esempio, a B segua A. Per ovviare a ciò ci vorrebbe un principio di uniformità della natura che si incarichi di mantenere costanti in eterno le leggi della natura, cosa che per Hume non è nè intuibile nè dimostrabile.





[modifica] La critica dell'abitudine o credenza

Molti di noi pensano agli eventi passati come a una guida sicura per gli eventi futuri. Per esempio, le leggi fisiche che guidano il moto dei pianeti lungo le loro orbite funzionano ottimamente per descrivere i comportamenti passati e così pensiamo che prevedano altrettanto bene anche quelli futuri. Ma come possiamo giustificare questa presunzione? Come possiamo pensare che questa credenza funzioni ogni volta? Hume suggerì due possibili giustificazioni e le confutò entrambe:



La prima consiste in una necessità logica: il futuro deve ricalcare il passato, altrimenti tutta la scienza e la fisica perderebbe di valore. Ma Hume dimostrò che è altrettanto logicamente corretto presuppore un universo in cui le leggi fisiche passate non coincidano con quelle presenti e che non siano uniformi in ogni zona dello spazio. Non c'era nulla che rendesse questo principio logicamente necessario.

La seconda giustificazione, più modestamente, si agganciava solamente all'uniformità con il passato: una legge che funzionava nel passato continua a funzionare ancora oggi. Hume però usando un ragionamento ricorsivo dimostrò questa giustificazione necessitava di ricorrere a sé stessa per essere dimostrata. Ancora una volta la tesi crollava.

Il problema è ancora aperto tutt'oggi. Hume credeva che questa idea fosse radicata nell'istinto umano e che sarebbe stato impossibile eliminarla dalla mente umana. Questa abitudine è però necessaria perché le scienze (e in particolar modo la fisica) continuino ad evolversi.





[modifica] La critica della sostanza corporea e psichica

Per Hume la sostanza non era altro che una "collezione di qualità particolari" ovvero un insieme di stimoli e di sensazioni empiriche provenienti dall'esterno cementate dal nostro intelletto fino a creare un'idea di ciò che stiamo analizzando, creandoci l'impressione che ciò esista anche nel momento in cui noi non lo percepiamo.



Nel suo iter filosofico Hume fece rientrare in questo ragionamento anche l'"io". Egli cercava infatti di scoprire quale fosse quell'elemento che ci fa essere noi stessi quando tutto il nostro corpo cambia incessantemente giorno dopo giorno.

Ne concluse che anche la sostanza dell'"io" era soltanto un amalgama di sensazioni. Infatti, ogni volta che ci addentriamo nel nostro io, incontriamo sempre una qualche particolare sensazione (piacere, dolore, caldo, freddo) e se riuscissimo ad eliminare ogni singola sensazione del nostro io non resterebbe nulla.



Grazie a questo ragionamento Hume affermò anche l'inutilità del tentare di dimostrare l'immortalità dell'anima, in quanto del nostro io possiamo parlare soltanto in presenza di sensazioni.





[modifica] Lo scetticismo di Hume

Hume stesso si definiva scettico e pirroniano. Ma è uno scetticismo diverso rispetto a quello tradizionale: è assente infatti la sospensione del giudizio. Quella di Hume è più un'analisi razionale di ciò che la ragione può sapere, dei limiti in cui le pretese della ragione devono confinarsi: la ragione quindi diventa allo stesso tempo imputato, giudice e giuria.



Così, sebbene gran parte della conoscenza fenomenica si riduca soltanto ad una conoscenza probabile, Hume inserisce anche un campo di conoscenze certe, ovvero quelle matematiche, che sono indipendenti da ciò che realmente esiste e frutto soltanto di processi mentali.



Hume solca quindi soltanto dei confini alle pretese della ragione, sebbene molto drastici: il principio di causalità, l'esistenza del mondo esterno a noi, l'io e molti altri aspetti del mondo che fino a quel momento parevano ovvi e scontati vengono declassati a semplici "abitudini" e "credenze". Abitudini necessarie però alla vita umana. Crollava quindi quel meraviglioso castello di illusioni della metafisica razionalista che si era costruito negli anni precedenti.



Queste teorie verranno da lì a breve riprese e sviluppate dal filosofo tedesco Immanuel Kant.





[modifica] Morale e motivazione

Il linea con il suo attacco al ruolo che la ragione si era creata negli ultimi anni, Hume asserisce che anche la morale esce al di fuori del campo di giudizio della ragione. La morale è, come dirà lui stesso, una "questione di fatto, non di scienza astratta" e quindi inconoscibile nella sua essenza dalla ragione e, inoltre, segue percorsi autonomi dalla ragione.



La critica più alta che muove alla morale è quella di essere condizionata da eventi esterni che cercherebbero di dire aprioristicamente cosa sia giusto e cosa sia sbagliato (la religione è una di queste influenze): la bontà di un'azione è (e deve essere) del tutto indipendente dalla promessa di un premio e dal timore di una pena.



La morale si sviluppa grazie ad un'altro sentimento, quello della simpatia, grazie al quale ci sentiamo vicini ai nostri simili e ne condividiamo felicità e infelicità.





[modifica] Libero arbitrio e determinismo

Come tutti, anche Hume notò l'evidente conflitto fra determinismo e libero arbitrio, ovvero: se le tue azioni sono determinate già da miliardi di anni come è possibile poter essere liberi di scegliere? Ma non si fermò qui, Hume trovò un'altro conflitto che avrebbe portato il problema ad uno sbocco paradossale: il libero arbitrio è incompatibile con l'indeterminismo.



Se le tue azioni non fossero determinate dagli eventi passati, allora esse saranno completamente casuali e quindi saranno scollegate dal tuo carattere, i tuoi desideri, preferenze, valori, ecc... E allora come si potrebbe essere responsabili di azioni che non dipendono dal nostro carattere? E come si potrebbe ritenere qualcuno responsabile delle proprie azioni che, come abbiamo già detto, sono aleatorie?



Eccoci quindi giunti al paradosso. Il libero arbitrio è inconsistente con il determinismo ma allo stesso tempo lo richiede. Ecco un'altro aspetto della realtà che sfugge alla comprensione della ragione.





[modifica] Il conflitto fra "essere" e "dover essere"

Hume notò che molti scrittori parlavano spesso di "cosa dovrebbe essere" al posto di "cosa è". Ma fra la proposizione descrittiva "essere" e quella prescrittiva "dover essere" scorre un fiume di differenze. Hume mise in guardia gli scrittori da tali facili sostituzioni, soprattutto se accompagnate da una cattiva motivazione.



Ma come si può effettivamente motivare la derivazione di "dover essere" dall'"essere"? Hume ne concluse con l'impossibilità di tale derivazione. Questa questione, proposta da Hume in un piccolo paragrafo, è diventata negli ultimi anni la base della teoria etica.





[modifica] Opere

A Treatise of Human Nature: Being an Attempt to introduce the experimental Method of Reasoning into Moral Subjects. (1739–40)

Book 1: "Of the Understanding"

Book 2: "Of the Passions"

Book 3: "Of Morals"

An Enquiry Concerning Human Understanding (1748)

An Enquiry Concerning the Principles of Morals (1751)

Dialogues Concerning Natural Religion (postumo)

Essays Moral and Political (prima ed. 1741–2)

The History of England (1754–62)





Thomas Jefferson (13 aprile 1743 - 4 luglio 1826) è stato il terzo Presidente degli Stati Uniti d'America.



È considerato uno dei padri fondatori della nazione è il suo volto è ritratto anche sul Monte Rushmore. Fu lui il principale autore della Dichiarazione d'indipendenza del 4 luglio 1776.





[modifica] Biografia

Figlio di un pioniere della Virginia, funzionario della Corona. Studiò al William and Mary College dove si laureò a vent'anni. Conosceva i classici greci e latini, parlava italiano, francese e spagnolo, si interessava di matematica e architettura, era un ottimo suonatore di violino.



Nel 1772 sposò una vedova ventitreenne, Martha Skelton, dalla quale ebbe sei figli. Seguendo l'esempio del padre, divenne giudice di pace, e poi fu rappresentante dell'assemblea della Virginia, nel 1775 fu eletto al Congresso continentale.

Nel 1779 fu eletto governatore della Virginia e dal 1784 al 1789 rappresentò gli USA in Francia.



Rientrato in patria, fu incaricato dal presidente George Washington di assumere il Segretariato di Stato nel primo governo federale. Politicamente si dichiarò sempre contrario ai partiti e si considerò come il portavoce dei piantatori e dei pionieri del Sud e dell'Ovest.



Jefferson fu eletto presidente nel 1801. Sotto il suo mandato gli USA acquistarono dalla Francia la Louisiana per 14,5 milioni di dollari. Un altro fondamentale episodio della presidenza di Jefferson fu l'esplorazione del nord-ovest del paese, la Spedizione di Lewis e Clark, comandata agli ufficiali Meriwether Lewis e William Clark, che diede il vero e proprio avvio alla conquista dell'Ovest.



Nel 1805 attuò il primo intervento militare americano fuori dal territorio nazionale, con il bombardamento di Tripoli contro la pirateria mediterranea che minacciava i traffici commerciali americani nel Mediterraneo. A parte questo episodio Jefferson fu un pacifista convinto, tanto che ridusse considerevolmente le spese militari.



Nel 1809 scadde il suo secondo mandato. L'ultimo atto della sua presidenza era stato il varo di una legge che proibiva l'importazione degli schiavi.



Si ritirò a Monticello, dove morì il 4 luglio 1826, mentre gli americani festeggiavano il cinquantenario dell'Indipendenza, lo stesso giorno in cui morì anche il suo predecessore John Adams.



Ordine: Terzo Presidente

Termine Ufficio: 4 marzo 1801 - 3 marzo 1809

Predecessore: John Adams

Successore: James Madison

Nascita: Albemarle County, Virginia 13 aprile 1743

Morte: Charlottesville, Virginia 4 luglio 1826

First Lady: Martha Wayles Skelton Jefferson

Professione:

Partito Politico: Democratici-Repubblicani

Vice Presidenti: Aaron Burr (1801-1805)

George Clinton (1805-1809)







Gotthold Ephraim Lessing (Kamenz, 22 gennaio 1729 - Braunschweig, 15 febbraio 1781) fu un poeta, drammaturgo e saggista tedesco, ritenuto il massimo esponente dell'Illuminismo letterario tedesco.



Lessing divenne celebre per le sue commedie Minna von Barnhelm (1767), Miss Sara Sampson (1775) e soprattutto Nathan il saggio (1779), in cui espone i suoi ideali di solidarietà e tolleranza.

Scrisse anche una tragedia, Emilia Galotti (1772), e diversi saggi di estetica, tra cui il Laocoonte (1766), importante per la sua idea dell'equivalenza tra poesia e pittura.







John Locke nato a Wrington (nelle vicinanze di Bristol) il 29 agosto 1632 e morto ad Oates (nella contea di Essex) il 28 ottobre 1704, fu filosofo inglese.



[modifica] Biografia

Nasce vicino Bristol nel 1632; il padre è avvocato, lui frequenta invece il college di Oxford che in quel periodo rappresenta il centro di cultura più moderno dell’Inghilterra. Dopo la restaurazione della monarchia e della chiesa, Locke abbandona l’idea della carriera ecclesiastica e si dedica agli studi. Appassionato di filosofia, storia, astronomia e medicina deve a quest’ultima (non consegui mai la laurea in medicina ma solo il grado di maestro delle arti) la sua amicizia con il conte di Shaftesbury (gli salvò la vita con un intervento chirurgico). Divenne suo medico personale e consigliere, seguendone l’alterna sorte e le vicissitudini. Fu suo segretario quando divenne Lord cancelliere e collaboratore stretto quando fu nominato presidente del consiglio del re.

Fuggì sotto falso nome quando il suo protettore cadde in disgrazia e si rifugiò con lui in Olanda. Tornato a Londra pubblicò nel 1690 la sua opera più importante, il "Saggio dell’intelletto umano".

Il ritorno in patria al seguito di Guglielmo D’Orange fu trionfale: ricoprì vari incarichi importanti tra cui anche quello di consigliere per il commercio nelle colonie. Morì nel 1704 passando serenamente gli ultimi anni.



Fondatore dell'empirismo inglese e massimo teorico del liberalismo, studiò all'Università di Oxford, dove fu influenzato dalla politica di tolleranza religiosa del suo cancelliere John Owen. Dopo aver conseguito il titolo di maestro delle arti fu chiamato ad insegnare alla stessa Università. Le opere di Cartesio probabilmente incisero notevolmente sulla sua formazione. Nel 1666 cominciò a studiare medicina. Divenuto segretario di Lord Ashley (che venne successivamente insignito del titolo di conte di Shaftesbury) cominciò la sua attività politica. Nel 1675 Shaftesbury cadde in disgrazia del re Carlo II e Locke, ritiratosi in Francia per quattro anni, si dedicò alla preparazione del Saggio sull'intelletto umano.



Tornò a Londra nel 1679 per stare nuovamente presso Shaftesbury, ma costui nel 1682 venne accusato di tradimento e anche Locke cadde in sospetto e andò in esilio volontario in Olanda, dove fu attivo sostenitore di Guglielmo d'Orange. Nel 1689 tornò in Inghilterra e la sua fama crebbe notevolmente.





[modifica] Pensiero

Nella sua opera di maggior rilievo, il Saggio sull'intelletto umano, Locke espone le sue teorie sulla conoscenza. È evidente la sua polemica verso il razionalismo cartesiano, ma ancora più palese è la critica della dottrina delle idee innate diffusa presso i neoplatonici inglesi, tra i quali spicca il nome di Herbert.



Ma se per Locke la conoscenza e quindi l'idea di Dio non è innata, portando gli esempi dei bambini, allora che origine hanno le idee secondo il filosofo? Qui egli mostra la sua natura empirista, considerando la conoscenza frutto della ragione, ma non della ratio cartesiana, cioè una ratio certa, assoluta ed indiscutibile. Bensì una ragione che necessita di prove empiriche, sul modello della prassi medica e scientifica in generale.



Dunque Locke arriva a formulare una teoria basata sui sensi. Conoscenza che deriva dall'esperienza sensibile. Sono i nostri sensi, come per esempio l'ottica, che ci mostrano il mondo, gli oggetti. Se in un primo momento è la sensazione a mostrarci gli oggetti, necessariamente segue ad essa la riflessione.



Nel 1690 Locke, che apparteneva al Partito Whig (più tardi chiamato Partito Liberale), pubblicò anonimamente i Due trattati sul governo, che contenevano un'apologia (giustificazione morale) della gloriosa rivoluzione inglese, una polemica contro l'assolutismo (in particolare contro l'opera di Robert Filmer, che lo giustificava) ed un modello da seguire, in cui il potere dei governanti fosse limitato, ed i diritti dei cittadini rispettati.



Se così non fosse stato, il popolo aveva il diritto di resistenza contro un governo ingiusto. Locke partiva dalla teoria del contrattualismo (già avanzata da Thomas Hobbes e ripresa poi nel celebre Contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau). Nello Stato di natura tutti gli uomini sono uguali e godono di una libertà senza limiti. A differenza di Hobbes, Locke non riteneva che gli uomini cedano al corpo politico tutti i loro diritti, ma solo quello di farsi giustizia da soli. Lo Stato non può perciò ledere i diritti naturali, la famosa triade vita, libertà e proprietà, violando il contratto sociale.



Ebbe un atteggiamento tollerante rispetto alla schiavitù in America e trasse ingenti profitti dalle azioni della Africa Royal Company, impegnata nella tratta degli schiavi.





[modifica] Biografia ed altre informazioni - 2° Parte

L’analisi della ragione:



Lo studio dei limiti dell’intelletto umano Locke è l’esponente principale della filosofia inglese della seconda metà del '600 e padre dell’empirismo moderno.



L’empirismo è un indirizzo di pensiero moderno che si afferma soprattutto in Inghilterra sviluppandosi parallelamente al razionalismo. Esso considera come fonte di conoscenza l’esperienza sensibile e di conseguenza rifiuta l’innatismo.



