Domanda:
commentatemi la condizione della donna nell'islam. grazie urgente!!!!?
cesca.gian
2008-01-21 06:11:57 UTC
commentatemi la condizione della donna nell'islam. grazie urgente!!!!?
Quattro risposte:
2008-01-21 06:26:55 UTC
che dire sono contro alla sua condizione di inferiorità contro soprattutto all'idea che hanno gli uomini islamici delle donne (ho un pò generalizzato la cosa ma per la maggior parte è così) contro l'obbligo del velo non contro il velo perche chi lo vuole portare lo porti! il fatto assai importante da prendere in considerazione è che tutto ciò fa parte della loro cultura, del loro mondo, insolla se vai a chiedere a una donna islamica se è giusto o no tenere il velo ecc sarà lei a dirti di essere inferiore rispetto agli uomini e che il velo va messo punto e basta altrimenti sei una put****... quindi se loro vogliono vivere così noi non ci possiamo fare molto (del resto loro stanno di 600 anni indietro :) ) . comunque la cosa che mi fa invece imbestialire è che (come abbiamo potuto vedere da alcuni fartti di cronaca) se una donna decide di cambiare vita e addirittura va in un paese europeo insomma più avanzato culturalmente parlando la perseguitano e arrivano ad ucciderla!....così và questo mondo...ciao
Broli
2008-01-21 14:17:27 UTC
donna = sputo, anzi forse nemmeno, vale ben di piú uno sputo piuttosto che una donna...

ecco quello che pensano loro sulle donne: oggetti del piacere da usare come e quando vogliono...tanto comunque é sempre colpa loro!

che s.c.h.i.f.o.
Roxen
2008-01-21 14:18:36 UTC
Diritti delle donne islamiche



Il tema dei diritti delle donne nell’Islam è al centro di accesi dibattiti e di giudizi estremamente contrastanti. Da un lato, molti osservatori sostengono che non è facile parlare di "diritti" delle donne islamiche dal momento che la maggior parte di esse sono private delle più elementari norme civili : "Dalla minore libertà di spostamento alla minore libertà d'espressione, di parola, di saluto; minore possibilità di avanzare negli studi o nella carriera e di rivestire cariche o ruoli di responsabilità in ambito civile o religioso; quasi nessuna possibilità di partecipare alla vita politica o di venire eletta; scarsa possibilità di decidere il proprio destino o quello dei propri figli; sottomissione all'uomo, da cui può venire ripudiata (e non viceversa); convivenza con altre mogli scelte dall'uomo; obbligo, in molti paesi, di coprire il proprio corpo e spesso anche il viso; imposizione, in molti paesi, dell'infibulazione e dell'escissione; frequenti gravidanze non scelte liberamente, ma imposte dal marito.

La condizione della donna nell'Islam varia molto da nazione a nazione. In quegli Stati ove le leggi del Corano sono applicate più rigidamente, le donne vivono in minori condizioni di libertà rispetto all'uomo, e spesso sono poste su un gradino inferiore. Esse però non sempre avvertono come ingiustizia la diversità della loro condizione, ricevuta come abitudine culturale. Ma anche se l'avvertissero come ingiustizia, non sempre sono in grado con le proprie forze di modificare la propria situazione". (vedi Encanta)

Dall’altro, la cultura islamica sostiene che le donne accedono a specifici diritti sociali: "La donna, come l'uomo, è un entità indipendente e quindi un soggetto umano pienamente responsabile delle sue scelte e delle sue azioni. Inoltre i doveri previsti dalla Shari'a, la legge islamica, sono gli stessi tra gli uomini e le donne.

Inoltre la donna costituisce persona giuridica a sé, a prescindere dal marito, dal padre o da qualsiasi parente maschio tant'è vero che può scegliere di diventare musulmana a prescindere dalla fede dei suoi parenti più prossimi Ma ha anche la possibilità di scegliere autonomamente se accettare un matrimonio o meno, e se non vi è l'assenso della donna il matrimonio non può essere considerato valido.