Locke concentra riflessioni su tre tematiche: la teoria della conoscenza, la politica e la religione. Il suo principale scopo è quello di indagare i limiti e le possibilità dell’intelletto umano, così da operare una chiarificazione circa le sue capacità, i suoi reali poteri e i suoi campi di applicazione. Questa esigenza critica costituisce il tratto della sua filosofia. Egli vuole determinare concretamente il funzionamento dell’intelligenza umana.



La conoscenza deriva dai sensi. Prima di iniziare qualsiasi indagine filosofica è dunque indispensabile criticare l’intelletto umano per conoscerne le effettive capacità. Critica dunque non significa biasimo ma esame,ricerca. Tale orientamento maturò in lui, come racconta nella premessa del “Saggio sull’intelletto umano” in seguito alle difficoltà incontrate affrontando una discussione tra amici su problemi di morale e religione, una sera d’inverno nella residenza del conte di Shaftesbury di cui era medico personale. Capì che prima di impegnarsi in ricerche di ogni genere bisognava esaminare le proprie capacità e vedere quali oggetti siano alla portata della nostra intelligenza e quali siano superiori alla nostra comprensione. Affrontando il problema della conoscenza umana egli afferma che la conoscenza deriva dai sensi e che ciò che risulta al di fuori della nostra esperienza non è conoscibile. Locke si propone di spiegare il modo con cui il nostro intelletto acquisisce le nozioni che ha delle cose e di stabilire sia i gradi di certezza della nostra conoscenza (knowledge) sia i fondamenti di quelle credenze (beliefs) o opinioni (opinions) così varie e diverse fra gli uomini.



La critica del dogmatismo e dello scetticismo: Locke prende le distanze sia dal dogmatismo sia dallo scetticismo, il quale con il pretesto che vi sono cose che non possiamo comprendere mette tutto in dubbio e nega ogni credito alla conoscenza. Egli dice che ciò che conta non è conoscere ogni cosa ma solo quello che ci è utile per dirigere razionalmente la nostra vita pratica. Per questo non dobbiamo turbarci se non possibile conoscere tutto e accontentarci di una quieta ignoranza nei confronti di ciò che è impossibile alla nostra comprensione. Locke afferma così la natura pratica del conoscere. La sua ricerca è dunque uno studio analitico dei poteri della mente umana.





La classificazione delle idee La critica delle idee innate Locke per prima cosa rifiuta l’idea che nell’intelletto umana esistano principi e idee innate. Egli pensa che la mente umana all’inizio sia come una tabula rasa cioè priva di idee senza conoscenza. La mente non contiene nessun elemento a priori e la conoscenza deriva integralmente dall’esperienza. Egli dunque critica l’innatismo che afferma che l’esistenza di idee innate che l’animo umano riceve con l’esistenza stessa. Tale concetto per Locke è errato in quanto non esiste nessun consenso universale intorno a queste idee che si pretendono innate. Per il suo stesso impegno nel consiglio per il commercio nelle colonie fu attento lettore dei resoconti dei viaggi in oriente e nei nuovi continenti. Osservò così che i popoli primitivi hanno idee molto diverse dalle nostre e spesso strane. Altrettanto si può dire per i principi morali di tali popoli, inoltre le credenze che potremo essere indotti ritenere naturali sono in realtà frutto di educazione e tradizione. Intenderle come innate darebbe origine all’illusione dogmatica, origine di fanatismo e intolleranza. Per quanto riguarda i principi logici egli infine osserva che essi sono sconosciuti a fanciulli,idioti e ignoranti. La convinzione delle idee innate era nel '600 diffusa non solo nella cultura filosofica ma anche nell’insegnamento universitario, per evitare però contrasti con la chiesa. Locke si preoccupa di sottolineare che egli nega, per quanto riguarda Dio e la morale,solo il carattere innato di tali principi ma non la loro certezza. L’idea di Dio è certa, ma non innata.



La teoria delle idee: sensazione e riflessione Dunque la mente non ha nulla da pensare se prima l’esperienza non le ha fornito le idee su cui riflettere. Queste idee si ricevono con l’esperienza. L’esperienza è il fondamento di ogni conoscenza umana. Ciò che osserviamo, sia esternamente (oggetti esteriori e sensibili), sia internamente (operazioni interiori della nostra mente) rappresenta il materiale di cui l’intelligenza si serve per la conoscenza. Le idee sono “tutto ciò che è oggetto della nostra intelligenza quando pensiamo” Cioè ogni contenuto della mente sia le immagini sensibili sia i concetti astratti. La mente riceve le idee da due fonti:la sensazione e la riflessione. La sensazione offre all’intelletto le impressioni delle cose esterne procurando appunto idee di sensazione(colore,odore ecc);la riflessione fornisce all’intelletto la percezione degli stati interiori creando le idee di riflessione (desiderio,volontà,decisione ecc.). Tutta la conoscenza ha origine e fondamento da queste due fonti.



Qualità primarie e qualità secondarie Sensi e riflessione producono le idee semplici, l’alfabeto del pensiero, gli elementi primi e fondamentali della ulteriore conoscenza che la mente riceve passivamente. Alcune idee però rivelano qualità proprie dei corpi altre solo delle modificazioni dei nostri sensi in presenza di un dato oggetto. Perciò Locke distingue le qualità sensibili in primarie e secondarie. Chiama qualità primarie quelle che sono oggettive, inseparabili dagli oggetti come estensione solidità movimento ecc e qualità secondarie quelle soggettive che non appartengono agli oggetti ma che i sensi percepiscono perché prodotte dalle varie combinazioni delle qualità primarie come il colore il sapore il suono ecc.....



Idee semplici e idee complesse Le idee semplici costituiscono i materiali della conoscenza e sono anche il suo limite. L’intelletto non è però passivo, ha il potere di combinare e comparare le idee semplici creando una infinità di idee complesse. Tra le molteplici idee complesse particolarmente importanti sono le idee complesse di sostanza. Le idee complesse di sostanza sono quelle combinazioni di idee semplici che rappresentano cose particolari sussistenti per se stesse (ad es: l’uomo, l’albero, la sedia). Tali idee hanno origine dalla consuetudine che la mente ha di considerare un certo numero di idee semplici costantemente insieme.



La critica della idea della sostanza Noi dunque diamo ad un certo nome (ad es: albero) un insieme di qualità sensibili, ma in realtà noi conosciamo l’albero solo tramite le idee sensibili delle sue qualità, al di là di ciò non c’è nulla di conoscibile. Quindi la sostanza è qualcosa di oscuro e inconoscibile e ad essa corrisponde un idea complessa altrettanto oscura. Al contrario le idee semplici sono sempre chiare e distinte. Oscure sono le sostanze materiali e anche quelle spirituali. Dello spirito Locke non nega l’esistenza ma ne afferma la inconoscibilità. Il limite della conoscenza umana viene così fissato con chiarezza: l’uomo non ha alcuna conoscenza dell’essenza delle cose perché è privo delle facoltà di raggiungerla. L’intelletto umano per Locke non può andare oltre l’ambito dei fenomeni.



I limiti della critica lockiana alla metafisica La filosofia di Locke avvia una critica della metafisica che orienterà sia l’illuminismo che la filosofia di Kant. L’empirismo di Locke non è comunque esente da ambiguità: in primo luogo egli postula la inconoscibilità delle sostanze ma ne afferma l’esistenza. In secondo luogo accetta la distinzione tra sostanza materiale e spirituale. In terzo luogo la sua nozione di idea rimane generica e troppo comprensiva.



L’analisi del linguaggio Il linguaggio è un complesso di nomi creati artificialmente dall’uomo con lo scopo di semplificare l’attività della mente che altrimenti sarebbe sommersa dall’infinito numero di idee, ciascuna delle quali corrisponde ad un oggetto particolare. Inoltre il linguaggio permette all’uomo di comunicare Le parole sono segni delle idee,poiché ogni idea è segno di una cosa,le parole sono segni dei segni delle cose. Il linguaggio è dunque il segno convenzionale delle idee;mero strumento attraverso il quale l’uomo indica le proprie idee e contrassegna le cose.





[modifica] Opere

Epistola sulla tolleranza, 1689

Due trattati sul governo, 1690

Saggio sull'intelletto umano, 1690

Condotta sull'intelletto

Esame di Malebranche

Pensieri sull'educazione, 1693

Saggi sulla ragionevolezza del cristianesimo, 1695-1697







Charles-Louis de Secondat barone de La Brède e de Montesquieu (Parigi, 18 gennaio 1689 - 10 febbraio 1755) è stato un filosofo e pensatore politico francese.



È considerato il fondatore della teoria politica della separazione dei poteri.



[modifica] Le “lettere persiane”

Romanzo epistolare scritto nel 1721, presenta i caratteri consueti a molte opere appartenenti al primo illuminismo. E’ una satira violenta dei costumi francesi, analizzati dal punto di vista di due viaggiatori persiani. I sarcasmi delle lettere non risparmiano né le istituzioni, né gli uomini del tempo. I personaggi, essendo stranieri, vedono la Francia in modo distaccato, criticando vita e costumi di una società cattolica e assolutistica. Con la figura di Luigi XIV Montesquieu vuole colpire il regime monarchico, delineando la sua concezione politica in netto contrasto con l’assolutismo di Thomas Hobbes (1588 - 1679). Per ciò che trattano, le lettere preannunciano lo spirito critico proprio dello "Spirito delle leggi", volto ad analizzare le caratteristiche, appunto, dello "spirito" che accomuna tutte le leggi umane. Lo stile di quest’opera è contraddistinto da due mode letterarie allora in voga: la descrizione di tipo documentaristico dei paesi stranieri e le impressioni di stranieri ignoranti sugli usi e costumi della società occidentale.





[modifica] Lo “spirito delle leggi”

Montesquieu pubblica la sua opera più importante e monumentale, Lo spirito delle leggi (De l'esprit de lois), frutto di quattordici anni di lavoro, anonimamente nella Ginevra di Jean-Jacques Rousseau, nel 1748. Due volumi, trentuno libri, un lavoro tra i maggiori della storia del pensiero politico. Una vera e propria enciclopedia del sapere politico e giuridico del Settecento.



L'opera venne attaccata da gesuiti e giansenisti e messa all'indice (Index Librorum Prohibitorum) nel 1751, dopo il giudizio negativo della Sorbona. (Si ricorda che al suo contemporaneo Voltaire era toccata una sorte peggiore, finendo alla Bastiglia una prima volta e fuggendo in seconda istanza, iniziando così il suo "vagabondaggio illuminista" nelle varie corti europee).



Nel libro XI de Lo spirito delle leggi, Montesquieu traccia la teoria della separazione dei poteri. Partendo dalla considerazione che il "potere assoluto corrompe assolutamente", l'autore analizza i tre generi di poteri che vi sono in ogni stato: il potere legislativo (fare le leggi; parlamento), il potere esecutivo (indicare le linee politiche e operare le scelte conseguenti; governo, amministrazione pubblica) e il potere giudiziario (attuare concretamente le norme giuridiche; magistratura).



Montesquieu cercò di dimostrare come, sotto la diversità degli eventi, la storia abbia un ordine e manifesti l'azione di leggi costanti. Ogni ente ha le sue leggi. Le istituzioni e le leggi dei vari popoli non costituiscono qualcosa di casuale e arbitrario, ma sono strettamente condizionate dalla natura dei popoli stessi, dai loro costumi, dalla loro religione e sicuramente anche dal clima. Al pari di ogni essere vivente anche gli uomini, e quindi le società, sono sottoposte a regole fondamentali che scaturiscono dall'intreccio stesso delle cose.



Queste regole non debbono considerarsi assolute, cioè indipendenti dallo spazio e dal tempo; esse al contrario, variano col mutare delle situazioni; come i vari tipi di governo e delle diverse specie di società. Ma, posta una società di un determinato tipo, sono dati i principi ai quali essa non può derogare pena la sua rovina. Ma quali sono i tipi fondamentali in cui si può organizzare il governo degli uomini?



Montesquieu nell'esporla rende accessibili i temi fondamentali della libertà politica, e quindi i tipi di governo degli uomini; che sono tre: la repubblica, la monarchia e il dispotismo. Ciascuno di questi tre tipi ha propri princìpi e proprie regole da non confondersi tra loro.



Il principio che è alla base della repubblica è, secondo Montesquieu, la virtù, cioè l'amor di patria e dell'uguaglianza; il principio della monarchia è l'onore; il principio del dispotismo, il terrore.



«Tali sono i principi dei tre governi; ciò non significa che in una certa repubblica si sia virtuosi, ma che si deve esserlo. Ciò non prova neppure che in una certa monarchia si tenga in conto l’onore e che in uno stato dispotico particolare domini il timore; ma solo che bisognerebbe che così fosse, senza di che il governo sarà imperfetto.»





La repubblica è la forma di governo in cui il popolo è al tempo stesso monarca e suddito; il popolo fa le leggi e elegge i magistrati, detenendo sia la sovranità legislativa sia quella esecutiva.



Al polo opposto della repubblica vi è il dispotismo, nel quale una singola persona accentra in sé tutti i poteri e di conseguenza lede la libertà dei cittadini. Montesquieu fa trasparire profonda avversione per ogni forma di dispotismo, poiché sono le leggi a doversi conformare alla vita dei popoli e non viceversa.



La forma che sta in mezzo è la monarchia regolata, la monarchia costituzionale, in cui Montesquieu vede contemperate le caratteristiche positive sia del regime monarchico assoluto che di quello repubblicano. L'esempio di questa forma di governo a "costituzione mista" è rappresentato dall'Inghilterra, il cui ordinamento Montesquieu considera come la più alta espressione di libertà.



La tesi fondamentale -secondo Montesquieu- è che può dirsi libera solo quella costituzione in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato. Per contrastare tale abuso bisogna far sì che "il potere arresti il potere", cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a mani diverse, in modo che ciascuno di essi possa impedire all'altro di esorbitare dai suoi limiti e degenerare in tirannia. La riunione di questi poteri nelle stesse mani, siano esse quelle del popolo o del despota, annullerebbe la libertà perché annullerebbe quella "bilancia dei poteri" che costituisce l'unica salvaguardia o "garanzia" costituzionale in cui risiede la libertà effettiva. “Una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”.



L’argomento della libertà è sicuramente molto importante, però questa parola, secondo il filosofo, è spesso confusa con altri concetti, come, ad esempio, quello dell’indipendenza. Nella democrazia sembra che il popolo possa fare quello che vuole, il potere del popolo è confuso così con la libertà del popolo; la libertà è infatti il diritto di fare ciò che le leggi permettono. Se un cittadino potesse fare ciò che le leggi proibiscono non ci sarebbe più libertà.



La libertà politica è quella tranquillità di spirito che la coscienza della propria sicurezza dà a ciascun cittadino; e condizione di tale libertà è un governo organizzato in modo che nessun cittadino possa temere un altro.



«Una costituzione può esser tale che nessuno sia costretto a fare le cose alle quali la legge non lo obbliga, e a non fare quello che la legge permette [...].»





In ogni Stato vi sono tre generi di poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo delle cose che dipendono dal diritto delle genti, e il potere giudiziario di quelle che dipendono dal diritto civile.



In forza del primo, il principe, o il magistrato, fa le leggi per un certo tempo o per sempre, e corregge o abroga quelle che sono già state fatte.

In forza del secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve ambasciate, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni.

In forza del terzo, punisce i delitti o giudica le controversie dei privati.

"Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente": partendo da questa considerazione Montesquieu traccia la teoria della separazione dei poteri, analizzando in particolare il modello costituzionale inglese. Tale teoria, divenne, grazie all'opera di Montesquieu, una delle pietre miliari di tutte le costituzioni degli stati sorti dopo il 1789.



Montesquieu nei suoi scritti fa notare ai lettori i casi in cui si calpesta la libertà dei cittadini; il potere legislativo e quello esecutivo non possono mai essere accomunati sotto un’unica persona o corpo di magistratura, perché in tale caso potrebbe succedere che il monarca oppure il senato facciano leggi tiranniche e le eseguano di conseguenza tirannicamente. Neanche il potere giudiziario può essere unito agli altri due poteri: i magistrati non possono essere contemporaneamente legislatori e coloro che applicano – in qualità di magistrati – le leggi. Così, ovviamente i legislatori non possono essere contemporaneamente giudici: avrebbero un immenso potere che minaccerebbe la libertà dei cittadini.



«Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati.»





Il concetto importante espresso da Montesquieu è che il potere giudiziario deve essere esercitato da persone prese dal popolo, in tempi stabiliti e nella maniera prescritta dalla legge; queste persone devono formare un tribunale che lavori soltanto quando è necessario, in questo modo, avendo eliminato il senato permanente, il potere giudiziario può considerarsi nullo. Gli altri due poteri, invece, potrebbero essere conferiti a magistrati o ad organismi permanenti, essendo uno la volontà dello stato e l’altro l’esecuzione di tale volontà.



Montesquieu fa poi un discorso sui rappresentanti del popolo. “Poiché, in uno Stato libero, qualunque individuo che si presume abbia lo spirito libero deve governarsi da sé medesimo, bisognerebbe che il corpo del popolo avesse il potere legislativo. Ma siccome ciò è impossibile nei grandi Stati, e soggetto a molti inconvenienti nei piccoli, bisogna che il popolo faccia per mezzo dei suoi rappresentanti tutto quello che non può fare da sé”. Conviene quindi che gli abitanti si scelgano un rappresentante, capace di discutere gli affari, che possa dare voce al popolo nell’ambito del potere legislativo. La nazione è quindi espressa dai suoi rappresentanti, cittadini più interessati alla cosa pubblica, che devono informare sui bisogni dello stato, sugli abusi che si riscontrano e sui possibili rimedi. Sicuramente sarebbe molto più democratico dare la parola ad ogni cittadino, ma si incapperebbe in lungaggini e tutta la forza della nazione rischierebbe di essere arrestata per il capriccio di un singolo.



Inoltre è necessario che i rappresentanti siano eletti periodicamente e che ogni cittadino nei vari distretti abbia il diritto di esprimere il suo voto per eleggere il deputato. Montesquieu però prefigura una limitazione del diritto di voto, nega tale diritto a chi non è proprietario o in una situazione assimilabile a quella di proprietario, dotato di averi, quindi si basa sua una marcata differenziazione di stratificazione sociale.



Tutto questo sembra limitativo, ma in seguito lo sviluppo del reddito reso possibile dalla società industriale, dai commerci, dall'artigianato imprenditoriale, farà aumentare il numero di cittadini rappresentanti interessati alla stabilità dello stato, permettendo gradualmente l’estensione del voto sino al suffragio universale.



Così Montesquieu spiega la divisione dei poteri e definisce le rispettive sfere di attribuzioni:



«Il potere legislativo verrà affidato e al corpo dei nobili e al corpo che sarà scelto per rappresentare il popolo, ciascuno dei quali avrà le proprie assemblee e le proprie deliberazioni a parte, e vedute e interessi distinti. Dei tre poteri di cui abbiamo parlato, quello giudiziario è in qualche senso nullo. Non ne restano che due; e siccome hanno bisogno di un potere regolatore per temperarli, la parte del corpo legislativo composta di nobili è adattissima a produrre questo effetto.»



«Il potere esecutivo deve essere nelle mani d'un monarca perché questa parte del governo, che ha bisogno quasi sempre d'una azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi; mentre ciò che dipende dal potere legislativo è spesso ordinato meglio da parecchi anziché da uno solo. Infatti, se non vi fosse monarca, e il potere esecutivo fosse affidato a un certo numero di persone tratte dal corpo legislativo, non vi sarebbe piú libertà, perché i due poteri sarebbero uniti, le stesse persone avendo talvolta parte, e sempre potendola avere, nell'uno e nell'altro. Se il corpo legislativo rimanesse per un tempo considerevole senza riunirsi, non vi sarebbe più libertà. Infatti vi si verificherebbe l'una cosa o l'altra: o non vi sarebbero più risoluzioni legislative, e lo Stato cadrebbe nell'anarchia; o queste risoluzioni verrebbero prese dal potere esecutivo, il quale diventerebbe assoluto.»



«Se il corpo legislativo fosse riunito in permanenza, potrebbe capitare che non si facesse che sostituire nuovi deputati a quelli che muoiono; e in questo caso, una volta che il corpo legislativo fosse corrotto, il male sarebbe senza rimedio. Quando diversi corpi legislativi si susseguono gli uni agli altri, il popolo, che ha cattiva opinione del corpo legislativo attuale, trasferisce, con ragione, le proprie speranze su quello che succederà. Ma se si trattasse sempre dello stesso corpo, il popolo, una volta vistolo corrotto, non spererebbe più niente dalle sue leggi, s'infurierebbe o cadrebbe nell'apatia.»



«Il potere esecutivo, come dicemmo, deve prender parte alla legislazione con la sua facoltà d'impedire di spogliarsi delle sue prerogative. Ma se il potere legislativo prende parte all'esecuzione, il potere esecutivo sarà ugualmente perduto. Se il monarca prendesse parte alla legislazione con la facoltà di statuire, non vi sarebbe più libertà. Ma siccome è necessario che abbia parte nella legislazione per difendersi, bisogna che vi partecipi con la sua facoltà d'impedire. La causa del cambiamento del governo a Roma fu che il senato, il quale aveva una parte del potere esecutivo, e i magistrati, i quali avevano l'altra, non avevano, come il popolo, la facoltà d'impedire. Ecco dunque la costituzione fondamentale del governo di cui stiamo parlando. Il corpo legislativo essendo composto di due parti, l'una terrà legata l'altra con la mutua facoltà d'impedire. Tutte e due saranno vincolate dal potere esecutivo, che lo sarà a sua volta da quello legislativo. Questi tre poteri dovrebbero rimanere in stato di riposo, o di inazione. Ma siccome, per il necessario movimento delle cose, sono costretti ad andare avanti, saranno costretti ad andare avanti di concerto.»





In questo modo Montesquieu conclude il suo libro:



«Siccome tutte le cose umane hanno una fine, lo Stato di cui parliamo perderà la sua libertà, perirà. Roma, Sparta e Cartagine sono pur perite. Perirà quando il potere legislativo sarà più corrotto di quello esecutivo. Non sta a me esaminare se gli Inglesi godano attualmente di questa libertà o no. Mi basta dire che essa è stabilita dalle loro leggi, e non chiedo di più. Non pretendo con ciò di avvilire gli altri governi, né dichiarare che questa libertà politica estrema debba mortificare quelli che ne hanno soltanto una moderata. Come potrei dirlo io, che credo che non sia sempre desiderabile nemmeno l'eccesso della ragione; e che gli uomini si adattino quasi sempre meglio alle istituzioni di mezzo che a quelle estreme?»

(libro XI de Lo spirito delle leggi, Montesquieu)



Possiamo dire che lo studio che il giurista lascia delle istituzioni di popoli diversi e lontani nel tempo e nello spazio ha come intento fondamentale quello di identificare i fini in base ai quali gli uomini si organizzano in forme politiche e sociali originali. Esiste per l’autore un senso per ogni istituzione. Montesquieu vede lo stato come un organismo che tende alla propria autoconservazione, nel quale le leggi riescono a mediare tra le diverse tendenze individuali in vista del perseguimento di un obiettivo comune.



L’arte di creare una società e di organizzarla compiutamente è per Montesquieu l’arte più alta e necessaria, in quanto da essa dipende il benessere necessario allo sviluppo di tutte le altre arti.





[modifica] Opere

De l'esprit des lois (1748)

Lettres persanes (1721)

Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence. Lausanne, (1749)





Sir Isaac Newton, (25 dicembre 1642 - 20 marzo 1727 del calendario giuliano; 4 gennaio 1643 – 31 marzo 1727 del calendario gregoriano), citato anche come Isacco Newton, fu un alchimista, matematico, fisico, scienziato e filosofo inglese. Fu Presidente della Royal Society.



Universalmente noto soprattutto per il suo contributo alla meccanica classica, — è nota agli scolari di tutto il mondo la "storiella" di Newton e la mela, — Isaac Newton contribuì in maniera fondamentale a più di una branca del sapere.







Il principale contributo di Newton ai posteri

Pubblicò la Philosophiae Naturalis Principia Mathematica nel 1687, nella quale descrisse la legge di gravitazione universale e, attraverso le sue leggi del moto, creò i fondamenti per la meccanica classica. Newton inoltre condivise con Gottfried Wilhelm Leibniz la paternità dello sviluppo del calcolo differenziale.



Newton fu il primo a dimostrare che le leggi della natura governano il movimento della Terra e degli altri corpi celesti. Egli contribuì alla Rivoluzione scientifica e al progresso della teoria eliocentrica. A Newton si deve anche la sistematizzazione matematica delle leggi di Keplero del movimento dei pianeti. Egli generalizzò queste leggi intuendo che le orbite (come quelle delle comete) potevano essere non solo ellittiche ma anche iperboliche e paraboliche.



Newton fu il primo a dimostrare che la luce bianca è composta da tutti gli altri colori. Egli, infine, avanzò l'ipotesi che la luce fosse composta da particelle (vedi: dualismo onda-corpuscolo).





[modifica] Biografia



Statua di Isaac Newton, Cappella del Trinity College, CambridgeNewton nacque a Woolsthorpe-by-Colsterworth, un paese nella contea del Lincolnshire. Suo padre morì tre mesi prima della sua nascita e, due anni dopo, sua madre andò a vivere col suo nuovo marito, lasciando suo figlio alle cure della nonna.



Newton fu educato alla Grantham Grammar School. Nel 1661 si iscrisse al Trinity College di Cambridge dove aveva già studiato suo zio William Ayscough. All'epoca gli insegnamenti del college erano basati su quelli di Aristotele, ma Newton preferiva leggere le idee più avanzate di filosofi moderni come Cartesio, Galileo, Copernico e Keplero. Nel 1665 scoprì il teorema binomiale e cominciò a sviluppare una teoria matematica che sarebbe diventata il calcolo infinitesimale. Poco dopo che Newton ebbe conseguito la sua laurea nel 1665, l'università venne chiusa precauzionalmente contro la grande epidemia. Durante i due anni successivi Newton lavorò a casa sul calcolo infinitesimale, ottica e forza gravitazionale.



La tradizione vuole che Newton fosse seduto sotto un albero di mele quando una mela cadde sulla sua testa e questo gli facesse capire che la forza gravitazionale terrestre e celeste fossero la stessa cosa. Questa in realtà è un'esagerazione di un episodio narrato da Newton stesso secondo il quale egli sedeva ad una finestra della sua casa (Woolsthorpe Manor) e vide una mela cadere dall'albero. In ogni modo si ritiene che anche questa storia è stata inventata dallo stesso Newton più avanti negli anni, per dimostrare quanto fosse abile a trarre ispirazione dagli eventi di tutti i giorni. Uno scrittore suo contemporaneo, William Stukeley, registrò nelle sue Memoirs of Sir Isaac Newton's Life una conversazione con Newton a Kensington il 5 aprile 1726, nella quale Newton ricordava "quando per la prima volta, la nozione di forza di gravità si formò nella sua mente. Fu causato dalla caduta di una mela, mentre sedeva in contemplazione. Perché la mela cade sempre perpendicolarmente al terreno, pensò tra se e se. Perché non potrebbe cadere a lato o verso l'alto ma sempre verso il centro della terra."



Newton divenne un membro del Trinity College nel 1667. Nello stesso anno diffuse le sue scoperte nel De Analysi per Aequationes Numeri Terminorum Infinitas (Sull'Analisi delle Serie Infinite), ed in seguito in De methodis serierum et fluxionum (Sui Metodi di Serie e Flussioni), il cui titolo diede il nome al suo "metodo delle flussioni".



Newton e Leibniz svilupparono la teoria del calcolo infinitesimale indipendentemente ed usando notazioni differenti. Anche se Newton lavorò al suo metodo precedentemente a Leibniz, la notazione e il "Metodo Differenziale" erano migliori e vennero generalmente adottati. Nonostante il fatto che Newton appartenesse al gruppo dei più brillanti scienziati della sua epoca, gli ultimi venticinque anni della sua vita furono amareggiati da una disputa con Leibniz, che lo accusava di plagio.



Fu eletto professore lucasiano di matematica nel 1669. Questa carica lo esentò dal diventare un ecclesiastico per rimanere membro del college e prevenì il conflitto che ci sarebbe stato tra le sue idee anti-Trinitarie e l'ortodossia della chiesa.





[modifica] I suoi lavori sull'ottica



Frontespizio della quarta edizione di OpticksDal 1670 al 1672 egli si occupò ottica. Durante questo periodo egli studiò la rifrazione della luce, dimostrando che un prisma può scomporre la luce bianca in uno spettro di colori, e quindi una lente ed un secondo prisma possono ricomporre uno spettro di molti colori in luce bianca. Da questo lavoro concluse che ogni telescopio rifrattore avrebbe sofferto della dispersione della luce in colori, ed inventò il telescopio riflettore per aggirare il problema (più avanti, quando divennero disponibili vetri con diverse proprietà rifrattive, divenne possibile costruire lenti acromatiche).



Nel 1671 la Royal Society lo chiamò per una dimostrazione del suo telescopio riflettore. Il loro interesse lo incoraggiò a pubblicare le note On Colour (Sui colori), che più tardi arricchì nel suo lavoro Opticks (Ottica). Quando Robert Hooke criticò alcune delle idee di Newton, egli ne fu così offeso che si ritirò dal dibattito pubblico. A causa della paranoia di Newton, i due uomini rimasero nemici fino alla morte di Hooke.



L'impegno di Newton per la scienza (o qualcosa di simile) è chiaramente dimostrato in un particolare esperimento sull'ottica. Avendo l'idea che il colore è provocato dalla pressione sull'occhio, egli premette un ago da cucito intorno al suo occhio fino a quando egli poté dare dei colpetti al retro dello stesso, notando spassionatamente "cerchi bianchi, scuri e colorati" fintanto che continuava ad agitarlo" Christianson non ha chiaro cosa Newton concluse da questo esperimento.



Una volta disse, in una lettera a Hooke datata 5 febbraio 1676, "Se ho visto oltre, è stato levandomi sulle spalle dei Giganti" benché questa frase, coniata nel Medioevo dalla Scuola di Chartres, appaia come segno di modestia, in realtà fu pungente: Hooke era un uomo di bassa statura.



Newton provò che la luce è composta di particelle. Fisici successivi preferirono una spiegazione basata sulle onde in base ai risultati di alcuni esperimenti. Oggi la meccanica quantistica parla di "dualismo onda-corpuscolo" anche se i fotoni hanno poche somiglianze con i corpuscoli di Newton (per esempio corpuscoli rifratti accelerando attraverso un mezzo più denso).



Nel suo Hypothesis of Light (Ipotesi sulla Luce) del 1675, Newton contò sull'esistenza dell'etere per trasmettere le forze tra le particelle. Newton era in contatto con Henry More, il seguace di Platone a Cambridge nato a Grantham, sull'alchimia, ed ora il suo interesse su questa materia rinacque. Rimpiazzò l'etere con forze occulte basate sulle idee Ermetiche sull'attrazione e repulsione tra particelle. Il poco ortodosso metodo delle flussioni esercitò un ruolo determinante nella scopert della legge di gravità della quale non esiste una dimostrazione scientifica, ma un'evidenza empirica, per cui essa non deriva da un principio. Viceversa a partire dalla legge di gravità si dimostrano parecchie proposizioni conseguenti.