La donna ha diritto ad una sua propria proprietà privata, che non è tenuta a condividere con nessuno. La dote che l'uomo versa a la donna viene a far parte proprio di questa sua proprietà va investita nei suoi bisogni personali e non va investita nelle esigenze della famiglia, che devono essere sostenute dall'uomo, ma alle quali la donna può decidere spontaneamente, e in accordo con il marito, di parteciparvi anche con una sua attività lavorativa fuori dalle mura domestiche".



La posizione della donna nell’Islam

La donna nell’Islam

Lo statuto della donna nell’Islam







La donna nel Corano



Nel Corano, testo sacro della religione islamica, molteplici sono i riferimenti nei confronti della donna nei suoi aspetti spirituali, in quelli sociali e in quelli economici; secondo l’interpretazione che viene data da alcuni studiosi del testo sacro del Corano, la donna è considerata pari all’uomo, gode di molteplici diritti, deve essere rispettata ed amata. In una sorta di concezione "stilnovistica" è l’ancella – tramite, attraverso la quale è possibile "elevarsi" a Dio.

" Chiunque - sia esso maschio o femmina - faccia delle opere buone, ed abbia fede, in verità a costui Noi daremo una nuova vita che sia buona e pura, ed elargiremo a tali individui la loro ricompensa in base alle loro azioni. (Corano 16:97, vedere anche 4:124). Il Corano indica chiaramente che il matrimonio è condivisione tra le due metà della società, e che i suoi obiettivi, oltre al perpetuarsi della vita umana, sono il benessere emotivo e l'armonia spirituale. Le sue basi sono l'amore e la misericordia. "E tra i Suoi segni vi è questo: Che Egli creò compagne per voi da tra di voi in cui possiate trovare riposo, pace mentale in esse, ed Egli ordinò tra voi amore e misericordia. Ecco, qui vi sono invero segni per le persone che riflettono." (Corano 30:21)."

Maggiori approfondimenti sul testo del Corano e sul modo in cui è venuto e viene interpretato nei confronti della donna si possono trovare:



Nel nome di Allah

Islam online

I mille veli dell’Islam, Italia online

Islam jihad Italia

La donna nell’Islam







La famiglia nell’Islam



Il diritto di famiglia non segue i percorsi della legislazione civile ma affonda le radici nel diritto sacro dell’Islam, la Shari’a, riformulata in codici e leggi dai diversi stati Arabi durante l’ultimo secolo.

Per il diritto musulmano il matrimonio è un contratto. L’Islam non conosce il concetto teologico di sacramento caratteristico del Cristianesimo.

"Il matrimonio musulmano è essenzialmente un contratto consensuale. La nozione di sacramento è estranea all’islam, anche se ciò non significa che il matrimonio sia una realtà esclusivamente profana. Il matrimonio può essere sciolto per iniziativa di uno dei coniugi oppure consensualmente e l’analisi delle cause di scioglimento (ed anche di nullità) evidenza un’attenzione alla effettiva vitalità del rapporto coniugale in termini che presentano qualche punto di contatto con i principi sottesi alla disciplina del divorzio attualmente vigenti in molti Paesi occidentali". (Cfr. per maggiori approfondimenti: Ferrari Silvio, La pluralità dei matrimoni dal punto di vista religioso (cristianesimo, ebraismo, islam), in Donati Pierpaolo (a cura di), Identità e varietà dell’essere famiglia. Il fenomeno della "pluralizzazione", Settimo rapporto Cisf in Italia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2001, pp. 309 – 349).