[modifica] Altri interessi

John Maynard Keynes, che acquisì molti degli scritti di Newton sull'alchimia, disse che "Newton non fu il primo dell'età della ragione: fu l'ultimo dei maghi." L'interesse di Newton nell'alchimia non può essere isolato dai suoi contributi alla scienza. Se non avesse creduto nell'idea occulta dell'azione a distanza, attraverso il vuoto, probabilmente non avrebbe sviluppato la sua teoria sulla gravità. Lo scienziato trascorreva il settembre di ogni anno immerso nelle pratiche alchemiche, il cui metallo prediletto era il mercurio.



Nel 1679, Newton ritornò al suo lavoro sulla gravitazione ed i suoi effetti sulle orbite dei pianeti, in riferimento alle leggi del movimento di Keplero, consultandosi con Hooke e Flamsteed sull'argomento. Pubblicò i suoi risultati in De Motu Corporum (1684) che avrebbe formato in seguito i Principia.





PrincipiaPhilosophiae Naturalis Principia Mathematica (ora conosciuto come Principia) fu pubblicato nel 1687 con l'incoraggiamento e l'aiuto finanziario di Edmond Halley. In questo lavoro Newton stabilì le tre leggi universali del movimento che non sono state migliorate per trecento anni. Egli usò la parola latina gravitas (peso) per la determinazione analitica della forza che sarebbe diventata conosciuta come gravità, e definì la legge della gravitazione universale. Nello stesso lavoro presentò la prima determinazione analitica, basata sulla legge di Boyle, sulla velocità del suono nell'aria.



Con i Principia, Newton venne riconosciuto internazionalmente. Conquistò un circolo di ammiratori, incluso il matematico di origini svizzere Nicolas Fatio de Duillier, con il quale stabilì un'intensa relazione che durò fino al 1693. La fine di quest'amicizia portò Newton ad un esaurimento nervoso.



Si racconta della sua decisione di restare casto per il resto della vita per sfruttare la nevrosi creativa a sostegno della scienza. Alcuni forti esaurimenti nervosi coincidevano con le più importanti scoperte di Newton: la gravità e il principio di azione-reazione. Prima delle scoperte della psicoanalisi, Newton intuì su di sé il legame fra fattori sessuali ed esaurimento nervoso e tra questi e facoltà creative.



Negli anni 1690 Newton scrisse numerosi opuscoli religiosi sulla interpretazione letterale della Bibbia. La fede di Henry More nell'infinitezza dell'universo ed il rifiuto del dualismo Cartesiano potrebbero aver influenzato le idee religiose di Newton. Un manoscritto che egli inviò a John Locke nel quale metteva in discussione l'esistenza della Trinità non fu mai pubblicato.



I suoi lavori più tardi - The Chronology of Ancient Kingdoms Amended (1728) e Observations Upon the Prophecies of Daniel and the Apocalypse of St. John (1733) - furono pubblicati dopo la sua morte. Egli riteneva che le sue ricerche più impegnative le aveva dedicate agli studi delle cronologia antica. Egli dedicò molto tempo anche all'alchimia: in un'epoca in cui i principi della chimica non erano chiari egli cercava di indagare sulla natura delle sostanze rifacendosi a tradizioni ermetiche ed effettuando esperimenti successivamente relegati nella pseudoscienza dell'alchimia.



Fu considerato un precursore del deismo settecentesco per la sua fede in un Dio creatore immobile e trascendente dell'universo. Tale idea informò il metodo newtoniano, in particolare per il postulato di semplicità e uniformità dell'universo.



Newton fu anche un membro del Parlamento dal 1689 al 1690 e nel 1701, ma il suo solo intervento registrato fu per lamentarsi di una corrente d'aria fredda e la richiesta che venisse chiusa la finestra.



Newton si trasferì a Londra per prendere il posto di guardiano della Zecca Reale nel 1696, una posizione che ottenne con il patrocinio di Charles Montagu, primo conte di Halifax, poi fu Cancelliere dello Scacchiere. Si fece carico del grande programma di nuova coniazione delle monete inglesi, seguendo il cammino di Master Lucas (e favorendo la nomina di Edmond Halley a sovraintendente della zecca di Chester). Newton divenne direttore della Zecca alla morte di Lucas nel 1699. Questi incarichi erano intesi come sinecure, ma Newton li prese seriamente, esercitando il suo potere per riformare la moneta e punire i falsari. Egli si ritirò dai suoi incarichi a Cambridge nel 1701.



La riforma monetaria di Newton anticipò il gold standard che l'Inghilterra adotterà per prima nel 1717, seguita da altre nazioni nei secoli successivi, fino all'adozione statunitense ai primi del '900. Newton stabilì un cambio fisso fra la sterlina e l'oncia d'oro; inoltre, elaborò dei metodi per aumentare la produttività della zecca, con misure per un maggior controllo della quantità d'oro e argento nelle monete coniate. Riuscì in questo modo a chiudere le filiali provincilai della Banca d'Inghileterra e a tornare a una produzione centralizzata della moneta.





[modifica] Gli ultimi anni

Nel 1701 Newton pubblicò anonimamente una legge della termodinamica ora conosciuta come "legge di Newton del raffreddamento" nel Philosophical Transactions of the Royal Society.



Nel 1703 Newton divenne presidente della Royal Society ed un associato della Académie des Sciences. Nella sua posizione alla Royal Society, Newton si fece nemico di John Flamsteed, l'Astronomo Reale, tentando di rubare il suo catalogo di osservazioni.



Fu investito cavaliere dalla regina Anna nel 1705. Newton non si sposò mai, né ebbe figli riconosciuti. Morì a Londra e fu sepolto nella cattedrale di Westminster.



Alexander Pope scrisse in un famoso poema su Isaac Newton: "La natura e le leggi della natura stanno nascoste nella notte; Dio disse Newton sia! e fu la luce."





[modifica] Opere

Method of Fluxions (1671)

De Motu Corporum (1684)

Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (1687)

Opticks (1704)

Arithmetica Universalis (1707)

An Historical Account of Two Notable Corruptions of Scripture (1754, postumo)

Short Chronicle, The System of the World, Optical Lectures, Universal Arithmetic, The Chronology of Ancient Kingdoms, Amended e De mundi systemate sono stati pubblicati postumi nel 1728.





[modifica] Altre letture

James Gleick, Isaac Newton, Knopf, 2003, hardcover, 288 pagine, ISBN 0375422331

John Maynard Keynes, Essays in Biography, W W Norton & Co , 1963, paperback, ASIN 039300189X. Keynes si interessò molto a Newton e possedette diversi dei suoi scritti privati.

Isaac Newton (1642-1727), The Principia: a new Translation, Guide by I. Bernard Cohen ISBN 0-520-08817-4 University of California 1999 Attenzione: svelati errori comuni di traduzione!

Isaac Newton, Papers and Letters in Natural Philosophy, edito da I. Bernard Cohen ISBN 0-674-46853-8 Harvard 1958,1978

Richard S. Westfall, Never at Rest, ISBN 0-521-27435-4 (paperback) Cambridge 1980..1998. Attenzione: dopo una vita di studi, Westfall scopre che è ancora più imperscrutabile.

Stephen Hawking, ed. On the Shoulders of Giants, ISBN 0-7624-1348-5 Brani tratti dai Principia di Newton nel contesto di altri scritti selezionati di Copernico, Keplero, Galileo ed Einstein.

Gale Christianson In the Presence of the Creator: Isaac Newton & his times (1984) ISBN 0-02-905190-8

Francesco Algarotti - Il newtonianesimo per le dame





Jean-Jacques Rousseau (Ginevra, 28 giugno 1712 - Ermenonville, Dipartimento dell'Oise, 2 luglio 1778) fu un filosofo franco-svizzero; solitamente viene definito un illuminista, ma parte delle sue teorie prefigurano già il successivo Romanticismo; le idee politiche di Rousseau influenzarono la Rivoluzione Francese, lo sviluppo delle teorie socialiste, e la crescita del nazionalismo. La sua eredità di pensatore radicale e rivoluzionario è probabilmente espressa al meglio nella sua più celebre frase, contenuta nel Contratto sociale: "L'uomo è nato libero, ma ovunque è in catene".







Vita

Rousseau nacque a Ginevra, in Svizzera, e nel corso di tutta la sua vita si definì come cittadino della propria città natale. Sua madre, Suzanne Bernard Rousseau, morì una settimana dopo la nascita del figlio, per complicazioni post-parto; suo padre Isaac, un orologiaio fallito, lo abbandonò nel 1722, per evitare di essere imprigionato in seguito a un duello. Nella sua infanzia, Rousseau fu educato tramite la lettura delle Vite parallele di Plutarco e dei sermoni calvinisti.



Rousseau lasciò Ginevra il 14 marzo 1728, dopo diversi anni di apprendistato presso prima un notaio e poi un incisore. Incontrò dunque Françoise-Louise de Warens, una baronessa francese cattolica, che in seguito divenne la sua amante, nonostante lei fosse di dodici anni più anziana. Sotto la sua protezione, Rousseau si convertì, anche se malvolentieri, al cattolicesimo.



Trascorse quindi alcune settimane in un seminario, e, agli inizî del 1729, sei mesi presso la scuola del coro della cattedrale di Annecy. Dedicò inoltre diverso tempo al viaggio e a diverse professioni; ad esempio, all'inizio del decennio 1730, lavorò come insegnante di musica a Chambéry. Nel 1736 fu di nuovo presso i de Warens, vicino a Chambéry, un soggiorno che trovò estremamente piacevole, ma nel 1740 partì nuovamente, per Lione, dove fece da tutore del giovane figlio di Gabriel Bonnet de Mably.



Nel 1742 Rousseau si spostò a Parigi, per presentare all'Accademia delle Scienze un nuovo sistema di notazione musicale, che aveva inventato, basato su una singola linea dove i numeri rappresentavano gli intervalli tra le note, mentre punti e virgole indicavano i valori ritmici. L'idea era quella di avere un sistema compatibile con la tipografia, ma l'Accademia lo respinse come inutile e privo di originalità.



Dal 1743 al 1744 fu segretario dell'ambasciatore di Francia a Venezia, il cui governo repubblicano Rousseau citò spesso nelle suoi scritti politici posteriori. Torno quindi a Parigi, dove strinse un rapporto e visse con Thérèse Lavasseur, una sartina analfabeta da cui ebbe cinque figli. Considerando le sue teorie sull'educazione, Rousseau fu spesso criticato da Voltaire e dai commentatori successivi, in quanto lasciò i suoi figli in un orfanotrofrio non appena questi furono svezzati. Rousseau si difese spiegando che sarebbe stato un pessimo padre, e che i figli avrebbero avuto quindi una vita migliore proprio in orfanotrofrio. Eccentricità di questo tipo furono in seguito adoperate dai critici per svilire Rousseau, definendolo incapace di vivere in società, nel tentativo di screditare i suoi lavori teorici.



Durante il soggiorno parigino, fece amicizia con Diderot, e dal 1749 collaborò con diversi articoli, inizialmente sulla musica, all'Enciclopedia. Il suo maggior contributo fu la voce "Economia politica", scritta nel 1755. Poco dopo i rapporti di Rousseau con Diderot e gli altri enciclopedisti si fecero tesi e difficili.



Nel 1749, sulla via verso Vincennes, per visitare Diderot, al tempo in prigione, Rousseau venne a sapere di un concorso sponsorizzato dall'Accademia di Digione, per un saggio che doveva discutere se lo sviluppo delle arti e delle scienze fosse benefico dal punto di vista morale. La risposta di Rousseau, negativa, fu il Discorso sulle scienze e le arti, del 1750, che gli valse il primo premio, e gli guadagnò grande notorietà.



Rousseau affermò che, durante il viaggio in carrozza per visitare Diderot, visse un'ispirazione improvvisa su cui si basarono tutti i suoi successivi lavori filosofici. Un'ispirazione che, tuttavia, non frenò il suo interesse per la musica, tanto che nel 1752, la sua opera L'indovino del villaggio, fu messa in scena per Luigi XV.



Nel 1754, Rousseau tornò a Ginevra, dove si convertì nuovamente al Calvinismo, e riottenne ufficialmente la cittadinanza ginevrina. Nel 1755 completò la sua seconda opera maggiore, il Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini. Fu a partire da questo che le sue opere cominciarono a incontrare uno sfavore sempre crescente presso il governo francese.



Nel 1761 Rousseau pubblicò il fortunato romanzo Giulia o la nuova Eloisa e, l'anno successivo, il Contratto sociale e Emilio o dell'educazione. Entrambi i libri criticavano la religione e furono per questo banditi sia in Francia che a Ginevra. Rousseau fu costretto a fuggire per evitare l'arresto, fermandosi sia a Berna che a Motiers, in Svizzera. A Motiers scrisse il Progetto costituzionale per la Corsica.



A causa delle critiche che lo seguirono anche in Svizzera (la sua casa a Moitiers fu murata nel 1765), Rousseau, nel gennaio del 1766, si rifugiò in Gran Bretagna, presso il filosofo David Hume. Ma dopo diciotto mesi, credendo che Hume stesse complottando contro di lui, fuggì anche da qui.



Rousseau tornò in Francia sotto il nome di "Renou", nonostante ufficialmente non potesse tornare sino al 1770. Nel 1768 sposò Thérèse, e nel 1770 tornò a Parigi. Gli fu consentito di tornarvi a condizione che non pubblicasse alcun libro, ma dopo aver completato le sue Confessioni, cominciò a darne letture private, che gli vennero impedite nel 1771. Di conseguenza, questo libro e tutti i successivi vennero pubblicati soltanto dopo il 1782, quattro anni successivamente alla sua morte.



Rousseau continuò a scrivere sino alla morte. Nel 1772 fu invitato a presentare delle raccomandazioni per la nuova costituzione della Polonia, il cui risultato fu la sua ultima grande opera politica, le Considerazioni sul governo della Polonia. Nel 1776 completò i Dialoghi: Rousseau giudice di Jean-Jacques, e cominciò a lavorare a Le fantasticherie del passeggiatore solitario. In questo periodo, per potersi mantenere, tornò a copiare musica. A causa della sua paranoia (in parte non infondata), non cercò compagnia o attenzioni di altre persone.





La tomba di Rousseau nella cripta del Panthéon, ParigiUna mattina, passeggiando per le terre del marchese di Girardin, a Ermenonville (nei pressi di Parigi), fu colpito da una emorragia, e morì il 2 luglio 1778.



Rousseau fu inizialmente sepolto nella Ile des Peupliers. Sedici anni più tardi, nel 1794, le sue spoglie furono traslate al Pantheon di Parigi. La tomba fu disegnata per somigliare a un tempio rustico, come richiamo alle teorie di Rousseau sulla natura. Nel 1834 il governo di Ginevra eresse, di malgrado, una statua in suo onore sulla piccola Ile Rousseau, nel Lago di Ginevra.





[modifica] Filosofia



[modifica] Natura vs Società

Rousseau vedeva una divaricazione sostanziale tra la società e la natura umana. Rosseau affermava che l'uomo fosse, in natura, buono, un "buon selvaggio", e venisse corrotto in seguito dalla società; vedeva questa come un prodotto artificiale nocivo per il benessere degli individui.



Il negativo influsso della società su un uomo altrimenti virtuoso, nella filosofia di Rousseau, ruota intorno alla trasformazione dell'amore di sé (amour de soi), intenso in senso positivo, nell'amor proprio (amour-propre), visto come negativo. L'amore di sé consiste nell'istintivo desiderio, posseduto dall'uomo come dagli altri animali, di autoconservazione; l'amore proprio, invece, generato dalla società, costringe l'individuo a paragonarsi agli altri esseri umani, portando all'infondata paura di non essere sufficientemente apprezzato, o a trarre piacere dalle debolezze e dal dolore altrui. Tuttavia, il primo a porre questa distinzione non fu Rousseau; ad esempio fu affermata, tra gli altri, da Luc de Clapiers, marchese di Vauvenargues.



Nel Discorso sulle scienze e le arti, Rousseau sostenne che le arti e le scienze non avessero apportato benefici all'umanità, in quanto non erano state prodotte per rispondere alle necessità umane, bensì generate dall'orgoglio e dalla vanità. Inoltre le arti e le scienze creavano occasioni per l'ozio e il lusso, contribuendo così alla corruzione dell'uomo. Rousseau affermava che il progresso delle conoscenze avevano reso i governi maggiormente potenti, schiacciando così le libertà individuali. Concludeva quindi che il progresso materiale minacciasse la possibilità di costruire amicizie sincere, al cui posto subentravano gelosie, paure e sospetti.



Nel successivo Discorso sull'ineguaglianza, illustrò il progresso e la degenerazione dell'umanità da un primitivo stato di natura sino alla società moderna. Rousseau suggeriva che gli uomini primordiali fossero individui isolati, diversi dagli altri animali unicamente per il possesso del libero arbitrio e per la capacità di perfezionarsi. Questi uomini primitivi erano dominati dall'impulso di autoconservazione ("amore di sé") e da una disposizione naturale alla compassione e alla pietà verso i simili. Quando l'umanità fu costretta a vivere in comunità, a causa della crescita della popolazione, subì una trasformazione psicologica, in seguito alla quale cominciò a considerare come la buona opinione degli altri come un valore indispensabile per il proprio benessere. Rousseau associava questa nuova forma di consapevolezza a un'età dell'oro della prosperità umana. Tuttavia, lo sviluppo dell'agricoltura e della metallurgia, e la conseguente creazione della proprietà privata e della divisione del lavoro, portarono a una crescente dipendenza reciproca degli individui e alla disuguglianza tra gli uomini. La conseguente condizione di conflitto tra chi aveva molto e chi poco o nulla, fece sì, secondo Rousseau, che il primo Stato fu inventato come una forma di contratto sociale suggerito dai più ricchi e potenti. Difatti i ricchi e i potenti, tramite il contratto sociale, sanzionarono la proprietà privata, lo stato di fatto e quindi istituzionalizzarono la diseguaglianza come se fosse inerente alla società umana. Rousseau concepiva la propria proposta per un nuovo contratto sociale come un'alternativa a questa forma fraudolenta. Al termine del Discorso sull'ineguaglianza, Rousseau spiega come il desiderio di essere considerati dallo sguardo altrui, che si era generato durante l'età dell'oro, aveva potuto, sul lungo periodo, corrompere l'integrità e l'autenticità degli individui all'interno di una società, quella moderna, segnata dalla dipendenza reciproca, dalle gerarchie e dalle diseguaglianze.



Per approfondire, vedi la voce Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini.





[modifica] Teoria politica



[modifica] Il contratto sociale

L'opera più importante di Rousseau, probabilmente, è il Contratto sociale, in cui vengono proposte le basi per un ordine politico legittimo.



Pubblicato nel 1762, divenne uno dei titoli più influenti nella successiva teoria politica europea. Nei contenuti, proseguiva alcune idee già citate in un lavoro precedente, l'articolo sull'"economia politica" con cui Rousseau aveva contribuito all'Enciclopedia di Diderot. Rousseau affermava che lo stato di natura, degenerato in una condizione ferina priva di legge o morale, costringeva l'umanità ad adottare delle istituzioni o a perire. Nella fase degenerata dello stato di natura, l'uomo è soggetto a una competizione incessante coi suoi simili e, al contempo, a diventarne progressivamente dipendente. Una duplice tensione che minaccia sia la sua sopravvivenza che la sua libertà. Secondo Rousseau, unendosi grazie al contratto sociale e abbandonando la loro pretesa di diritti naturali, gli individui possono conservare se stessi e al contempo restare liberi. Questo perché, sottomettendosi all'autorità della volontà generale del popolo in quanto entità unitaria, gli individui evitano di diventare subordinati alla volontà di altri individui; inoltre, in questo modo, ci si assicura che obbedirano alle leggi di cui saranno, essi stessi, autori collettivi. Rousseau sostiene che la sovranità deve essere nelle mani del popolo, ma distingue nettamente tra sovranità e governo. Il governo è incaricato di eseguire e far rispettare la volontà generale, ed è composto da un piccolo gruppo di cittadini, definiti "magistrati". Rousseau si opponeva fortemente all'idea che il popolo potesse esercitare la propria sovranità tramite un'assemblea rappresentativa. Piuttosto, gli stessi cittadini dovevano essere i diretti autori delle leggi. C'è chi ha dedotto che, di conseguenza, lo Stato ideale di Rousseau non possa essere realizzato in società di grandi dimensioni; ciò tuttavia forse non vale per i tempi più recenti, grazie ai progressi dei sistemi di comunicazione. La maggior parte delle dispute successive sull'opera di Rousseau riguardano il disaccordo sulla sua affermazione che i cittadini siano liberi in quanto costretti a obbedire alla volontà generale.





[modifica] Educazione

Rousseau teorizzò un programma educativo basato sul concetto di "educazione negativa", ossia di un'educazione che non inculca alcuna virtù, ma previene il vizio; non insegna la verità, ma preserva dall'errore consentendo il libero sviluppo della personalità.



Rousseau espone la sua visione dell'educazione nell'Emilio, un libro parzialmente di fantasia, che racconta nei dettagli la crescita di un giovane ragazzo chiamato appunto Emilio, e guidato dallo stesso Rousseau. Rousseau lo porta nella campagna, il luogo che, per lui, è maggiormente congeniale alla natura umana, diversamente dalla città, dove rischierebbe di apprendere unicamente cattive abitudini, sia dal punto di vista fisico che morale. Obiettivo dell'educazione, dice Rousseau, è come imparare a vivere, e questo si ottiene seguendo un guardiano in grado di mostrare la strada per una vita buona.



La crescita del ragazzo è divisa in tre sezioni: la prima sino ai dodici anni circa, periodo in cui non è ancora possibile il pensiero complesso e i bambini, secondo Rousseau, vivono come animali; la seconda va dai dieci o dodici anni sino ai quindici, periodo in cui comincia a svilupparsi la ragione; la terza va dai quindici in su, periodo in cui il ragazzo va facendosi infine adulto. A questo punto Emilio incontra una giovane donna con cui potrà completarsi.



Il libro è basato sugli ideali di Rousseau di una vita sana. Il ragazzo deve imparare come seguire i suoi istinti sociali e deve essere protetti dai vizî dell'individualismo e dell'autocoscienza urbani.



Curiosamente, come altri grandi pedagoghi, non fu per nulla affettuoso padre dei suoi figli, ma grande educatore al di fuori della famiglia.





[modifica] Religione

Le teorie di Rousseau furono particolarmente dibattute, al tempo, a causa dei giudizi in ambito religioso contenuti in esse. L'idea di Rousseau, che l'uomo fosse buono per natura, era in contrasto con la dottrina del peccato originale; inoltre, la sua "teologia naturale", esposta dal Vicario Savoiardo nell'Emilio portò alla condanna del libro sia nella Ginevra calvinista che nella cattolica Parigi. Nel Contratto sociale Rousseau afferma che i seguaci autentici di Gesù non potranno mai essere buoni cittadini, e quindi anche questo libro fu condannato a Ginevra. Rousseau non fu comunque un ateo, anche se la sua fede e la sua filosofia contrastavano diversi principî del cristianesimo; inoltre, sempre nel Contratto sociale, afferma che per il benessere e la coesione dello Stato sia necessaria una religione, che contempli la fede in un dio unico, in una vita eterna e futura, e nella retribuzione dei peccati.



Rousseau cercò di difendersi dalle critiche contro la sua visione religiosa nella Lettera a Christophe de Beaumont.





[modifica] Eredità di Rousseau

Le idee di Rousseau ebbero una notevole influenza durante la Rivoluzione Francese, durante la quale, comunque, la sovranità popolare non fu esercitata direttamente dal popolo ma dai suoi rappresentanti: non si può quindi affermare che i governi rivoluzionarî fossero un'applicazione effettiva della dottrina politica di Rousseau. In seguiti scrittori come Benjamin Constant e Hegel accusarono le teorie di Rousseau di essere responsabili degli eccessi rivoluzionarî, specialmente quelli del Terrore; tali accuse furono tuttavia oggetto di controversie.



Rousseau fu il primo scrittore moderno ad attaccare in maniera decisa l'istituzione della proprietà privata, e per questo spesso è anche considerato un precursore del socialismo e del comunismo (tuttavia, Marx raramente cita direttamente Rousseau nei suoi scritti). Rousseau, inoltre, contestava il principio che il volere della maggioranza fosse sempre corretto; secondo lui l'obiettivo del governo era assicurare libertà, uguaglianza e giustizia per tutti i cittadini, anche a dispetto della volontà della maggioranza.



Uno dei principî fondamentali della filosofia politica di Rousseau è l'impossibilità di separare l'ambito prettamente politico da quello morale. Uno Stato che non riesca ad agire in modo morale fallisce nella sua funzione primaria, e cessa di esercitare un'autorità autentica sull'individuo. Lo Stato, secondo Rousseau, deve agire sugli individui per trasformarli ed emendarli da tutte le distorsioni morali generate da una società, come quella attuale, dominata dall'ineguaglianza. Il secondo principio fondamentale è la libertà, che lo Stato deve difendere a ogni costo. Non si tratta tanto di una libertà intesa in senso liberale, ma una libertà morale e interiore, che consiste nell'indipendenza della personalità individuale dai valori fluttuanti e soggetti alle mode della maggioranza. Secondo Rousseau lo Stato ha il dovere di "costringere a essere liberi" i cittadini riluttanti a seguire la volontà generale. Per la volontà di riformare e trasformare l'uomo e per l'ideale di una comunità statale totale, Rousseau è stato visto anche come precursore delle successive utopie e persino degli Stati totalitarî del XX secolo.



Le idee di Rousseau sull'educazione hanno profondamente influenzato le successive teorie sull'educazione, tanto che c'è chi, come John Darling, ha affermato che la storia della teoria dell'educazione consiste in una serie di note a margine alle opere di Rosseau (parafrasi della più nota affermazione di Whitehead, secondo cui l'intera storia della filosofia consiste in una serie di note a margine all'opera di Platone). Nell'Emilio Rousseau distingue tra un bambino sano e un bambino "inutile" e incapace. Il bambino sano dev'essere l'unico obiettivo di ogni attività educativa. Rousseau sminuiva l'importanza della lettura, e raccomandava di sviluppare l'emotività del bambino prima che la sua ragione. Concedeva particolare importanza all'apprendimento tramite l'esperienza.



Nei suoi scritti principali Rousseau identifica la natura con lo stato primitivo dell'uomo selvaggio. Più tardi usa il termine "natura" per indicare la spontaneità del processo con cui l'uomo costruisce il suo istinto egocentrico (non inteso in senso negativo), basato sul proprio carattere e sul piccolo mondo che lo circonda. Natura significa qui interiorità e integrità, in opposizione alla prigionia e alla schiavitù che la società impone nel nome di una falsa emancipazione dalla barbarie.



Tornare alla natura significa restituire l'uomo alle forze di questo processo naturale, ponendolo al di fuori dei legami oppressivi e dei pregiudizî della civiltà. Queste ultime idee fanno di Rousseau una figura particolarmente importante nel Romanticismo, dimostrandone le differenze rispetto all'Illuminismo, di cui comunque, per molti altri versi, faceva parte.





Adam Smith (Kirkcaldy, Scozia, 5 giugno 1723 - Edimburgo, 17 luglio 1790), filosofo ed economista scozzese che gettò le basi dell'economia politica liberale.

L'opera di A. Smith chiude il periodo dei mercantilisti, da lui così definiti e criticati, dando avvio alla serie di economisti classici superando i concetti definiti dai fisiocratici. La ricchezza delle nazioni, pubblicata nel 1776 diventa il testo di riferimento per tutti gli economisti classici del XVIII e XIX secolo come David Ricardo, Thomas Robert Malthus, Jean-Baptiste Say, John Stuart Mill. Questi o ne ripresero il contenuto per elaborare le proprie posizioni, anche divergenti fra di loro, o la criticarono alla ricerca di nuove vie. La ricchezza delle nazioni è però anche un importante libro di storia economica in quanto vengono descritte le trasformazioni dell'economia inglese del tempo.





[modifica] Cronologia

1723 – Nasce a Kirkcaldy, piccolo porto scozzese sul golfo della Firth of Forth dirimpetto a Edimburgo. La data di nascita è incerta; si sa che fu battezzato il 5 giugno. Suo padre, di nome Adam come il figlio, era controllore delle dogane (più precisamente esattore del dazio, incarnazione quindi di quella politica protezionistica e mercantilistica fortemente criticata dal figlio Adam jr.), morì nel gennaio del 1723; la madre, Margaret Douglas, proveniva da una ricca famiglia scozzese. Figlio unico ed orfano di padre, Adam Smith jr. rimase molto legato alla madre da profondi sentimenti affettivi.

1737 – Dopo gli anni scolastici a Kirkcaldy, si iscrive all’Università di Glasgow dove viene influenzato dai corsi di Francis Hutcheson (1654-1746), professore di filosofia morale secondo il quale l'essere umano è guidato da due tipi di forze naturali: gli istinti egoistici (che incitano all'appagamento individuale) e gli istinti altruisti (che definiscono la propria coscienza morale).

1740 – Studia al College Balliol di Oxford, dall'atmosfera giacobita e anti-scozzese e del quale manterrà un cattivo ricordo.

1746 – Lascia Oxford e rientra a Kirkcaldy, senza progetti particolari.

1748 – Grazie all’appoggio di Henry Home (Lord Kames) e di Sir Oswald de Dunniker, viene invitato a sostenere lezioni pubbliche ad Edinburgo di retorica e letteratura.

1750 – Incontra David Hume, con il quale rimarrà sempre in contatto.

1751 – Sempre grazie a Lord Kames, ottiene la nomina alla cattedra di logica all’Università di Glasgow dove insegna logica e, successivamente, filosofia morale.

1752 – Succede a Francis Hutcheson alla cattedra di filosofia morale. Il contenuto dei corsi è stato a lungo conosciuto solo grazie ai ricordi lasciati da John Millar, suo brillante allievo. Solo nel 1896 Edwin Cannan ritrova e pubblica con il titolo Lectures of Jurisprudence le note dei corsi dell’anno 1763/1764. Nel 1958, vengono ritrovate e pubblicate da J. M. Lothian le note dei corsi di retorica e di lettere dell’anno 1762/1763. Questi documenti testimoniano dello stretto rapporto fra etica ed economia nel pensiero di Adam Smith.

1759 – Pubblica La teoria dei sentimenti morali che approfondisce il suo corso di etica insegnato a Glasgow ed introduce il principio di simpatia. La pubblicazione di questo libro, gli procurò una certa notorietà.

1761 – Pubblica Considerations Concerning the First Formation of Language in Philological Miscellany.

1764 – Lascia l’incarico all’Università di Glasgow per diventare precettore del giovane Duca di Buccleuch ottenendo una pensione di 300 lire sterline all’anno che conserverà per tutta la sua vita. Accompagna così il giovane nel suo tuor della durata di quasi due anni, prevalentemente in Francia, inizialmente a Tolosa e poi a Parigi.

1765 – Incontra Voltaire a Ginevra.

1766 – Nel mese di febbraio giunge a Parigi dove entra nei grandi salotti parigini grazie alla sua reputazione e all’aiuto di David Hume. Qui frequenta D’Alembert, d'Holbach, Helvetius e, soprattutto, François Quesnay (fondatore della scuola dei fisiocratici) e Turgot. Nel novembre torna, sempre accompagnato dal Duca di Bucchleuch, a Londra.

1767 – Ritorna a Kirkcaldy, presso la madre, ed inizia la redazione della La ricchezza delle nazioni.

1776 – Il 9 marzo, nove anni dopo l’inizio della stesura, pubblica presso Strahan e Cadell l'Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni testo più noto come La ricchezza delle nazioni. Seguiranno varie riedizioni del testo che ottenne già all'epoca un'importante risonanza.