"Come ogni altro contratto, il matrimonio è concluso con il consenso delle parti contrattanti. Le parti del contratto non coincidono però necessariamente con gli sposi. Occorre considerare che, secondo la sharî‘a, ogni persona può essere titolare del rapporto matrimoniale, anche il bambino appena nato. Se l’individuo, a causa dell’età immatura, non è in grado di decidere e di concludere il matrimonio, qualcuno lo farà per lui: il tutore matrimoniale (walî), che normalmente è il padre. Nei matrimoni precoci la volontà matrimoniale è del tutore, che quindi esercita il potere di costrizione matrimoniale (ijbâr). Tale potere cessa quando l’individuo ad esso sottoposto raggiunge la pubertà. Fa eccezione, secondo i malikiti, la donna vergine. La verginità, allo stesso modo della giovane età, implica poca conoscenza della vita, e giustifica il prolungarsi del potere di costrizione del tutore…Le parti possono apporre al contratto clausole e stipulazioni dirette a modificarne gli effetti tipici, purché non contrastanti con i principi irrinunciabili che lo reggono. Tale opinione, tradizionalmente riferibile alla sola scuola h³anbalita, è oggi recepita da tutti i legislatori. È quindi possibile che la moglie pretenda dal marito l’impegno di non trasferire il domicilio coniugale dalla città di origine, di permetterle di esercitare una professione o di partecipare alla vita pubblica, di non chiederle di seguirlo nei suoi viaggi. Il marito può inoltre promettere di non sposare un’altra donna (clausola di monogamia), o può dare alla donna mandato di autoripudiarsi. Alcuni suggeriscono che tramite l’apposizione di una clausola gli sposi possano decidere la comunione degli acquisti, in deroga al regime patrimoniale normale che è quello della perfetta separazione dei patrimoni dei coniugi. Nei matrimoni misti, accordi particolari circa l’educazione religiosa dei figli, in contrasto con il principio per cui i figli devono essere educati nella religione paterna, sono destinati a essere considerati nulli…La vita coniugale che trae vita dal matrimonio è segnata dalla preminenza dell’uomo: la donna deve mettersi a sua disposizione e prestargli obbedienza. Il corrispettivo di tale quotidiana sottomissione è il mantenimento che l’uomo versa alla moglie, indipendentemente dalla condizione di bisogno di lei: esso comprende il vitto, l’alloggio, il vestiario, le spese mediche e il servizio. L’insubordinazione ingiustificata della donna determina la sospensione del mantenimento. Il mantenimento è dovuto per tutto il tempo che la donna resta nella potestà dell’uomo, cioè fino alla fine del ritiro legale (‘idda) che segue lo scioglimento del matrimonio per morte, ripudio o divorzio. Il ritiro legale permette di accertare l’eventuale gravidanza della donna; esso dura generalmente tre mesi, dopo i quali il marito non ha più alcun obbligo nei confronti della moglie. Dopo lo scioglimento del matrimonio, la donna che non ha redditi propri resta a carico della famiglia di origine o dei figli.

Famiglia e matrimonio nell’Islam



Per quel che concerne l’educazione dei figli vige una netta distinzione dei ruoli educativi paterni e materni. E’ il padre in prima persona a prendere le decisioni relative all’educazione della prole: "Al padre spetta in esclusiva il potere di prendere le decisioni relative all’educazione del figlio, alla sua istruzione, all’avviamento al lavoro, al matrimonio e all’amministrazione dei suoi beni. Egli è il rappresentante legale del minore. Tutti questi sono aspetti particolari della wila\ya, la potestà paterna. In assenza del padre, il posto è preso da un agnato o dal tutore nominato nel testamento (was³i\). Se mancano sia gli agnati sia il tutore testamentario, il giudice provvede alla nomina di un rappresentante del minore (muqaddam). La madre deve invece custodire, sorvegliare e curare il figlio: ciò costituisce il contenuto della h³ad³a\na, o custodia del bambino. La custodia è considerata un compito squisitamente femminile: in caso di assenza o incapacità della madre, è una parente femmina, generalmente del lato materno, a sostituirla".

Il messaggero dell’Islam, La famiglia nell’Islam, in "Donna e società", n.84, sett.-dic. 1987, pp. 134-138







Donne "senza volto"?



Anche per quel che riguarda l’usanza di coprirsi il volto, tipica dei Paesi musulmani si riscontrano diversi punti di vista tra loro anche contraddittori. Da un lato il volto coperto è legato alla tradizione, un’antica usanza che viene mantenuta e che si è consolidata in numerosi paesi orientali; dall’altro è visto quale ulteriore limitazione alla liberà femminile, simbolo di repressione da parte di un mondo e di un tipo di cultura prettamente maschilista.

Il recente film "Viaggio a Kandahar" opera del regista iraniano Mohsen Makhamlbaf, con maestria e poesia ha indagato questo aspetto della cultura e della società afgana attraverso il racconto del viaggio che la protagonista compie ritornando in Afghanistan, sua terra d’origine.

Secondo la studiosa Leila Ahmedfu nell'era degli Abbasidi inizia, in Medio Oriente, la compravendita delle donne come merce e oggetti d'uso sessuale. Da allora le donne sono considerate esclusivamente come esseri sessuati. Qualsiasi cosa facciano sono in primo luogo e soprattutto corpi seducenti.

Il volto nascosto

Il velo, con tutte le sue forme diffuse nel mondo musulmano (haïk nella tradizione algerina, chador in quella iraniana, burqa in quella del subcontinente indiano) non è stato introdotto dall'islam, ma ripreso dalla tradizione bizantina, per diventare il simbolo della condizione economica del padrone di casa che poteva tenere moglie e figlie a casa, proteggendo l'onore della famiglia. È soltanto nel corso del 1900 che il velo diventa centrale nella questione della condizione femminile nell'islam: nel 1923 Huda Shaarawi, la prima femminista egiziana, in un atto audace, si toglie il velo nella stazione ferroviaria del Cairo; nel 1936 Reza Khan, padre dell'ultimo shah di Persia, vieta il velo nel tentativo di modernizzare ed occidentalizzare il paese; nel 1947 il sultano Muhammad V invita sua figlia a togliersi il velo in pubblico. Negli anni della guerra di liberazione in Algeria le donne rivendicano l'uso del velo come affermazione della loro identità araba e musulmana. I movimenti integralisti vedono nel velo una questione di importanza ideologica e di ordine pubblico, garantito soltanto se le donne sono nascoste, invisibili e intoccabili e di questo le donne afgane sono diventate un tragico emblema.

Donne senza volto



Per maggiori approfondimenti

La donna nell’Islam

Tradizione o repressione?

Lettera alla donne invisibili

Islam un pericolo per le donne

Donna e Islam







Un problema aperto: mutilazioni genitali femminili



Si tratta di una pratica tradizionale tipica di alcune popolazioni africane che impone di asportare (escissione) o mutilare (infibulazione) parte dei genitali delle bambine in tenera età.

Il fenomeno non è recente, è un rito di antica tradizione per garantire alla donna "purezza" e "fedeltà", tuttavia i rischi e le conseguenze sono gravissimi: infezioni emorragiche anche mortali e danni permanenti che in gravidanza e nel parto possono avere pesanti conseguenze per il neonato. Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono oltre 120 milioni le donne vittime di "mutilazioni genitali". I Paesi più interessati sono quelli del Corno d’Africa (Somalia, Eritrea, Gibuti ed Etiopia), ma anche in altri paesi come Egitto, Kenia, Burkina Faso, Senegal questi rituali sono ancora diffusi e anche fuori da questi territori questa pratica riguarda donne e bambine anche quando emigrano o nascono in altri paesi. Molteplici sono le segnalazioni di operatori sanitari, anche in Italia, che dichiarano di non sapere come comportarsi quando viene loro richiesto di praticare rescissioni o infibulazioni. In un’intervista (vedi: Mutilazioni femminili: difendere i diritti e la salute delle donne, in "Sir", n. 29, aprile 1999), Graziella Sacchetti, ginecologa dell’ospedale S. Paolo di Milano ha asserito: "Serve una maggiore collaborazione tra medici e mediatori culturali per un lavoro di informazione nelle comunità etniche di appartenenza delle donne, rispettandone le tradizioni. Va fatto capire che le mutilazioni femminili non sono previste dal Corano e che provocano gravi conseguenze fisiche e psicologiche".



Per ulteriori approfondimenti si rimanda a:

Farinelli Fiorella, I corpi mutilati delle donne, "Rocca", settembre 1999.

Bono Anna, Marchiate per sempre, Il nostro tempo, 31 gennaio 1999.

Iossa Mariolina, Infibulazione, 50 mila vittime in Italia, "Corriere della Sera", 7 marzo2001



Letteratura e differenze



Voci di donne



Alcune donne, rappresentanti della cultura islamica, attraverso testimonianze scritte, hanno dato voce alla loro realtà. La voce di un passato e di un presente raccontato in prima persona. Testimoni dirette della loro identità di donna e di persona in una società e in una cultura così diverse dalla nostra.