1778 – Viene nominato commissario delle dogane e si istalla ad Edinburgo. Malgrado l’attività lavorativa, si dedica alla riedizione della Ricchezza delle nazioni ed alla revisione, assai rimaneggiata, della Teoria dei sentimenti morali.

1790 – Muore il 17 luglio, lasciando istruzioni ad amici di bruciare gran parte dei suoi scritti. E così avvenne.



[modifica] Opere

1759 - Teoria dei sentimenti morali, (The Theory of Moral Sentiments), riedizioni nel 1761, 1767, 1774, 1781 e 1790.

1776 - La ricchezza delle nazioni, (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations), riedizioni nel 1778, 1784, 1786 e 1789.

1795 - Essays on Philosophical Subjects, testo redatto durante il periodo di Glasgow e pubblicato postumo.



[modifica] Pensiero filosofico ed economico

Il pensiero di A. Smith trae origini da differenti fonti mediate dall’insegnamento di Fancis Hutcheson il quale già cercò di sintetizzare la legge e il diritto naturale di Ugo Grozio, l’empirismo di John Locke e l’idea tipica dei filosofi scozzesi secondo la quale l’uomo è mosso dalle passioni più che dalla ragione. Adam Smith realizza una sintesi personale di queste influenze, alle quali si aggiungono gli influssi di David Hume - che Smith conobbe personalmente e con il quale intrattenne lunghi contatti -, dei filosofi francesi del XVIII secolo come Jean-Jacques Rousseau e Montesquieu, dei fisiocratici e di Turgot, conosciuti durante il suo viaggio in Francia.

Il pensiero di A. Smith non si limita però ad una sintesi delle differenti correnti di pensiero esistenti: il suo merito è di avere apportato argomenti e tesi nuove, differenziandosi dagli insegnamenti di Francis Hutcheson anche per aspetti fondamentali.

Dell’opera di A. Smith è stata fornita un’interpretazione basata sulla netta separazione fra la Teoria dei sentimenti morali e la La ricchezza delle nazioni. Hanno seguito questa via autori tedeschi, che parlano di Das Adam Smith Problem, come Bruno Hildebrand e Knies, ma anche Buckle, Jakob Viner e Louis Dumont secondo i quali nel primo libro l’analisi porterebbe sui sentimenti altruisti mentre nel secondo si tratterebbe di comportamenti egoisti. Più recentemente grazie ad una rivalutazione della Teoria dei sentimenti morali e del principio di simpatia ivi incluso da parte di autori come A. L. Macfie, Andrew Skinner e Donald Winch, si sostiene l’unità di pensiero di A. Smith che, occorre ricordarlo, alla fine della sua vita riprese in mano la Teoria dei sentimenti morali per un’ulteriore revisione. Il principio di simpatia è quindi un elemento basilare anche della mano invisibile.

La metodologia smithiana è essenzialmente fondata sulla diffidenza verso l'idea di rigide leggi naturali da svelare (contrapponendo l'idea di sistemi filosofici come invenzioni dell'immaginazione) e sulla complessità delle motivazioni all'origine dei comportamenti umani, entrambi aspetti caratteristici dell'illuminismo scozzese che l'ha formato.







[modifica] Principio di simpatia

La formazione del giudizio morale è oggetto di discussione della filosofia morale, tema con il quale anche i filosofi del XVIII secolo si sono confrontati. In modo assai generico, si identificano due correnti: una prima che fonda il giudizio morale sulla ragione (Locke) e una seconda che ne ricerca le origini nelle passioni e nei sentimenti umani (Hume). Il dibattito verte anche sulla presenza innata del senso morale o la sua assimilazione dopo la nascita quale elemento culturale.

Seguendo l’approccio basato sui sentimenti, A. Smith descrive nella Teoria dei sentimenti morali appunto, un sistema morale fondato sul principio di simpatia che comporta l'immedesimazione nelle passioni e nei sentimenti altrui e che differisce dalla benevolenza e dall'altruismo pur non sostituendosi all’egoismo. Per simpatia, sentimento innato nell'uomo, va intesa la capacità di identificarsi nell'altro, la capacità di mettersi al posto dell'altro e a comprenderne i sentimenti in modo da potere ottenere l'apprezzamento e l'approvazione altrui. Da questo sentimento gli individui deducono regole morali di comportamento. La coscienza morale non è allora un principio razionale interiore, ma, scaturendo dal rapporto simpatetico che l'uomo ha con gli altri uomini, presenta un carattere prevalentemente sociale e intersoggettivo.

In quest'ottica, ad esempio, il diritto di proprietà non è un diritto naturale come l’intendeva Locke (anteriore ad ogni convenzione sociale) né un artifizio storico come sostenuto da Hume, ma il risultato di un processo speculare di simpatia e socializzante che giustifica la proprietà in quanto possesso di un oggetto frutto di un lavoro personale e il cui furto implicherebbe un giudizio negativo dell'altro su sè stessi.

Il principio di simpatia non viene abbandonato da A. Smith nella redazione della Ricchezza delle nazioni, al contrario questo soggiace allo scambio e al mercato: il panettiere produce pane non per farne dono (benevolenza), ma per venderlo (perseguimento del proprio interesse). Tuttavia, il panettiere – pur mosso dal proprio interesse di vendere il prodotto del suo lavoro per ottenere altri beni o lavoro altrui – produce quel pane che anticipa essere desiderato, apprezzato, dal cliente. In altri termini, il panettiere cerca l’apprezzamento del suo cliente, senza il quale egli non potrà vendere il proprio pane non soddisfacendo così i propri interessi.

Gli individui, mossi dal principio di simpatia vanno alla ricerca dell’apprezzamento degli altri, ed iniziano a lavorare, a costruire e ad accumulare, favorendo di conseguenza la produzione economica.







[modifica] Divisione del lavoro

Nel libro primo della Ricchezza delle nazioni A. Smith analizza le cause che migliorano il potere produttivo del lavoro e il modo con il quale la ricchezza prodotta si distribuisce naturalmente fra le classi sociali. La ricchezza di una nazione viene identificata all'insieme dei beni prodotti suddivisi per l'intera popolazione, si può quindi parlare di reddito pro-capite. La ricchezza viene prodotta attraverso il lavoro e può essere incrementata aumentando la produttività del lavoro o il numero di lavoratori. Il lavoro permette inoltre di determinare il valore di scambio di un bene: A. Smith sviluppa così una teoria del valore-lavoro, in contrapposizione all'idea di una ricchezza proveniente dalla natura sostenuta dai fisiocratici.

La divisione del lavoro permette l’incremento della produttività del lavoro, come illustrato dal celebre esempio della manifattura di spilli: se un individuo deve, da solo, fabbricare spilli partendo dall'estrazione dal suolo della materia prima fino alla realizzazione di ogni singola fase artigianali, riuscirà difficilmente a produrre quantità elevate di spilli in poco tempo; se a questo stesso individuo viene fornito il filo metallico già pronto riuscirà ad aumentare la sua produzione; con la suddivisione delle varie fasi artigianali e l'assunzione di queste da parte di più artigiani specializzati in una singola fase, allora la produzione di spilli sarà nettamente superiore alla somma degli spilli che verrebbero prodotti, dallo stesso numero di individui, nelle modalità produttive precedenti. Le ragioni dell'incremento produttivo indotto dalla divisione del lavoro sono tre: (a) aumento dell’abilità manuale di ogni lavoratore (specializzazione), (b) riduzione tempo perso per passare da un’azione o da un’attività all’altra, (c) diffusione, per il desiderio di ognuno di ridurre la propria pena lavorativa, ma anche per l'emergere di un'industria di costruttori di macchinari, dell’invenzione e dell’applicazione di macchine che facilitano e riducono il lavoro permettendo ad un solo lavoratore di realizzare l’attività di più persone. Questi vantaggi appaiono più facilmente nell’industria che nell’agricoltura e si applicano sia all'interno di un'attività (divisione tecnica) sia fra settori (divisione sociale).

La divisione del lavoro porta i suoi benefici in termini produttivi anche quando induce la differenziazione fra mestieri e professioni. Questo genera un'interdipendenza sociale e presuppone lo scambio e il mercato, attraverso il quale un individuo cede beni da lui prodotti in sovrappiù rispetto ai propri bisogni per acquisire prodotti realizzati da altri e necessari per soddisfare gli altri bisogni.

Alla base della divisione del lavoro non vi è un atto razionale, ma una passione: la tendenza naturale a “trafficare”.

La divisione del lavoro comporta però anche conseguenze negative: la specializzazione verso un’unica attività e la realizzazione di operazioni semplici, ripetitive e meccaniche, non sviluppa l’immaginazione e riduce le capacità intellettuali dell'individuo. Per compensare questo effetto, A. Smith sostiene lo sviluppo dell’istruzione finanziata dallo Stato.

La divisione del lavoro è limitata dall'estensione del mercato, che può - non sempre - essere esteso attraverso sia lo sviluppo di mezzi e di infrastrutture di trasporto sia l'estensione del commercio estero. Ampliando il mercato, l'incremento della produzione che risulta da una maggiore divisione del lavoro può così trovare sbocchi commerciali.

Infine, la divisione del lavoro dipende dal livello di risparmio: per incrementare la divisione del lavoro è necessario disporre di maggiore capitale fisso e circolante, entrambi finanziati con il risparmio realizzato nel periodo precedente. Il risparmio, essendo una condizione per la divisione del lavoro, è dunque un elemento determinante per lo sviluppo economico.

Senofonte e Diodoro Siculo come pure William Petty e Francis Hutcheson, suo maestro, hanno affrontato la divisione del lavoro prima di A. Smith, il quale ne fa però un elemento centrale per comprendere le ragioni della ricchezza e del benessere di una nazione.







[modifica] Valore di scambio e ripartizione dei redditi

Con il celebre esempio dell’acqua e del diamante, A. Smith introduce la distinzione fra valore d’uso (utilità) e valore di scambio (facoltà che il possesso di un oggetto conferisce nell’acquisire altri beni). L’acqua, bene quanto mai necessario, ha un prezzo inferiore al diamante, il più superfluo fra tutti gli oggetti superflui. L’acqua ha un elevato valore d’uso, ma un basso valore di scambio mentre il diamante possiede uno scarso valore d’uso ma ha un elevato valore di scambio. Il valore d’uso, attualmente considerato soggettivo, era considerato oggettivo da A. Smith così come il valore di scambio lo è essendo quest'ultimo misurabile e risultante dallo scambio.

Il valore di scambio dipende dal lavoro comandato, vale a dire quel lavoro che l’oggetto offerto nello scambio permette di acquisire e corrispondente al lavoro risparmiato necessario per produrre quell’oggetto. Più elevato è il lavoro comandato di un oggetto, più elevato sarà il suo valore di scambio. Il valore di scambio non è basato né sul tempo del lavoro né sul lavoro incorporato come presso altri autori (ad esempio David Ricardo) ma risulta dallo scambio stesso: il valore viene determinato in una relazione, non è preesistente allo scambio. Il valore di scambio è un potere d’acquisto, non inteso come accumulazione di beni o in rapporto alla moneta, ma potere di un oggetto nell’acquisire un altro oggetto.

Ponendo lo scambio fra due beni X e Y, il cui costo di produzione in termini di lavoro è rispettivamente Lx e Ly, e ammettendo il loro valore di scambio Vx e Vy, si giunge all’equivalenza seguente: Vx = lavoro risparmiato al possessore di X = lavoro necessario alla produzione di Y = Ly. Analogamente, Vy = lavoro risparmiato al possessore di Y = lavoro necessario alla produzione di X = Lx. Ne risulta che Vx=Vy e Lx=Ly: l’uguaglianza nello scambio implica l’uguaglianza del costo del lavoro fra i due beni.

In una società antica, precedente all’accumulazione del capitale e all’appropriazione della terra, il prezzo reale (o prezzo naturale) è composto e determinato dalla quantità necessaria di lavoro per acquisire il prodotto (ciò significa che l’intero prodotto appartiene al lavoratore); mentre in una società avanzata, suddivisa fra lavoratori, imprenditori capitalisti e proprietari terrieri (suddivisione corrispondente alla nascente società capitalistica in sostituzione alla società feudale basata sulla triade nobiltà-clero-terzo stato), il prezzo reale si compone di salari, profitto e rendita fondiaria. Il prezzo reale è quindi determinato dal costo dei mezzi di produzione necessari a realizzare il prodotto.

Il prezzo di mercato di un prodotto dipende dal confronto fra la domanda e l’offerta dello stesso e tende a convergere verso il prezzo reale (teoria della gravitazione o dell'oscillazione dei prezzi). Di fatto, il prezzo di mercato gravita attorno al prezzo reale a seguito delle fluttuazioni della domanda e dell’offerta: il prezzo di mercato sarà superiore al prezzo reale se la domanda supera l’offerta, mentre sarà inferiore se l’offerta supera la domanda. Il prezzo di mercato non può distanziarsi durevolmente dal prezzo reale in quanto gli agenti, accorgendosi, aggiustano l’offerta allineandola alla domanda (meccanismo d’aggiustamento). Solo l’assenza di informazioni, l’esistenza di risorse rare e la presenza di monopoli legali permettono al prezzo di mercato di distanziarsi costantemente dal prezzo reale.

Le tre componenti del prezzo reale si determinano in modo distinto secondo un rispettivo saggio naturale, questo non implica però una teoria dell'addizione dei differenti componenti.

Determinazione del salario - Il tasso di salario dipende dal confronto fra l’offerta e la domanda di lavoro (dove gli imprenditori hanno però un'influenza maggiore rispetto ai lavoratori), ma anche da altri fattori come la piacevolezza o meno del tipo di lavoro, il costo della formazione associato al tipo d’impiego, la continuità nel tempo dell’occupazione (attività stagionale o annuale) e la fiducia o meno che una professione richiede. Il tasso di salario non può però essere costantemente inferiore al minimo di sussistenza, corrispondente al livello che permette di soddisfare i bisogni vitali del lavoratore e della sua famiglia. A. Smith non condivide l’idea pessimista della “legge bronzea (o ferrea) dei salari” secondo la quale gli stipendi si mantengono costantemente al livello del minimo vitale.

Teoria del profitto - Per il finanziamento del profitto, Smith ha esitato fra due differenti idee: (a) il profitto si aggiunge ai salari per la determinazione del valore di scambio, (b) il profitto è complementare al salario all’interno di un valore di scambio dato. Secondo la teoria lavoro comandato, i lavoratori ricevono, nel salario, l’intero prodotto del loro lavoro. Di conseguenza, il profitto deve aggiungersi al salario nella determinazione del valore. Tuttavia, Smith sostiene che il profitto non è una remunerazione di un lavoro, per cui non può aggiungere altro valore ciò che porta all’idea di una complementarietà con il salario all’interno di un valore dato, mettendo però in dubbio la teoria del lavoro comandato. A. Smith cade in un dilemma senza soluzione. Per quanto riguarda il montante del profitto è chiaro che questo dipende dal valore del capitale impiegato ed è più o meno elevato in proporzione al volume del capitale. Il tasso medio di profitto, tasso unico per l'intero sistema economico, può inoltre essere stimato con il tasso d’interesse medio sulla moneta, mettendo così in relazione il capitale finanziario (il risparmio) e il capitale reale (i beni corrispondenti al risparmio).

Teoria della rendita – La rendita è un prezzo di monopolio grazie al quale i proprietari terrieri approfittano di una situazione nella quale l’offerta di terreni è limitata e costantemente inferiore alla domanda di terreni. La rendita è quindi prelevata sui profitti dell'agricoltore, lasciando a questo quel tanto sufficiente per pagare i salari e ammortizzare i capitali secondo i rispettivi tassi normali.

A complemento della ripartizione del reddito, occorre citare la distinzione di A. Smith fra lavoro produttivo (fabbricazione di oggetti materiali che si possono vendere sui mercato o che dà origine ad un sovrappiù) e lavoro non produttivo (attività immateriali come i servizi). Fra i lavoratori non produttivi A. Smith inserisce i domestici, i funzionari, le professioni liberali e gli artisti, in quanto vivono con il reddito altrui. A. Smith, ingannandosi sulla non produttività di questi settori, elimina giustamente l'errore dei fisiocratici della sterilità dell'industria ed evidenzia la distinzione fra reddito primario e reddito di trasferimento.







[modifica] Mano invisibile

La teoria di una regolazione spontanea dello scambio e delle attività produttive di A. Smith è incentrata sulla nozione di mano invisibile secondo la quale il sistema economico non richiede interventi esterni per regolarsi, in particolare non necessita l’intervento di una volontà collettiva razionale. Il ruolo della mano invisibile è triplice.

Processo con il quale si crea un ordine sociale – Dati l’uguaglianza di fronte al diritto, il non intervento dello Stato e il principio di simpatia, la mano invisibile assicura il realizzarsi di un ordine sociale che soddisfa l’interesse generale (convergenza spontanea degli interessi personali verso l’interesse collettivo).

Meccanismo che permette l’equilibrio dei mercati – Domanda e offerta su differenti mercati tendono ad uguagliarsi: il libero funzionamento di un mercato concorrenziale, oltre a far convergere il prezzo di mercato al prezzo reale, tende a fare scomparire qualsiasi domanda o offerta eccedentaria.

Fattore che favorisce la crescita e lo sviluppo economico – La regolazione si applica alla popolazione attraverso il mercato del lavoro (in caso di popolazione eccessiva, il salario scende al di sotto del minimo di sussistenza conducendo ad una riduzione della popolazione e viceversa in caso di popolazione deficitaria); la regolazione si applica pure al risparmio, condizione necessaria per l’accumulazione del capitale e quindi della crescita economica attraverso una maggiore divisione del lavoro (gli individui tendono spontaneamente a risparmiare in quanto desiderosi di migliorare la propria condizione); infine la regolazione si applica anche all’allocazione dei capitali (investimenti indirizzati spontaneamente verso le attività più reddittizie).

La teoria della mano invisibile è il concetto a noi più noto di A. Smith e, pure, quello più abusato. La mano invisibile è valida, come descritto sopra, date certe condizioni. Tuttavia, questa teoria non permette di spiegare il fenomeno della disoccupazione e di trattare adeguatamente le produzioni non-mercantili come pure ambiti particolari dove bisogni fondamentali devono essere soddisfatti (educazione obligatoria, salute di base). Contestabile anche il ruolo nell’allocazione dei capitali, basti pensare ai molti esempi di risparmio privato gettato al vento. Infine, A. Smith assimila – erroneamente – l’ordine economico all’ordine morale, definendo la mano invisibile come conforme alla giustizia.

La metafora della mano invisibile, cardine della dottrina liberale del laissez faire, compare nel secondo capitolo (Delle restrizioni all'importazione dai paesi stranieri di quelle merci che possono essere prodotte nel paese) del Libro quarto (Dei sistemi di economia politica) della Ricchezza delle nazioni.

Con l'opera di John Maynard Keynes, in particolare con la nozione di disoccupazione involontaria, si comprese la necessità di un intervento pubblico nel sistema economico a garanzia di un giusto equilibrio.







[modifica] Moneta

La moneta, così come viene presentata nel Capitolo IV del Libro Primo della Ricchezza delle nazioni, è essenzialmente un mezzo di scambio che facilita la convergenza degli interessi nello scambio di beni contro beni. La moneta s'inserisce, in modo temporaneo, nello scambio attraverso due operazioni distinte: bene contro moneta e moneta contro bene. La moneta sorge quindi dalle necessità dello scambio commerciale di prodotti preesistenti, non è quindi intrinseca al processo produttivo e alla remunerazione della produzione.

Fino alla metà degli anni '70 del XX secolo, l'apporto di A. Smith alla teoria della moneta è stato considerato marginale, in quanto simile a suoi predecessori. Recenti letture della sua opera, portano ad una certa rivalutazione facendone uno dei primi sostenitori del Free Banking e di argomenti che saranno ripresi dalla Banking School, in contrapposizione quindi alla Currency School avviata da David Hume e rilanciata da David Ricardo.





[modifica] Libero-scambio e ruolo dello Stato

Adam Smith critica e si distanzia dai mercantilisti e dalla loro politica sostanzialmente protezionista, contrapponendo la difesa del libero-scambio.

Una prima giustificazione al libero scambio si deduce dall'effetto sulla produttività del lavoro di una maggiore estensione del mercato: la soppressione di freni al commercio interno ed esterno, come pure l'accesso a nuovi mercati attraverso lo sviluppo o il miglioramento della rete di trasporti, favorisce la divisione del lavoro aumentando di conseguenza la produzione economica e il benessere collettivo.

Una seconda giustificazione deriva dal ruolo equilibratore fra domanda e offerta esercitato dalla mano invisibile: nessun intervento esterno al mercato è necessario per raggiungere lo stato di equilibrio. Il mercato possiede forze di auto-regolazione.

Tuttavia, il libero scambio e il funzionamento dell'economia di mercato descritto da A. Smith suppongono il principio di simpatia: ogni individuo conosce sì come nessun altro i propri interessi ma in questi interessi vi è il desiderio di essere apprezzato dagli altri, ciò che rende il mercato non un campo di combattimento, ma un luogo di convergenza di differenti interessi personali.





«Nella corsa alla ricchezza, agli onori e all'ascesa sociale, ognuno può correre con tutte le proprie forze, […] per superare tutti gli altri concorrenti. Ma se si facesse strada a gomitate o spingesse per terra uno dei suoi avversari, l'indulgenza degli spettatori avrebbe termine del tutto. […] la società non può sussistere tra coloro che sono sempre pronti a danneggiarsi e a farsi torto l'un l'altro.»

(A. Smith, Teoria dei sentimenti morali, 1759)



Infine, il libero-scambio non implica l'assenza assoluta dello Stato, al contrario a questo compete l'amministrazione della giustizia, la difesa dello Stato da minacce esterne e i lavori pubblici, fra i quali va inclusa l'educazione di base.







Baruch (Benedetto) de Spinoza, spesso citato semplicemente come Spinoza (Amsterdam, 24 novembre 1632 - L'Aia, 21 febbraio 1677) è stato uno dei maggiori filosofi razionalisti dell'età moderna insieme a René Descartes e Gottfried Leibniz.





[modifica] Vita

Nato da una famiglia ebraica costretta ad abbandonare il Portogallo a seguito dell'intolleranza religiosa, Spinoza fu inizialmente educato nella comunità ebraica sefardita di Amsterdam, città nella quale nacque. Presso la scuola della comunità, il Talmud Torah, portò a termine i primi quattro gradi di istruzione. Nel 1649, in seguito alla morte del fratello maggiore Isaac, fu costretto ad abbandonare gli studi per aiutare il padre Michael nella conduzione dell'azienda di import/export di famiglia. La sua curiosità e la sua sete di conoscenza rimasero comunque inalterate, spingendolo a frequentare innanzitutto le yeshivot (gruppi di studio per adulti) della comunità e - in seguito alla maturazione di una sempre più marcata insoddisfazione nei confronti della vita e della religione ebraica, e di un interesse crescente per altre idee filosofiche e scientifiche - la scuola di latino di Franciscus Van den Enden, a partire dal 1654. Come è noto, grazie agli inventari portati a termine dopo la morte del filosofo, la biblioteca di Spinoza conteneva un certo numero di testi in latino, tra cui opere di Orazio, Gaio Giulio Cesare, Virgilio, Tacito, Epitteto, Livio, Plinio, Ovidio, Omero, Cicerone, Marziale, Petrarca, Petronio, Sallustio, a riprova di una passione nata probabilmente durante il periodo vissuto a contatto con Van den Enden. Cosa più importante, oltre a questa preparazione in letteratura e filosofia classica, gli studenti di Van den Enden venivano quasi certamente messi al corrente di problemi più moderni, soprattutto di questioni attinenti allo sviluppo delle scienze naturali: è probabile che risalga a questo periodo della vita di Spinoza il suo primo contatto diretto con le opere di Cartesio.



Nel 1656 la comunità lo scomunicò, lo espulse e lo maledisse a causa delle «abominevoli eresie che egli ha compiuto e insegnato, nonché [dei] suoi atti mostruosi». Il documento di cherem (bando o scomunica), gravissimo e mai revocato, era assai esplicito e non faceva ricorso ad eufemismi: «che egli sia maledetto di giorno e maledetto di notte, maledetto quando si sdraia e maledetto quando si alza, maledetto quando esce e maledetto quando rientra. Il Signore non lo risparmierà: al contrario, la collera del Signore e la sua gelosia si abbatteranno su quest'uomo, e tutte le maledizioni scritte in questo libro penderanno su di lui, e il Signore cancellerà il suo nome da sotto il cielo». Secondo studi recenti (Steven Nadler) l'eresia principale che portò alla scomunica di Spinoza sarebbe stata il non credere all'immortalità dell'anima che determinava il crollo della dottrina della ricompensa nell'aldilà e quindi la perdita del controllo delle anime sulla terra da parte delle autorità religiose. Dopo un breve periodo passato a casa di Van den Enden, che lo ospitò senza chiedere nulla in cambio, se non un aiuto nelle lezioni di latino, Spinoza abbandonò dunque Amsterdam, stabilendosi prima in un villaggio presso Leida e poi a L'Aia dove passò il resto della sua vita.



La tesi centrale del pensiero di Spinoza è l'identificazione panteistica o, meglio, immanentistica di Dio con la Natura ("Deus sive natura"), ed in essa convergono i temi ed i motivi appartenenti alle tradizioni culturali più disparate, ossia la filosofia ellenistica, la teologia giudaico-cristiana, la filosofia neoplatonico-naturalistica del Rinascimento, il razionalismo cartesiano ed il pensiero musulmano, ed infine le sfumature di Thomas Hobbes.



Giovanissimo, all'età di 29 anni e dopo la drammatica esperienza dell'espulsione dalla Comunità, Spinoza pubblica i "Principi della filosofia di Cartesio" con una appendice di "Pensieri Metafisici", opere che gli diedero fama di esegeta della filosofia cartesiana. In questa data (1661), egli si era già formato una cerchia di amici e discepoli, con i quali intratteneva un nutrito scambio epistolare, fonte preziosa sull'andamento della sua riflessione.



Iniziò la scrittura dell' "Ethica more geometrico demonstrata" nel 1661 a Rijnsburg, dove viveva della vendita di lenti che egli stesso molava con grande perizia, per poi tentare di pubblicarla una prima volta nel 1664 col titolo di "Methodus inveniendi argumenta redatta ordine et tenore geometrico", adottando sistematicamente per la dimostrazione il metodo geometrico, appunto. Questa scelta aveva il significato preciso di rendere immediatamente evidente il carattere di verità, dimostrabile ed eterna, che aveva la sua filosofia. In realtà, l'opera vide la luce solo dopo la sua morte, nella raccolta delle "Opera Posthuma" (1677), voluta e messa a punto dai suoi discepoli a pochi mesi dalla sua scomparsa, e che comprende anche il "Trattato sull'emendazione dell'intelletto", il "Trattato Politico", l' "Epistolario" e una grammatica ebraica, il "Compendium grammatices linguae hebreae".



Nel 1670 Spinoza aveva pubblicato, da anonimo, il "Trattato Teologico-Politico", opera che suscitò un clamore ed uno sdegno generali, in quanto presentava un'accurata analisi dell' "Antico Testamento", e in special modo del "Pentateuco", tendente a negare la sua origine divina. La Scrittura viene infatti definita come prodotto storico, come insieme di testi redatti da uomini in diverse epoche storiche, e non come il mezzo privilegiato della rivelazione di Dio all'uomo. Le profezie narrate nel testo sacro vengono spiegate ricorrendo alla facoltà della "immaginazione" di coloro che le hanno pronunciate, mentre gli eventi miracolosi, privati di qualsiasi consistenza reale, vengono definiti come accadimenti che gli uomini non riescono a spiegarsi e che per questo, per l'ignoranza delle cause che li hanno prodotti, finiscono per attribuire ad un intervento soprannaturale. Infine, il Trattato sostiene la necessità per uno stato di garantire ai suoi cittadini libertà di pensiero, di espressione e di religione attraverso una politica di tolleranza di tutte le confessioni e di tutti i credi, e di non interferire in questioni che non ledano la sicurezza e la pace della società. Nelle pagine conclusive, il filosofo olandese addita come modello di convivenza pacifica, pur nella diversità, la città di Amsterdam e le Province Unite olandesi. Nonostante l'anonimato, Spinoza venne presto riconosciuto come autore dell'opera, che venne messa al bando dalle autorità olandesi a partire dal 1674, insieme con il "Leviatano" di Thomas Hobbes.



Cominciò così a formarsi quel mito di Spinoza empio ed ateo che trova conferma con la pubblicazione dell' "Ethica", la cui prima parte, "De Deo", sulla divinità, propone la definizione di Dio come l'unica ed infinita sostanza dotata di infiniti attributi, dei quali solo due, il pensiero e l'estensione (ovvero il mondo fisico), sono conoscibili da parte dell'uomo. I corpi sono definiti modi dell'estensione, mentre le idee sono dette modi del pensiero, e viene stabilita una corrispondenza tra modi del pensiero e modi dell'estensione (il cosiddetto parallelismo), dalla quale consegue che la potenza di pensare di Dio è uguale alla sua capacità di agire. Pertanto, Dio non può agire in modo diverso da come agisce, né può pensare e non agire: il mondo non può essere stato creato in un dato momento, ma deve esistere da sempre, né può esserci dell'arbitrio nell'azione divina, per cui non ha senso parlare di Provvidenza o di miracoli. Al contrario, tutto avviene per necessità, nel senso che tutto ciò che è non può essere altrimenti. Dio non è tuttavia soggetto a coazione, in quanto la sua libertà, così come la libertà dell'uomo in quanto essere modale, consiste nell'agire in conformità con la propria natura.



Le tre proposizioni proposte, la LIII, LVI e la LVII, sono tratte dalla quarta parte "Della schiavitù umana", ossia delle Forze degli affetti:



"Chiamo schiavitù" - dice Spinoza nella prefazione - "l'impotenza umana nel moderare e tenere a freno gli affetti. L'uomo che è soggetto agli affetti, infatti, non è padrone di sé, ma in balia della fortuna nel cui potere è a tal punto che spesso è costretto, sebbene veda il meglio, a seguire tuttavia il peggio".

Questo fu, nella sostanza, il suo peculiare ed essenziale concetto filosofico.





[modifica] La riflessione politica

La situazione storica dei Paesi Bassi del tempo è costituita da continue lotte politiche tra un partito repubblicano e uno monarchico a sostegno della casata degli Orange; a tali dispute si intrecciano violenti movimenti religiosi che vedono da una parte varie sette riformate e dall'altra la grande Chiesa Calvinista.



A differenza di Hobbes Spinoza afferma che lo stato ideale non è quello autoritario assoluto (cioè absolutus, sciolto dalle leggi), quindi con un monarca con potere inscindibile e irrevocabile. Un vero Stato deve essere retto da un monarca assoluto, ma non autoritario. Se infatti lo fosse, priverebbe i cittadini della libertà di parola e quindi in pratica non saprebbe come comportarsi per il bene comune. Inoltre secondo Spinoza l'assolutismo autoritario è la più fittizia forma di governo che ci sia, dal momento che si occupa di limitare con continui sforzi la libertà, che però essendo intrinseca al cittadino, non può mai essere soffocata totalmente: dunque gli sforzi del governo sarebbero alllo stesso tempo sistematici, quindi faticosi, ma vani.