Assia Djebar, algerina, è una scrittrice, storica e cineasta è rappresenta una tra le figure più complesse e ricche operanti sulla scena contemporanea internazionale. Attraverso la lettura dei suoi testi è possibile avere la testimonianza diretta della condizione femminile nel mondo mussulmano. Il suo è un viaggio nella storia , un viaggio che la conduce a imbattersi in una immagine, quella dell'Algeria che ora le appare come una donna, che non ha (avuto) diritto di parola, che non ha (avuto) accesso alla scrittura, perché a coprire il suo sapere e la sua lingua, ricacciate indietro e forzatamente dimenticate, i conquistatori hanno imposto la propria lingua, la propria cultura, la propria legge. L'identità del presente si è costruita in questo impasto inconsapevole, privo di prospettiva storica, che ha aderito alla pelle come una maschera troppo a lungo indossata e che ci si è ormai dimenticati di portare, finendo per scambiarla per il proprio volto.

Come donna e femminista, Assia Djebar è mossa dal bisogno di scrivere la sua storia e la memoria delle sue antenate, dall'urgenza di portare alla luce la vita dentro le case, dietro le file di persiane chiuse che danno sulla strada, dentro ai reticoli dei cortili interni, nei bagni turchi, dietro il velo. Ha bisogno, per trovare un senso alla sua sofferenza e lenire il dolore provocato dalla consapevolezza, che non l'abbandona mai, dell'esistenza di schiere di donne imprigionate, di portare alla superficie della parola scritta quel non detto, le emozioni, la sofferenza, il rimosso della storia. Questo viaggio nella non-visibilità delle donne incontra alla fine la stessa immagine del viaggio nella storia, quella della donna/Algeria.





Ragazze a Cairo



Una letteratura al femminile: Assia Djebar

Io, donna dell’Islam senza veli

Un’altra "voce" di donna islamica è quella di Shashikumar Mehmooda appartenente al movimetno RAWA (Revolutinary Association of The Women of Afghanistan). Parla della misoginia patologica dei talebani e della lotta di RAWA per sopravvivere.

"La vita delle donne sotto i regimi fondamentalisti come quello dei talebani è terribile. I fondamentalisti non accettano il fatto che le donne facciano parte della società. Ora l'Afghanistan è un paese spettrale e a causa dei continui combattimenti e dell'aumentato livello di criminalità, le donne del paese non sono molto di più che zombi. A loro non è permesso farsi curare, istruirsi o divertirsi. Vengono legate per strada a causa delle più strane ragioni e le loro mani vengono tagliate se rubano un pezzo di pane.

"I talebani non accettano il fatto che le donne facciano parte della società"

RAWA

Donne afghane in lotta

Alessandra Garusi (giornalista e scrittrice) riporta un’intervista fatta ad una donna afghana descrivendo le sensazioni e la particolare situazione di quel momento:

Nascosta sotto ampissime vesti di colore blu, una donna esce dall'ombra e sussurra con un filo di voce, in un inglese fortemente accentato: "Sono un'educatrice. Avresti un lavoro per me, non a Kabul, in provincia?" L'odore rancido delle fogne all'aperto impregna l'aria di questo caldo pomeriggio e il latrare dei cani randagi in lontananza fa sì che la domanda della donna sia poco più che un bisbiglio. Un'altra donna fuori da una moschea guarda di sfuggita uno straniero, poi china di colpo la testa quasi a volersi seppellire all'interno del suo burqa1 e si fa avanti con la mano tesa: "Non sono una che fa l'elemosina, ma non ho scelta. Ho bisogno di cibo per la mia famiglia", dice una voce da dentro.

Digilander

Vedi anche:

Donne d’Islam

Leila Ahmed. Oltre il velo. La donna nell’Islam da Maometto agli ayatollah

Giorgi Tilde, Sotto il burqa il coraggio, "Cronache e opinioni", n. 11, novembre 2001



Diverso il caso di una donna italiana Barbara Farina che è diventata musulmana ed è stata la prima donna in Italia ad ottenere nel 1994 il diritto a comparire con il capo coperto dal hijab sulla carta d’identità.
Keo
2008-01-21 14:15:02 UTC
e certo perchè non c'abbiamo un c.zzo da fare....


Questo contenuto è stato originariamente pubblicato su Y! Answers, un sito di domande e risposte chiuso nel 2021.
Loading...