[modifica] Il determinismo

Il rapporto che intercorre tra causa ed effetto può essere tradotto in un rapporto tra premessa e conseguenza; viene dunque a coincidere la necessità causale con la necessità logica (qui Spinoza sembra rifarsi ad Aristotele, il quale aveva affermato l' identità di sostanza e principio di non contraddizione). Infatti, se b può essere spiegato in modo adeguato da a, allora a sarà la causa di b e questo deriverà da a in modo logicamente necessario. Ora, se senza Dio nessuna cosa potrebbe essere concepita, Dio è la causa di tutte le cose. Per questo, propria dell'essenza divina non sarà nessuna cosa se non la potenza (tesi vicina a quella della sovrabbondanza d'essere concepita dal neoplatonismo). A questo punto risulterebbe contraddittorio affermare che in un determinato istante avvenga un certo fenomeno, come se negassi che dal triangolo discendano tutte le sue proprietà. Lo stesso vale per Dio: è impossibile, cioè, che da egli non seguano tutti gli effetti di cui è capace, e dunque il mondo in cui viviamo è l'unico mondo possibile. È questo il forte determinismo di Spinoza, che sarà tanto criticato da Leibniz: non solo tutti i fenomeni devono verificarsi necessariamente, ma questa è anche una necessità di tipo logico, in quanto sarebbe contraddittorio il suo non verificarsi. Ecco quindi confutata l'esistenza di caso e contingenza. Da quanto detto si evince che il Dio di Spinoza non è un Dio libero, o meglio, lo è, ma solo nel senso che egli non è determinato da altro nel suo agire. Determinati sono invece gli enti finiti, dunque anche l'uomo, che finisce così per perdere il suo libero arbitrio.





[modifica] Il tempo

Il tempo non è né un qualcosa che appartiene a Dio, ma nemmeno un ente assoluto. Collocare un dato fenomeno nel tempo significa porlo dopo le sue cause e prima delle sue conseguenze; per questo il tempo rientra nella dimensione spaziale. Se l'uomo osserva un fenomeno (per esempio il movimento di una palla), conoscendo tutte le sue cause e tutte le sue premesse, potrà arrivare ad un'affermazione priva di ogni riferimento al tempo, quindi vera sempre (la palla si muove). Tuttavia l'uomo non può conoscere tutte le cause e le conseguenze delle cose, ed è per questo che egli vede le cose nascere e perire: vede le cose sub specie temporis. Dio, al contrario, conosce tutte le cause e tutte le conseguenze di tutte le cose, in quanto presenti nel suo intelletto, e dunque vede le cose sub specie aeternitatis: per lui le cose non nascono né periscono, ma sono eterne.





François-Marie Arouet (Parigi, 21 novembre 1694 - 30 maggio 1778), meglio conosciuto con lo pseudonimo di Voltaire, fu un filosofo molto importante e influente, nonché finissimo scrittore, drammaturgo e punto cardine dell'Illuminismo.



Il nome da lui cambiato nel 1717 in Voltaire starebbe a significare:



l'anagramma di Arouet LJ (le jeune, il giovane) in lettere arcaiche in cui J si scriveva I e U si scriveva V, AROVET LI diventa VOLTAIRE

il nome di un piccolo feudo posseduto dalla madre.





Biografia

Di formazione umanistica proveniente da una ricca famiglia borghese, studiò presso i giansenisti ed i gesuiti del rinomato collegio Louis-le-Grand e venne introdotto giovanissimo nella "Societé du Temple", noto cenacolo di Parigi ad orientamento libertino. Il successo della rappresentazione della sua prima tragedia, Edipo/Oedipe (1718), lo rese celebre ed apprezzato.



Fu imprigionato due volte (1717-1718 e nel 1726) alla Bastiglia, a causa (la prima volta) dell'irriverenza espressa in versi nei confronti del reggente. Con la pubblicazione del poema La Ligue del 1723, scritto durante la prigionia, ottenne l'assegnazione di una pensione da parte del re. L'opera verrà pubblicata nuovamente col titolo di Enriade nel 1728.



Fu esiliato in Gran Bretagna (1726-1729) dove, con la conoscenza di uomini di cultura democratica, scrittori e filosofi come Robert Walpole, Jonathan Swift, Alexander Pope e George Berkeley, maturò idee illuministe contrarie all'assolutismo feudale della Francia. In Gran Bretagna scrisse Lettere sugli inglesi (o Lettere filosofiche), per la quale venne di nuovo condannato, essendo stata un'opera di riferimento contro il vecchio regime.





Statua di Voltaire al Museo dell'Ermitage di San PietroburgoAncora esule in Lorena (a causa dell'opera Storia di Carlo XII del 1731), scrisse le tragedie Bruto e La morte di Cesare, cui seguirono Maometto e Merope, il trattato Gli elementi della filosofia di Newton oltre all'opera storiografica Il secolo di Luigi XIV. Grazie al riavvicinamento con la corte, favorito da Madame de Pompadour, nel 1746 fu nominato storiografo e membro dell'Académie Française. Dal 1749 al 1752 soggiornò a Berlino, a Ginevra, e nel 1755 a Losanna presso il castello di Ferney. È di questo periodo la stesura della tragedia Oreste (1750), considerata una delle opere minori del teatro di Voltaire.



Ormai ricco e famoso, divenne un punto di riferimento per tutta l'Europa illuminista. Entrò in polemica coi cattolici per la parodia di Giovanna d'Arco in La pulzella d'Orléans, ed espresse le sue posizioni in Candido ovvero l'ottimismo (1759), in cui polemizzò con l'ottimismo di Gottfried Leibniz. Il romanzo rimane l'espressione letteraria più riuscita del suo pensiero, contrario ad ogni provvidenzialismo o fatalismo. Da qui iniziò un'accanita polemica contro la superstizione ed il fanatismo a favore di una maggiore tolleranza e giustizia.



A tal proposito scrisse il Trattato sulla tolleranza (1763) ed il Dizionario filosofico (1764). Tra le altre opere, i racconti Zadig (1747), Micromega (1752), L'uomo dai quaranta scudi (1767). Le opere teatrali Zaira (1732), Alzira (1736), Merope (1743), oltre il poema Poema sul disastro di Lisbona (1756). Ed infine, le importanti opere storiografiche Il secolo di Luigi XIV (1751) ed il Saggio sui costumi e sullo spirito delle nazioni (1756).



I suoi resti riposano al Panthéon (Parigi) dove sono stati trasportati dopo la rivoluzione. Malgrado il trionfo, alla morte gli fu negata la sepoltura ecclesiastica.











[modifica] Opere

Edipo, 1718

Enriade, 1728

Storia di Carlo XII, 1730

Bruto, 1730

Zaira, 1732

Il tempio del gusto, 1733

Lettere inglesi o Lettere filosofiche, 1734

Adelaide del Guesclin, 1734

Maometto, 1736

Mondain, 1736

Epistola su Newton, 1736

Trattato di metafisica, 1736

Il figliol prodigo, 1736

Saggio sulla natura del fuoco, 1738

Elementi della filosofia di Newton, 1738

Zulime, 1740

Il fanatismo o Maometto, 1741

Merope, 1743

Zadig, 1748

Il mondo va come va, 1748

Il secolo di Luigi XIV, 1751

Micromega, 1752

Poema sul disastro di Lisbona, 1756

Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni, 1756

Candido, 1759

La Pulzella d'Orléans, 1762

Quello che piace alle signore, 1764

Dizionario filosofico, 1764

Jeannot e Colin, 1764

Dell'orribile pericolo della lettura, 1765

Questioni sui miracoli, 1765

La filosofia della storia, 1765

Trattato sulla tolleranza, 1767

Il filosofo ignorante, 1766

L'ingenuo, 1767

L'uomo dai quaranta scudi, 1768

L'A,B,C Dio e gli uomini, 1769

Le lettere di Amabed, 1769

Le lettere di Memmio, 1771

Bisogna prendere una parte, 1772

Il grido del sangue innocente, 1775

Dell’anima, 1776

Dialoghi di Evemero, 1777







Benjamin Constant

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Benjamin ConstantHenri-Benjamin Constant de Rebecque (25 ottobre 1767 - 8 dicembre 1830) fu un pensatore di origine svizzera, scrittore e politico francese.



Constant nacque a Losanna, in Svizzera, da una famiglia ugonotta. Fu educato da istitutori privati e studiò all'Università di Erlangen, in Baviera, e all'Università di Edimburgo, in Scozia. Nel corso della sua esistenza trascorse molti anni in Francia, Svizzera, Germania e Gran Bretagna.



Era amico di Anne Louise Germaine de Staël e la loro collaborazione intellettuale li rese una delle coppie intellettuali più celebrate dell'epoca. Partecipò alla vita politica francese come pubblicista e politico durante l'ultima metà della Rivoluzione Francese e fra il 1815 e il 1830. Durante quest'ultimo periodo fu membro della Assemblea Nazionale Francese e come tale fu uno dei suoi più eloquenti oratori e capo dell'opposizione liberale nota come Indepentants.



Autore di orientamento liberale, più legato alla tradizione Anglosassone che a quella Francese, guardava più all'Inghilterra che all'Antica Roma come modello pratico di libertà all'interno di una vasta società commerciale. Egli delineò la distinzione tra la "Libertà degli Antichi" e la "Libertà dei Moderni". La prima era partecipatoria, basata sulla libertà repubblicana, e dava ai cittadini il diritto di influenzare direttamente la politica tramite dibattiti e votazioni nelle pubbliche assemblee. Allo scopo di sostenere questo grado di partecipazione diretta, la cittadinanza era un obbligo morale che richiedeva un considerevole dispendio di tempo ed energia. Generalmente ciò richiedeva una sottoclasse di schiavi per assolvere a gran parte del lavoro produttivo, lasciando così ai liberi cittadini la possibilità di deliberare sugli affari pubblici. La Libertà degli Antichi era anche delimitata a società relativamente piccole ed omogenee, nelle quali la popolazione poteva radunarsi in un unico luogo per dibattere la cosa pubblica.



La Libertà dei Moderni, di contro, era basata sul godimento delle libertà civili, sul dominio della legge, e sulla libertà dall'ingerenza dello Stato. La partecipazione diretta veniva così limitata: ciò era una conseguenza necessaria all'interno degli stati moderni, ed anche un risultato inevitabile dell'aver dato vita ad una società commerciale in cui non esistevano schiavi ma ognuno doveva guadagnarsi da vivere con il proprio lavoro. Per questo motivo coloro che avevano diritto al voto dovevano eleggere dei rappresentanti che avrebbero deliberato in un Parlamento in rappresentanza del popolo liberando i cittadini dall'onere della politica.



Constant era convinto che nel mondo moderno grazie al commercio la guerra fosse superflua. Egli attaccò aspramente la sete di conquiste territoriali di Napoleone che considerava illiberali e non degne di una moderna organizzazione sociale e commerciale. Era l'Antica Libertà ad essere guerriera, mentre uno Stato organizzato sui principi della Libertà Moderna doveva essere pacifico in mezzo ad altre nazioni pacifiche.



La distinzione tra Libertà Antica e Moderna è significativa per diversi aspetti. In primo luogo, la Francia aveva cercato di riprodurre durante la Rivoluzione Francese la Libertà Antica, basando le sue istituzioni (come il Consolato e il Tribunato) sul modello della Roma Repubblicana. Ciò aveva avuto come esito contrario il dominio personale di Napoleone. Constant era convinto che se la libertà fosse stata salvata dalle conseguenza della Rivoluzione Francese, allora la chimerica Libertà Antica sarebbe stata abbandonata in favore della Libertà Moderna. L'Inghilterra, dai tempi della 'Gloriosa Rivoluzione del 1688', aveva dimostrato la praticabilità della Libertà Moderna e l'Inghilterra era una monarchia costituzionale. Constant ne concluse che quest'ultima forma di governo fosse più adatta delle istituzioni repubblicane nel mantenere viva la Libertà Moderna. Questa sua visione contribuì alla definizione dell'"Acte Additional" del 1815, che trasformava il restaurato potere di Napoleone in una monarchia costituzionale.



Questa doveva durare solo cento giorni, prima che Napoleone venisse sconfitto, ma il lavoro di Constant fu nondimeno utile a riconciliare la monarchia con la libertà. In effetti, la Costituzione Francese del 1830 potrebbe essere considerata una traduzione in pratica delle idee di Constant: una monarchia ereditaria convivente con una Camera dei Deputati eletta e una Camera dei Pari senatoriale, con il potere esecutivo attribuito a ministri responsabili. Così, sebbene spesso ignorato in Francia a causa delle sue simpatie anglosassoni, Constant diede un contributo profondo (anche se indiretto) alla tradizione costituzionale francese.



Inoltre, Constant disegnò una nuova teoria di monarchia costituzionale, nella quale il Potere Reale era da intendersi come un potere neutro, protettivo, di equilibrio e di limitazione agli eccessi degli altri poteri attivi (l'esecutivo, il legislativo e il giudiziario). Questa era una innovazione rispetto alle teorie prevalenti nei paesi anglosassoni che, seguendo la saggezza tradizionale di William Blackstone, il giurista inglese del XVIII secolo, aveva attribuito al Re il diritto di essere a capo del potere esecutivo. Nello schema di Constant, invece, il potere esecutivo era affidato a un Consiglio di Ministri (o Gabinetto) il quale, sebbene nominato dal Re, era in definitiva responsabile di fronte al Parlamento. Delineando questa chiara distinzione tra i poteri del Re (come Capo dello Stato) e i Ministri (cioè l'Esecutivo) Constant rispondeva alla situazione politica inglese da più di un secolo a quella parte: cioè che sono i Ministri, e non il Re, a essere responsabili, e quindi che il Re "regna ma non governa". Tutto ciò fu importante per gli sviluppi dei governi parlamentari in Francia come altrove. Va ricordato comunque che nello schema di Constant il Re non era visto come una entità senza poteri: ne avrebbe avuti diversi, tra cui quello di effettuare nomine tra i giudici, sciogliere le Camere e indire nuove elezioni, nominare i senatori e far decadere i ministri; ma non sarebbe stato in grado di governare, determinare le linee guida o dirigere l'amministrazione, poiché questo era compito dei rispettivi Ministri.



Le sue teorie furono applicate alla lettera in Portogallo nel 1822 e in Brasile nel 1824, dove al Re o all'Imperatore erano esplicitamente attribuiti "poteri di moderazione" anziché il potere esecutivo. Altrove (per esempio nello "Statuto albertino" del Regno di Sardegna del 1848) il potere esecutivo era nominalmente attribuito al Re ma era esercitabile nella pratica solo dai suoi ministri responsabili.



Un altro soggetto di interesse di Constant era un "nuovo tipo di federalismo", un serio tentativo di decentralizzare il governo francese tramite l'attribuzione di diversi poteri a consigli comunali eletti. Questa proposta fu infine recepita nel 1831, quando furono istituiti dei consigli comunali eletti (sebbene con una base elettorale ristretta).



L'importanza delle opere di Constant riguardo la libertà degli antichi ha quasi oscurato il resto del suo pensiero. Constant non era, ad ogni modo, un sostenitore di un libertarismo radicale. I suoi molteplici lavori letterari e culturali (tra i quali i più importanti sono la novella Adolphe e le dettagliate storie della religione) mettevano l'accento sull'importanza dello spirito di sacrificio e del calore delle emozioni umane come base per la convivenza umana. In questo modo, se da un lato riteneva la libertà individuale essenziale per lo sviluppo morale dell'individuo e sinonimo di modernità, dall'altro sentiva che l'egoismo e gli interessi personali non erano sufficienti a definire veramente la libertà individuale. L'autenticità delle emozioni e la compartecipazione dei sentimenti erano elementi critici. In questo, il suo pensiero morale e religioso era fortemente influenzato dagli scritti morali di Jean-Jacques Rousseau e dai pensatori tedeschi, come Immanuel Kant, che lesse per documentarsi sulla storia della religione.





[modifica] Bibliografia

De l'esprit de conquête et l'usurpation (Sullo spirito di conquista e sull'usurpazione) (1815), un importante libello contro Napoleon

Adolphe

De la religion (1824-1831), una storia della religione antica in cinque volumi.







spero che ti vadi bene e poi per fare il tuo punto semplicemente devi andare a sensazioni...e se non arrivano tranquillo con quello che troverai qui....sarai fortunato

se ti lascera finire


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